Una missione preziosa come l’ambra, la pietra del sole

Padre Stefano, Domenica delle Palme a Minizales (Colombia) Padre Stefano, Domenica delle Palme a Minizales (Colombia) Tutte le foto JC Patias
Riflessioni sui 18 gli anni di servizio come Superiore Generale (PRIMA PARTE)

Esiste in Messico, precisamente nella zona del Chiapas ma non solo, una pietra preziosa chiamata Ambra. Secondo la leggenda gli abitanti della regione credono che quando Dio mandò il diluvio universale per punire i peccatori e le piogge caddero per 40 giorni e 40 notti, tutti piangevano dalla disperazione. Le loro lacrime cadevano nelle acque della piena e si trasformavano in Ambra. L’Ambra pura e trasparente si formava dalle lacrime degli innocenti, quella più scura e velata dalle lacrime delle persone cattive e dei beoni. Nel Chiapas (Messico) e nel Tibet, molti bambini portano al collo un pezzo di ambra, per tenere lontano il malocchio. Sin da tempo immemorabile si credeva che l'Ambra avesse proprietà magiche e medicamentose. Veniva utilizzata come incenso durante i rituali e come disinfettante per combattere le malattie infettive. Gli amuleti d'Ambra avrebbero dovuto proteggere chi li indossava dalle forze maligne ed assicurare loro fertilità e successo nella caccia, mentre i gioielli d'ambra adornavano il corpo sia in vita che dopo la morte, con lo scopo di sottolineare lo stato sociale della persona. L'ambra, sostanza mistica che brilla alla luce del sole attraverso ombre d'oro e miele, è leggera, infiammabile, sempre calda al tatto e con proprietà elettrostatiche. È inoltre in grado di influire sulla bioelettricità del corpo, per semplice contatto esterno o ingerita in polvere. In quest'ultimo caso l'incorruttibilità dell'Ambra le permette di superare indenne tutto il tratto digestivo portandoci la sua azione curativa. La proprietà dell'Ambra di rilasciare elettroni si applica negli ambienti bruciandola come incenso. 

Ma cos’è la missione?

Oggi, in un mondo in continuo mutamento, potremmo sicuramente dire che la missione è preziosa come l’ambra chiara; ha il volto della consolazione per un mondo dilaniato e sofferente; ha bisogno delle lacrime della gente ed anche di quelle di noi missionari. Il mondo, per ritrovare speranza e gioia di vivere, ha bisogno della purezza e preziosità di tante lacrime che si solidificano e diventano curative, così come l’ambra, secondo le antiche culture del continente americano.

La missione non ha niente a che fare con la passività, l’insediamento, la paura o il mettersi alla difensiva; questi sono segni che indicano che lo Spirito è stato offuscato (cfr. Ts 5,19) e non è stato atteso o ricevuto.

La missione nella sequela di Gesù è cambiamento, apertura alla novità, ricerca inquieta e di speranza. Richiede rotture e rinunce, ma suscita e genera anche molta gioia ed entusiasmo e manifesta tutto il suo fascino. Avviene a noi come a quel tale che “trovato” un tesoro nel campo, lo nascose e per la gioia vendette tutto quello che aveva per comperarlo. (Matteo 13,44). La missione, aperta alla novità dello Spirito che è sempre libero, creativo e persino sconcertante, crea e ricrea, trasforma e fa nuove tutte le cose, appassiona per Cristo e il suo Regno.

Ci sono troppi uomini e donne schiavi delle strutture, che si accontentano di “eseguire” gli ordini, come qualsiasi esecutore rassegnato. Oggi abbiamo bisogno di uomini e donne che si muovano con passione nella mistica della vita, che sappiano ascoltare la voce del silenzio, che camminano nella carovana di tutti gli uomini e donne del loro tempo e che con entusiasmo spingano avanti e assumano nel quotidiano non solo le opzioni e le motivazioni, ma anche i sentimenti di Cristo ( Efesini 2,5) e diventino testimoni mediante la giustizia, la libertà, la riconciliazione, la misericordia e la tenerezza, la solidarietà e la gratitudine, la bellezza e la gioia.

