Missionari In Europa: Una Riflessione Missiologica

Pubblicato in Missione Oggi

Introduzione

Nel 2008 nella Zona europea dell’SVD si è fatta un’indagine tra i missionari provenienti da paesi extraeuropei. Incaricato dell’indagine fu P. Waldemar Wesoly, un polacco.
Esaminando il questionario preparato da P. Waldemar e le relative risposte, come pure i risultati emersi da incontri e assemblee in diverse province europee che trattavano dell’indagine fra confratelli non – europei in Europa, siamo indotti a prendere atto della nuova realtà dell’SVD in Europa e di alcuni mutamenti di paradigma nella comprensione della missione e, nel contempo, ci rendiamo conto di essere parte dello sviluppo generale che sta avvenendo nella chiesa e nel mondo odierno. Non siamo isolati, ma essendo una congregazione religiosa, missionaria, internazionale stiamo partecipando alla stessa sorte di molte altre congregazioni e dobbiamo cogliere le opportunità e affrontare le sfide derivanti da tali sviluppi.

Questa riflessione si vuole focalizzare su due importanti temi: Missione e Missionari. Di che genere di missione parliamo se guardiamo all’Europa di oggi? E come dobbiamo concepire il missionario qui da noi?

MISSIONE

Sviluppi Generali

A partire dagli anni sessanta si è parlato molto della comprensione della missione. La missione si può concepire come il proclamare, servire e testimoniare il regno d’amore, di salvezza e di giustizia di Dio.1Prima del Vaticano II la missione era definita geograficamente con l’area primaria d’invio in missione costituita da Europa occidentale, Nord America e Australia. I popoli che ricevevano la missione vivevano fondamentalmente nel resto del mondo, e venivano indicati come “le missioni”. Durante la seconda guerra mondiale in Francia venne pubblicato un opuscolo che asseriva come la stessa Francia fosse diventata terra di missione.2 Il Concilio Vaticano II parla della missione in termini di missione di Dio (Missio Dei) che non può essere limitata e confinata entro limiti territoriali umanamente definiti. Siccome la chiesa universale è missionaria per natura, ogni chiesa particolare o locale (diocesi o conferenza di diocesi) è ugualmente missionaria per natura (cf. Ad Gentes 2).3

Già negli anni settanta, Walbert Bühlmann annunciava “la venuta della terza Chiesa,”4 mentre Karl Rahner interpretava il Concilio Vaticano II come un evento comparabile solo con il “Concilio di Gerusalemme”, perché è stato lì che la Chiesa Cattolica per la prima volta è apparsa come chiesa universale.5 E mentre la chiesa è progredita molto in questo suo cammino per diventare una chiesa universale, le chiese locali europee si devono confrontare con nuove realtà e devono combattere nuove sfide. L’affermazione degli anni quaranta “La Francia è una terra di missione”, nel frattempo è stata accettata, e molti oggi definirebbero nello stesso modo la maggior parte del vecchio continente “cristiano” d’Europa.

Documenti, sia a livello locale che universale,6 ci danno un’idea non solo delle complesse realtà della missione ma anche della grande varietà delle risposte ed idee missionarie. Negli anni novanta Ecclesia in Europa presentò le sfide missionarie che devono affrontare anche le persone consacrate: domanda di nuove forme di spiritualità, secolarismo e consumismo in crescita, multiculturalità e multireligiosità facenti ormai parte dell’Europa, nuove forme di povertà e di emarginazione.7

Nel 2004 i vescovi tedeschi pubblicarono il documento “La vostra salvezza fra le nazioni” sulla missione della chiesa universale8 in cui presentano la “nuova” comprensione della missione e le sue conseguenze per la loro chiesa locale: “La Chiesa è parte integrante della missione di Dio, che ha assunto forma storica in Gesù Cristo ed è ispirata dallo Spirito Santo. Questa missione che emana da Dio, mira a stabilire il regno di Dio. Questo è ciò che la Chiesa deve testimoniare nel nostro paese e in tutto il mondo”.9 Già nel precedente rapporto “Tempo di semina”10 si era cercato di illustrare come la chiesa tedesca potesse essere missionaria nel proprio paese.

