“La missione che s’incarna nei limiti umani”

Pubblicato in Missione Oggi

Cent’anni or sono, il missionario che partiva per la missione doveva equipaggiarsi di una buona dose di coraggio e buona volontà, poiché l’ambiente che lo avrebbe accolto gli avrebbe sicuramente riservato innumerevoli difficoltà e sfide. I territori verso cui si avviava erano ancora in gran parte inesplorati, le popolazioni parlavano lingue sconosciute, le malattie era sovente micidiali. Egli portava però con sé un bagaglio pieno di certezze che gli venivano dalla convinzione profonda che il Vangelo che portava con sé avrebbe sbaragliato ogni ostacolo o difficoltà che potesse incontrare. Così pensava anche la Congregazione di Propaganda Fide che, in occasione delle prime giornate missionarie mondiali degli anni 1930, in un linguaggio alquanto militaresco, scriveva delle “impavide legioni di eroici missionari” che solcavano terre e mari “per conservare le posizioni raggiunte e procedere a nuove avanzate sui campi delle battaglie evangeliche”.

Alla prova dei fatti, l’evangelizzazione apparve subito irta di difficoltà e ostacoli. Il vangelo manteneva tutta la sua forza di rigenerazione, ma il missionario e la sua gente presentavano invece innumerevoli limiti: poter predicare la Parola di Dio in maniera comprensibile, impararare lingue nuove che poi non possedevano termini per tradurre le verità della nostra fede, culture e ambienti refrattari alla morale cristiana… Così il missionario imparava a farsi prudente, umile, paziente e attento alla cultura della gente.

Nei decenni che precedettero e seguirono il Concilio Vaticano II, si aprì una nuova fase di riflessione sull’evangelizzazione. La missione non era più presentata come conquista mentre l’evangelizzazione diventava proposta e dialogo. Il missionario si avvicinava alle culture dei popoli cui era inviato, con speciale attenzione, sempre più cosciente che ogni cultura presenta ricchezze e tesori da rispettare e apprezzare. L’evangelizzazione stessa andava imparando nuove dinamiche quali il dialogo, l’accoglienza dei valori altrui, l’inculturazione della Parola di Dio nell’indole di ogni popolo.

In tempi più recenti, incoraggiata dal magistero degli ultimi Papi, tutta la Chiesa prende coscienza di essere essa stessa missionaria. “Missionaria” perché sente l’impellente bisogno di dire a tutti quella Parola che essa stessa ha imparato ad accogliere e da cui è stata “convertita”. Crollano allora le antiche frontiere della missione, perché ogni cristiano comprende che è allo stesso tempo oggetto e soggetto della missione di Cristo. Non esiste più un’Europa “cristiana” e ben strutturata, che parte per portare il Vangelo agli altri Continenti non cristiani. Le Chiese d’Europa, come tutte le altre Chiese, si sentono in stato di missione. Ogni comunità cristiana deve ora imparare ad accogliere con semplicità la Parola del Vangelo, cercare di viverla con coerenza e poi testimoniarla agli altri, sia con la vita sia con l’annuncio.

Questa svolta nel concetto di missione porta a conseguenze profonde, che Papa Francesco ha saputo cogliere ed esprimere con molta efficacia nella sua lettera post-sinodale Evangelii gaudium. Tutta la lettera, pur rifacendosi alle risoluzioni del Sinodo dei Vescovi sulla “Nuova Evangelizzazione” dell’ottobre del 2012, respira a pieni polmoni il nuovo clima ecclesiale del Vaticano II. Parla della Chiesa, popolo di Dio, in cammino verso le frontiere della società e del mondo per comunicare a tutti la gioia di essere discepoli di Cristo salvatore. Tutti i cristiani sono interpellati, perché tutti devono sentirsi protagonisti di questa nuova evangelizzazione. Essi devono però assumere l’atteggiamento di umiltà e pazienza con cui l’evangelizzatore deve sempre fare i conti, oggi più che mai, nel portare avanti un’evangelizzazione efficace. Egli deve, infatti, avere la determinazione del contadino che non smette di seminare e coltivare, pur sapendo che tanti fattori condizioneranno il risultato del suo lavoro. Ma alla fine il raccolto verrà, a volte abbondante, a volte in misura ridotta, e ripagherà sforzo fatto.

Papa Francesco ci ricorda alcuni limiti e condizionamenti umani con cui ogni evangelizzatore deve venire a patto e che, se affrontati positivamente, permetteranno alla Parola di Dio di radicarsi nell’animo e nella cultura di ogni popolo e individuo.

  1. La dottrina cristiana non ha una formulazione unica da cui ogni persona, popolo e cultura possa attingere senza difficoltà. Conosciamo le infinite sfumature di linguaggio, di espressioni, d’immagini attraverso cui la verità del Vangelo passa alle persone che lo ascoltano. In passato si pensava che il Catechismo di S. Pio X, compendio di tutta la dottrina cristiana, potesse essere uno strumento valido per tutti i popoli e in tutte le culture. In realtà, oggi comprendiamo che le verità della nostra fede hanno bisogno di essere incarnate in espressioni diversificate e tali da poter essere comprese da tutti.
  2. Ogni formulazione della fede rimane sempre, in buona parte parte, oscura, di non immediata comprensione, bisognosa di essere costantemente mediata. La comprensione del cuore, cioè l’amore ­ - afferma il Papa - resta sempre e ovunque il cammino privilegiato per addentraci nelle verità della fede. Bisogna allora che la Chiesa evangelizzi con il linguaggio e la tenerezza di una madre.
  3. Ogni popolo sente l’esigenza di incarnare il vangelo nella propria cultura. Fino a che ciò non accade, esso resta sempre una realtà estranea. Anche le Chiese di antica data devono rivedere certe espressioni religiose che sono parte della loro religiosità popolare, soprattutto quelle che – come afferma Papa Francesco - “non hanno più forza educativa come canali di vita” (EG 43).
  4. Non solo le culture hanno una incidenza notevole sull’accoglienza delle verità del vangelo e sulla comprensione esatta della fede cristiana. Anche le varie tappe della vita della persona necessitano di un accompagnamento appropriato e paziente affinché ognuno possa sentire la vicinanza di un Dio che opera in lui, al di là dai propri limiti, condizionamenti e anche peccati. Tutto ciò richiede agli evangelizzatori di diventare – in una ben nota espressione di Papa Francesco –“pastori con l’odore delle pecore, non gestori o intermediari” e compagni di cammino anche correndo il rischio di sporcarsi con il fango della strada.

Un’icona splendida di questo stile evangelizzazione è Maria, che richiama all’umiltà, alla tenerezza e all’amore. Ella ha saputo “evangelizzare” partendo dalla cucina di Nazareth, passando per i sentieri polverosi della Palestina nella sequela del Figlio, fino ai piedi della croce in Gerusalemme. La quotidianità era il suo campo privilegiato di annuncio della “buona notizia”. Il suo cuore di madre non si chiudeva a nessuno e nessun umano condizionamento la frenava. E oggi noi le diciamo con Papa Francesco: “Madre del Vangelo vivente, sorgente di gioia per i piccoli, prega per noi. Amen. Alleluia” (EG 288).

Ultima modifica il Domenica, 22 Gennaio 2017 23:16

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