Come sono stati questi 18 anni al servizio dell’Istituto?

C’è una frase del fondatore che mi ha accompagnato in questi 18 anni e ha orientato il mio servizio all’Istituto: “il nome che portate deve spingervi a divenire ciò che dovete essere!”.

Un missionario della Consolata non può non pensare alla Consolata e alla consolazione nel suo servizio missionario e tanto più se è un superiore. Quindi al centro di questo cammino pluriennale c’è il progetto della consolazione che ho imparato con la guida di tre maestri: la stessa madonna Consolata evidentemente, la nostra mamma; il Fondatore Giuseppe Allamano e anche tutta l’umanità in diverso modo bisognosa di consolazione.

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Come ho esercitato il ministero della consolazione nell’Istituto?

Prima di tutto per mezzo del dialogo con le persone; è stata l’esperienza più bella fatta in questi anni. Accompagnare i missionari, li ho incontrati tutti in più di una occasione e in diverse circostanze; dialogare con persone che ti aprono il loro cuore è una cosa bellissima e sempre molto arricchente. Mi ha aiutato il dono della memoria che il Signore mi ha concesso: ricordavo spesso dettagli di tanti incontri che ho avuto con i missionari e loro erano molto contenti quando tu ricordavi aspetti della vita di ciascuno, si sentivano valorizzati nella loro missione o nel loro particolare incarico o lavoro.

In questi anni ho visitato davvero tutte le missioni. Me ne è mancata solo una ed è la parrocchia che è stata aperta poco più di un anno fa nella città di Madrid... questa davvero credo che non la potrò visitare, ma è l'unica eccezione. Visitare le missione, e anche più volte, ti aiuta ad avere una certa prospettiva storica e a creare una relazione spesso profonda con chi ti trovi lì. Forse non parli nemmeno la lingua ma si stabilisce una specie di feeling, una vicinanza che fa bene a tutti: a noi missionari come alle persone che hai modo di visitare anche a distanza di anni.

Ho trovato tanti missionari che hanno saputo dire quanto questo che ci abbia tenuto uniti. Pochi giorni fa un missionario di passaggio mi ha chiesto se avevo un minuto per dialogare e quando è venuto nel mio ufficio era per ringraziami per quello che avevo fatto per lui. Un altro missionario mi ha scritto chiedendomi perdono perché "non sempre mettiamo in pratica quello che scrivi".

Alla fine tutto questo è stato un cammino fatto assieme, potremmo anche dire che una consolazione reciproca: non si tratta affatto di essere giudici implacabili, ma fratelli che fanno assieme un cammino.

Poi un secondo spazio dove ho esercitato la consolazione è stato l'incontro con le comunità. Era un aspetto importante della visita perché aiutava a mettere in pratica il discernimento fatto con le persone. Magari in altri tempi il superiore vistando le comunità si soffermava molto su temi di carattere morale o disciplinare, legati alla vita dei missionari. Non ho voluto lasciare indietro queste cose ma ho dato amplio spazio alla condivisione, la riflessione e lo studio sulla missione. la riflessione sulla missione che ognuno stava portando avanti era un aspetto di primaria importanza.

Ho sempre cercato di vedere il senso di quello che stavamo facendo; se stavamo in una parrocchia per esempio chiedevo di conoscere il progetto pastorale. Ho sempre considerato importante che i missionari sapessero che il superiore si preoccupava di chiedere dove mettevano il loro accento, come spendevano il loro tempo, lo spazio che la missione avesse nel loro impegno quotidiano.

In questi anni forse potranno accusarmi di tanti sbagli, in tante cose certamente avrei potuto fare meglio, ma certamente non potranno mai dirmi che non sono stato sincero... ho sempre detto quello che sentivo dentro, tanto alle persone come alle comunità; ho cercato di evitare giustificare situazioni che avessero bisogno di una correzione e questa ho sempre cercato di realizzarla con rispetto e buone maniere. 

Ultima modifica il Martedì, 30 Maggio 2023 20:56
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