Per lungo tempo, il messaggio cristiano era stato assunto e diffuso dall’Europa nel mondo intero. “Oggi noi sappiamo che tutte le chiese locali radicate nelle proprie culture hanno un mandato missionario che esse stanno effettivamente compiendo. Per questa ragione, come tedeschi e come europei, dobbiamo chiederci quali sfide siamo chiamati ad affrontare nel mondo globalizzato e nella Chiesa Universale. L’attività missionaria nella nostra nazione e nella comunità delle nazioni può crescere solo se è condivisa, e si arricchirà vicendevolmente nello scambio fra l’esperienza delle chiese locali e i paesi del sud in particolare. Quanto più noi apriamo i nostri occhi, cuori e mani alla Chiesa Universale fra le nazioni, tanto più copiosamente saremo ricompensati e rafforzati nella fede come individui e come congregazioni”11.

Insieme agli altri cristiani i vescovi affermano che “il compito più importante delle chiese in Europa è la comune proclamazione del Vangelo sia in parole che in opere, per la salvezza di tutti”.12

Nel suo saggio per l’ ”Atlante del Cristianesimo Globale”, Kirsteen Kim si dilunga a scrivere sui missionari e sull’Europa.13 Con l’eccezione delle Chiese Ortodosse Orientali di Africa e Asia, nel 1910 le Chiese cristiane nel mondo erano dirette da europei o da discendenti di europei. Pochi, se ce n’erano, immaginavano che solo mezzo secolo dopo gli imperi, che avevano agevolato le missioni europee, sarebbero crollati e che nel 2010 la stessa Europa sarebbe stata definita “campo di missione”. Il mutamento maggiore da Edimburgo 1910 è la trasformazione nella percezione dell’Europa come continente d’invio in campo di missione, e di conseguenza l’assunzione di responsabilità per la missione da parte delle chiese locali. In quella che è riconosciuta come una società post-cristiana, le chiese dell’Europa occidentale hanno cercato nuove vie per accostarsi a una generazione estranea alla chiesa.14 L’ottimismo missionario e religioso dei tempi di Edimburgo 1910 si basava sul presupposto che l’Europa occidentale e la Russia avrebbero continuato ad essere i centri della cristianità. Ambedue crollarono in fretta durante gli anni che seguirono il 1917 di fronte al comunismo e alla secolarizzazione, ma il cristianesimo, anziché declinare, sperimentò una rinascita religiosa ed emerse come religione globale. Nel 1893 l’80% di coloro che professavano la fede cristiana vivevano in Europa e Nord America, mentre alla fine del ventesimo secolo il 60% viveva in Africa, Asia, America Latina e nel Pacifico. Fino a poco tempo fa, il cristianesimo era percepito come una religione europea e nordamericana ed identificata quasi esclusivamente con la civiltà occidentale. “Il cristianesimo ha iniziato il ventesimo secolo come una religione occidentale, e proprio come la religione occidentale; e l’ha concluso come una religione non-occidentale e in via di diventare progressivamente sempre più tale”.15 Ora, all’inizio di questo nuovo millennio, il cristianesimo non è solo in prevalenza una religione non-occidentale ma ampiamente pluralista e diversificata. Questo cambiamento demografico nel cristianesimo, causato dal movimento missionario, ha creato oggi due nuove realtà: un occidente post-cristiano e un cristianesimo post-occidentale.16

Lo storico Callum Brown nel suo libro The Death of Christianity in Britain descrive come il cristianesimo in Inghilterra sia stato spinto in una spirale verso il basso ai margini della società:

Un numero inaudito di inglesi, a partire dagli anni sessanta, non ha più frequentato la chiesa, ha cessato di essere praticante, non si è più sposato in chiesa e non ha più battezzato i propri figli. Nel frattempo i figli, le due generazioni che sono cresciute negli ultimi trent’anni del ventesimo secolo, hanno cessato di andare a scuola la domenica, di frequentare le classi per ricevere la confermazione o la prima comunione, e nel corso della vita sono entrati raramente, se mai l’hanno fatto, in una chiesa per pregare. Il ciclo, che per così tanti secoli aveva legato la gente in modo più o meno stretto alle chiese e ai punti di riferimento morali cristiani, è stato interrotto in modo definitivo negli anni sessanta. Da allora, la gente, un tempo religiosa, ha completamente abbandonato il cristianesimo organizzato immergendosi improvvisamente in una condizione veramente secolare.17

La fede cristiana è diventata marginale e irrilevante nella costruzione della realtà in cui la popolazione inglese è impegnata. In Gran Bretagna solo circa un milione dei ventisei milioni della Chiesa d’Inghilterra segue le funzioni della domenica. La Chiesa perde 1500 persone ogni settimana e non solo chi sta ai margini ma anche leader e gente impegnata in essa da venti o trent’anni. Un nuovo genere di letteratura cristiana durante l’ultima decade tratta solo del perché la gente abbandoni la chiesa. Per quanto tempo può credere una persona senza appartenere a una determinata comunità? E allora parecchie di queste persone vanno a finire nelle nuove chiese che stanno emergendo. Quanto si dice del Regno Unito vale anche per le altre nazioni dell’Europa occidentale.18

Questi sviluppi e prospettive che significato hanno per il cristianesimo? Esso sta forse perdendo per sempre l’occidente, il cuore antico della cristianità? Kenneth Ross si esprime nei termini seguenti: “Si può facilmente sostenere che pare proprio essere una caratteristica del cristianesimo che nel momento in cui la sua antica dimora europea sta divenendo inospitale, si metta in viaggio per nuovi lidi e sia abbracciato dai popoli dei grandi continenti del sud del mondo su vasta scala. Secondo questa analisi potrebbe ben succedere che l’Europa moderna condivida la sorte degli antichi centri d’influenza cristiana come il Nord Africa o la Turchia, che hanno nutrito la fede nei primi secoli, ma che oggi sono largamente privi della presenza cristiana.”.19 Ma c’è un’altra possibilità: è anche possibile che la vitalità sperimentata in tutto il sud diventi contagiosa. In altre parole, se il cristianesimo sta diventando prevalentemente non occidentale, allora ciò che avviene in Africa, Asia e America Latina avrà un’influenza crescente sul modo in cui il cristianesimo si verrà configurando nel mondo intero. Qualcosa del genere si può già sperimentare nell’odierna SVD europea. Il numero dei missionari provenienti dal sud in Europa, la nostra stessa indagine e la maggior parte di molte delle esperienze concrete con confratelli provenienti dall’Africa e dall’Asia dimostrano che essi sono la sorgente non solo del rinnovamento della nostra congregazione, ma anche delle nuove idee e dei nuovi modi di concepire la missione nell’Europa odierna!

Le iniziative missionarie oggi incontrano la doppia sfida di una crescente secolarizzazione e di una privatizzazione della religione. A prima vista, la secolarizzazione sembra dominare il campo. Il declino della spiritualità collegata alla chiesa appare, in Germania per esempio, nella partecipazione alle funzioni domenicali. La partecipazione regolare è diminuita considerevolmente nelle ultime decadi. Molte persone in Germania – sia cattoliche che protestanti – stanno lasciando le chiese mentre si è sviluppato nel contempo un mercato di idee religiose e filosofiche, che indica una rinascita religiosa ambivalente e che costituisce per le chiese una sfida altrettanto grande quanto la secolarizzazione. Nuove forme di religiosità, gruppi carismatici e pentecostali stanno entrando in Europa e attraggono le persone. Non c’è solo un crescente pluralismo di religioni, ma anche un crescente pluralismo all’interno del cristianesimo. La modernizzazione e il mutamento della cultura non conducono necessariamente alla fine della religione, ma spesso a una nuova ricerca delle origini e delle sorgenti della propria identità, di nuove forme di comunità e di valori orientativi. Gli sforzi missionari della chiesa del momento presente devono prendere in considerazione la nuova situazione religiosa delle persone.20

Esaminando la nuova situazione della Chiesa notiamo che, a partire dal Vaticano II, la Chiesa in tutto il mondo ha visto enormi cambiamenti, che hanno posto pure nuove sfide alla stessa missione di evangelizzazione. La realtà delle chiese locali e gli stessi diversi contesti e culture in Africa, Asia, America Latina e Oceania non potevano più essere ignorati. La comprensione della missione si estese ulteriormente fino ad includere esplicitamente la giustizia, la liberazione, il dialogo interreligioso, l’interazione dinamica fra vangelo e cultura (inculturazione e inter-culturazione) e la rievangelizzazione. In risposta a queste sfide, Papa Giovanni Paolo II richiese una nuova evangelizzazione e Papa Benedetto XVI ha creato il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. “La Chiesa ha il dovere di proclamare sempre e dovunque il Vangelo di Gesù Cristo”. Queste sono le parole di apertura della Lettera Apostolica scritta “motu proprio” intitolata Ubicumque et Semper di Benedetto XVI, con cui ha istituito Il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.21

La missione è costituita dalla semplice presenza e dalla testimonianza vivente di vita cristiana. Questo può anche essere un possibile modo per le persone consacrate di contribuire all’odierna missione in Europa. Specie le comunità religiose missionarie internazionali e inter-culturali possono aprire dei percorsi o modi alternativi di vita e sequela cristiane. La domanda di nuove forme di vita comunitaria è grande, e i missionari provenienti dall’Africa o dall’Asia saranno in grado di dare il proprio contributo, partendo dalla loro esperienza di chiesa nei propri paesi d’origine, alla ricerca di tante persone in Europa. L’internazionalità/inter-culturalità è una cosa che va imparata e dovrebbe far parte della formazione missionaria e dei programmi d’introduzione dei nuovi missionari. Il punto focale principale dovrebbe essere posto nella prospettiva della missione: le comunità religiose missionarie interculturali esistono per la missione e sono chiamate a essere, cioè a diventare segni viventi della possibilità di vivere una vita cristiana significativa nell’Europa odierna.

L’impegno concreto a servizio dell’umanità e tutte le forme di attività per lo sviluppo sociale e per la lotta contro la povertà e le strutture che produce è un altro importante campo di attività. Giustizia, pace e integrità del creato sono parte delle dimensioni caratteristiche della vita missionaria religiosa dell’SVD.22 Una delle grandi sfide che i missionari stanno affrontando in quasi tutti i paesi europei è la presenza di migranti e rifugiati provenienti dalle diverse parti del mondo. Alcuni missionari sono direttamente coinvolti nel ministero fra gli emigranti, e in questo ambito c’è ulteriore bisogno di collaborazione e di lavoro d’equipe.

“A Bialystok (Polonia), vicino al confine con la Bielorussia, troviamo un buon esempio di costruzione di dialogo con la gente povera e ai margini da parte dei verbiti. I confratelli lavorano per costruire una rete di supporto per persone e famiglie che soffrono di alcolismo, dipendenza dalla droga, AIDS, violenze di vario genere ecc. Ci si muove in due direzioni: aiuto a quelli che vengono curati per questi problemi e aiuto ai membri della famiglia, specialmente ai bambini. L’aiuto principale viene prestato da volontari laici. L’intero progetto è un eccellente progetto di animazione missionaria, perché i nostri tre confratelli incoraggiano i laici a partecipare all’opera missionaria e alla spiritualità della nostra società. I volontari includono molte persone che possono certamente venire identificati come i “potenti” nell’odierna società polacca: dottori, avvocati, imprenditori, insegnanti ecc. Essi vengono incoraggiati a costruire ponti di solidarietà fra i centri di potere e quelli che stano ai margini. Altri volontari, specie quelli che curano i drogati o i malati di AIDS, sono loro stessi persone che vivono ai margini della società.”23

C’è anche la vita liturgica e quella di contemplazione e di preghiera. La liturgia, la preghiera e la contemplazione cristiane hanno una lunga tradizione in Europa. I religiosi missionari sono chiamati ad essere persone di fede. Ad intra, all’interno delle proprie comunità, c’è il compito di integrare le esperienze di culture differenti nella preghiera e nella liturgia comune. Questo può essere un processo difficile, che richiede apertura e spirito di dialogo. Ma questi sforzi possono anche condurre a nuove forme di presenza missionaria in Europa: la nostra vita liturgica e quella di preghiera e contemplazione possono essere un invito ai molti che in Europa sono alla ricerca della fede e diventare un nuovo modo di incontrare Dio al giorno d’oggi.

C’è anche il dialogo in cui i cristiani incontrano i seguaci di altre tradizioni religiose al fine di camminare insieme verso la verità e lavorare insieme in progetti di interesse comune. Le società europee sono sempre più società multi-culturali e multi-religiose. L’islam è presente in molte parti d’Europa e i missionari cristiani provenienti dall’Africa e dall’Asia possono essere in grado di contribuire agli incontri e al dialogo con i musulmani partendo dalle proprie esperienze nei loro paesi d’origine multi-culturali e multi-religiose. Si devono trovare nuove vie d’incontro missionario e di dialogo, e noi siamo ancora agli inizi.

Infine c’è la predicazione e la catechesi in cui si proclama la buona notizia del Vangelo e se ne analizzano le conseguenze sulla vita e sulla cultura. Molti di coloro che hanno risposto all’intervista sono destinati al lavoro parrocchiale o pastorale in Europa. E quindi il loro retroterra religioso e culturale e le loro esperienze possono essere preziosi anche nel proclamare il Vangelo nell’Europa odierna. La base della proclamazione è lo Sacra Scrittura. La vita e il ministero di Gesù e i suoi sforzi tesi a rinnovare il suo popolo, come pure le esperienze dei primi cristiani e i loro sforzi di andare oltre i confini del giudaismo dovrebbero fungere da esempio per instaurare un dialogo profetico al giorno d’oggi e per rinnovare la nostra vita religiosa e missionaria.24

Oggi l’attività missionaria deve essere caratterizzata dal rispetto per ogni persona. Il fatto che la missione cristiana non può mai essere separata dall’amore e dal rispetto per gli altri dimostra quanto sia importante il ruolo che il dialogo riveste in tale missione. Nel dialogo interpersonale si sperimentano i propri limiti e anche la possibilità di superarli. Una persona scopre di non possedere la verità in modo perfetto e totale ma di poter lavorare con gli altri per questo obbiettivo. La mutua conferma, la correzione reciproca e lo scambio fraterno conducono gli interlocutori ad una maturità sempre maggiore che a sua volta genera comunione interpersonale. I punti di vista e le esperienze religiose possono anch’esse essere purificate e arricchite in questo processo d’incontro. Le dinamiche dell’incontro umano devono condurre noi cristiani ad ascoltare e a cercare di capire quello che gli altri ci comunicano per trarre profitto dai doni che Dio concede a tutti.

La Missione SVD in Europa

Anche nell’incontro fra i provinciali europei a Roscommon in Irlanda si è sottolineato come la comprensione della missione in Europa abbia subito dei mutamenti: “La Società del Verbo Divino in Europa non ravvisa più la sua funzione missionaria esclusivamente nellamissio ad gentes negli altri continenti perché ci sono molte situazioni missionarie nell’Europa stessa che richiedono i servizi missionari della Società.25

Si è dovuto ricorrere ad un’intensa campagna informativa e argomentativa per persuadere coloro che avanzavano delle riserve ed erano critici su questo nuovo modo di concepire la missione SVD in Europa, che venne poi adottato dal XIV Capitolo Generale della Società nel 1994. Questo Capitolo dichiarò: “La Società del Verbo Divino, sfidata in Europa dalla realtà della secolarizzazione, dall’apertura dell’Europa dell’est, dalla moderna migrazione dei popoli e dal declino delle vocazioni religiose, rivolge a tutta la Società la seguente richiesta: per rispondere a situazioni missionarie in Europa…la zona europea chiede la cooperazione internazionale da parte delle alte zone della Società…26.

Il XV Capitolo Generale del 2000 ha introdotto il termine “Dialogo Profetico” definendolo “la più approfondita e migliore comprensione” delle missione SVD.27 Le discussioni tenutesi al Capitolo hanno confermato che la comprensione della missione ad gentes ha subito uno spostamento da un orientamento esclusivamente geografico ad uno che include situazioni missionarie. “Partendo dalle nostre costituzioni, dal lavoro del Capitolo recente, come pure dal contesto più ampio in cui oggi viene compiuta la nostra missione, noi identifichiamo quattro situazioni alle quali ci sentiamo particolarmente chiamati a rispondere: evangelizzazione e ri-evangelizzazione, impegno per i poveri e le persone emarginate, testimonianza interculturale e conoscenza/comprensione interreligiosa.28 Il consenso cui si è pervenuti a Roscommon ha confermato, in prospettiva europea, tale modo di concepire la missione, sfidando nel contempo la presenza e la missione SVD in Europa e facendone un impegno per tutta la Società. I compiti che ne conseguono sono molti: risposte che devono essere ricercate, il concetto di Dialogo Profeto da trasferire in contesti europei e l’internazionalizzazione dell’SVD europea da continuare e ampliare.

Nella sua circolare “In Gratitudine e Speranza”29 a tutti i confratelli in Europa, il Superiore Generale P. Antonio Pernia sottolinea la necessità di una “spiritualità missionaria”. Basandosi sulla comprensione della missione come “dialogo profetico” i missionari sono chiamati ad essere in dialogo con Dio come il vero fondamento della loro missione. “Sebbene molti europei non si considerino più cristiani essi hanno ancora fame di valori spirituali…Ma oggi ‘essi pongono la loro fiducia più nella testimonianza che nei maestri, nell’esperienza più che nell’insegnamento e nella vita e nell’azione più che nelle teorie’ (RM 42). E se ascoltano dei maestri, è solo perché questi maestri sono anzitutto dei testimoni (Cf. EN 41)”. P. Pernia definisce la mediazione della nostra fede ad altri il fine della nostra vita religiosa missionaria. Come dicono le nostre costituzioni: “Ci proponiamo di rendere visibile nella nostra vita e nel nostro servizio la bontà e benignità di Dio” (Prologo). “Noi dobbiamo diventare missionari che proclamano ‘quello che abbiamo udito, quello che abbiamo visto con i nostri occhi, quello che contemplammo e toccammo con le nostre mani’ (1 Gv 1,1), il Verbo della vita, Gesù Cristo”.

Può risultare pure utile dare un’occhiata all’attuazione dei recenti Capitoli Generali SVD nelle province europee. Dei resoconti per il XVI Capitolo Generale del 2006 permettono una visione d’insieme di quanto è successo.

Negli anni passati la zona europea ha sperimentato uno sviluppo che possiamo definire come “un cambiamento di stagione”. Il primo effetto visibile di questo cambiamento si può desumere dai nostri numeri: dai più di 2400 missionari che l’SVD in Europa aveva nel 1955, oggi si è passati a meno di 1300. Il declino dei membri, combinato con l’età avanzata di questi confratelli europei che sono ancora attivi, ha prodotto dei cambiamenti profondi nelle nostre comunità.

Il fatto che noi non siamo più in grado di continuare a svolgere le nostre attività tradizionali ci ha obbligato a chiudere o a trovare altri scopi per alcune delle nostre case e a considerare l’opportunità di unire alcune delle province. Mentre un tempo consideravamo il reclutamento e la preparazione di missionari per gli altri paesi come più o meno la nostra sola ragione di esistere in Europa, ora siamo arrivati a comprendere che anche l’Europa è un territorio di missione come ogni altro angolo della mondo.

Oggi, in tutte le nostre province e case di formazione abbiamo dei confratelli provenienti da tutto il mondo. Nell’Europa orientale i nostri confratelli hanno grandi opportunità di intraprendere un dialogo proficuo con i nostri fratelli e sorelle ortodossi come pure con il mondo dell’islam. In Europa occidentale è urgente che noi ci avviciniamo al mondo di coloro che sono in ricerca della fede. L’Europa ha bisogno di missionari che sono in grado di entrare in dialogo con questi nuovi compagni sulle strade della vita.

Per arrivare a conoscere la nostra reale situazione come pure ad imparare una delle nostre lingue ed essere così preparati a lavorare con gioia in Europa o in altre parti del mondo, sembra opportuno dover accogliere nelle nostre case di formazione dei giovani verbiti che sono interessati a ricevere parte della loro formazione in un contesto multiculturale. La vita in tali case di formazione è già di per se stessa una buona preparazione per il loro lavoro futuro. Piccole future comunità di vita, inserite in un’Europa multiculturale, possono essere un segno della presenza di Dio in mezzo a noi. Esse dovrebbero essere “scuole di dialogo autentico” nell’Europa del terzo millennio.

Proprio come il nostro fondatore San Arnoldo si è interessato fin dall’inizio della situazione degli europei emigrati in America Latina, anche oggi la SVD ha messo a disposizione alcuni confratelli per lavorare tra i migranti in Europa. Questi confratelli sono normalmente ben integrati nel piano pastorale delle Diocesi. Questo lavoro è un campo di attività privilegiato sia per i confratelli europei che per coloro che provengono da altri continenti.30

Infine, il XVI Capitolo Generale ha riconfermato la comprensione della missione come dialogo profetico e stabilito: “Basandosi sulle intuizioni dei capitoli generali del 1988 e 1994 (superare le frontiere e la missione al servizio della comunione), il Capitolo Generale del 2000 ha presentato tre concetti chiave per stimolare il nostro pensare e animare la pratica della missione: testimonianza del Regno di Dio, Dialogo Profetico e Dimensioni Caratteristiche. Se noi compariamo il nostro impegno missionario a un viaggio, possiamo dire che la nostra testimonianza del Regno di Dio ha a che fare con lo scopo del nostro viaggio; il dialogo profetico si focalizza sui compagni con cui condividiamo il viaggio e il modo con cui ci relazioniamo con loro; e le dimensioni caratteristiche indicano le vie che seguiamo. Noi diamo testimonianza del Regno di Dio mediante il dialogo profetico attraverso dimensioni caratteristiche”.31 L’approfondimento della comprensione della testimonianza del Regno di Dio, del Dialogo Profetico e delle Dimensioni Caratteristiche (Apostolato Biblico; Animazione missionaria; Giustizia-Pace-Integrità del Creato; Comunicazione) come pure la presentazione di cinque dimensioni della nostra vita di religiosi missionari verbiti (spiritualità, comunità, leadership, finanze, formazione) offrono una chiara prospettiva della comprensione verbita della missione e indicano alcune misure da prendere.

Il XVI Capitolo Generale ha continuato quello che il XV aveva iniziato e connette la questione missionaria con l’identità religiosa (consacrata) dell’SVD. Possiamo perfino intendere il termine “dialogo profetico” come quello che connette fra loro la dimensioni consacrata e quella missionaria della vita dell’SVD. La dimensione profetica della vita consacrata è stata sottolineata fin dal Concilio Vaticano II. Nel contempo, la missione è stata concepita in termini di dialogo.32

Il concetto SVD di missione si è sviluppato ed oggi è racchiuso in quello di dialogo profetico. Dopo un lungo viaggio di coinvolgimento nella missione e in risposta all’odierna situazione mondiale, ascoltando la chiamata dello Spirito siamo pervenuti a questa nuova consapevolezza del nostro antico carisma della missione ad gentes (o, nel frattempo, “missione inter gentes”). La missione oggi dev’essere intesa meno in senso geografico e più nel senso di situazioni missionarie o di persone da contattare.

La missione verbita oggi ha a che fare con quelli che sono i nostri partner nel dialogo. Il nostro principale impegno missionario è per le persone che non hanno una comunità di fede e ne sono in ricerca, persone povere e messe ai margini, persone di differenti culture e persone di differenti tradizioni religiose e ideologie secolari.33 La missione non è una comunicazione a senso unico; è un condividere da ambedue le parti, un cercare insieme per conseguire la verità piena. È il riconoscere la nostra peccaminosità e un impegnarci in una conversione costante. Non è un ascoltare passivo ma un impegnarci nella nostra fede, un testimoniare onestamente e coraggiosamente questa fede. Questo nuovo modo di fare missione è il riferimento per rinnovare le nostre vite.34

MISSIONARI

Nel 1910 due terzi di tutti i missionari cristiani erano europei. Nel 2010 questa percentuale è calata e si è ridotta a un terzo. Nel 1910 la metà di tutti i missionari europei lavorava in Asia, ma si ridusse drasticamente quando le potenze coloniali scomparvero. Attualmente la destinazione principale dei missionari europei è all’interno della stessa Europa. Il numero di missionari europei inviati al di fuori ha iniziato a decrescere a partire dal 1970; nel contempo, l’Europa riceve più missionari dagli altri cinque continenti. Oggi la maggior parte dei missionari provenienti dall’Africa e dall’Asia sta lavorando in prevalenza nei propri continenti; si deve tuttavia notare che il loro numero sta crescendo anche in Europa.35

La crescita del cristianesimo in tutto il Sud del mondo ha portato con sé anche l’inversione dell’ impresa missionaria cristiana: mentre i progetti missionari continuano “ dall’occidente verso il resto del mondo”, c’è anche un numero crescente di movimenti missionari orientati in direzione opposta “dal resto del mondo all’occidente” (Vethanayagamony). Il grande movimento missionario non è finito, ma è diventato omni-direzionale, missione in e verso i sei continenti, e la leadership in missione è formata sempre più dal Sud Globale. Questo vale per tutte le confessioni cristiane. Il Secondo Congresso Internazionale sull’Evangelizzazione Mondiale concludeva dicendo: “La ‘Missione’ non è più, e non può più essere un movimento unidirezionale a partire dalle ‘chiese più vecchie’…Ogni chiesa locale è e non può che essere missionaria… è responsabile della sua missione, e responsabile della missione di tutte le sue chiese sorelle. Ogni chiesa locale, secondo le sue possibilità, deve condividere i propri doni con le necessità delle altre chiese, per la missione nell’umanità, per la vita del mondo… Lo Spirito del Signore chiama ogni popolo e ogni cultura ad una risposta nuova e creativa al Vangelo”.36 Il cristianesimo asiatico, latino-americano (nel caso della Spagna) ed africano in tutta la sua diversità e contestualità può fornire un modello per riformulare la religione e la fede cristiana in un’impresa olistica nel mondo occidentale.

Tuttavia, il problema è se le chiese occidentali sono pronte a cogliere l’opportunità che ora si presenta loro come disponibile. La SVD europea è veramente pronta non solo ad accogliere dei confratelli dal Sud Globale, ma anche ad essere influenzata e rinnovata da loro e dai loro background, culture e modi di concepire la vita missionaria e religiosa? L’osservazione di Hollenweger che “i cristiani in Gran Bretagna hanno pregato per molti anni per il rinnovamento, e quando è arrivato non l’hanno riconosciuto perché era ‘nero’,”37 può essere rilevante anche in altri contesti. I religiosi, per esempio, hanno pregato per un rinnovamento per tanti anni, ma è un dat di fatto che una reale internazionalità o multi-culturalità rimane difficile e che i religiosi missionari europei in Europa spesso si aspettano che i loro fratelli e sorelle provenienti dal Sud del mondo si adattino in modo tale al loro contesto da diventare dei “piccoli europei”; in questo modo, però, il rinnovamento non si verificherà affatto.

Peter Vethanyagamony scrive: “…i missionari che provengono dal Sud devono affrontare parecchie sfide. Non hanno il peso e potere politico ed economico che gli occidentali avevano avuto nel passato. Il cristianesimo un tempo era la religione di un occidente sicuro di sé, tecnologicamente avanzato e sempre più ricco, e talvolta tutte queste cose erano viste come un segno del favore divino. Il cristianesimo, ora più che mai, è associato principalmente a gente povera e ad alcuni dei paesi più poveri della terra. Proprio come la missione paolina, la loro missione è impotente in termini umani e quindi dipendente dallo Spirito Santo. Non solo non ha alcun potere economico e politico, ma non ha neppure la grande struttura organizzativa del movimento missionario moderno”.38 Mentre l’ultima affermazione può non riferirsi ai missionari verbiti, le altre osservazioni sono vere. I missionari provenienti da Sud operano da una posizione di debolezza e impotenza in termini umani, ma questa può essere la loro forza in una prospettiva missionaria”. Sempre più gli attori della missione cristiana provengono dai deboli, dagli emarginati, dagli indifesi…è sempre più il povero che sta portando il vangelo al ricco…Molti migranti provengono dai nuovi centri del cristianesimo e portano la fiamma della fede ai vecchi centri nel nord, dove il fuoco sta languendo”.39

Mutamenti nel Personale della Missione

Nella sua riflessione sulla missione in un tempo di prova David Bosch40 afferma che la posizione delle agenzie missionarie e i missionari occidentali hanno subito una revisione fondamentale. I missionari non si recano più come ambasciatori o rappresentanti del potente occidente nei territori soggetti alle nazioni “cristiane” bianche. Essi ora si recano in paesi di frequente ostili alla missione cristiana. E nella cornice dell’attuale disposizione al dialogo con genti di fede diversa, i missionari si chiedono sempre più spesso se valga ancora la pena andare in capo al mondo per annunciare il Vangelo. Perché, infatti, si dovrebbero “soffrire le pene dell’esilio e le punture degli insetti” se le persone, in definitiva, saranno comunque salvate? Dopotutto “è già abbastanza pesante dover svolgere un lavoro duro, ma è molto peggio se uno si ritrova a chiedersi se valga veramente la pena svolgerlo”.

Nella chiesa primitiva i cristiani sapevano che il battesimo li faceva membri della chiesa e anche collaboratori nel continuare la missione di Gesù. Il processo del catecumenato poneva le fondamenta, le chiese locali, le reti cristiane, la preghiera e i riti della comunità fornivano i mattoni per la costruzione; su questa base i cristiani testimoniarono la loro fede e la comunità di discepoli continuò a crescere. Fino al XVI secolo la missione venne sempre più associata a un gruppo selezionato di specialisti, i missionari. A partire da Vaticano II si sottolinea di nuovo la vocazione missionaria di tutti. Ad Gentes 35 dice che “tutta la Chiesa è missionaria e l’opera di evangelizzazione è dovere fondamentale del Popolo di Dio”. Paolo VI rileva che: “ Tutta la Chiesa riceve la missione di evangelizzare, e l’opera di ciascuno è importante per il tutto” EN 15.41 Secondo Redemptoris Missio “si sta affermando una coscienza nuova, cioè che la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni della Chiesa” (RM 2). La missione non è più un’attività riservata a pochi specialisti selezionati, ma una parte essenziale dell’essere Chiesa e cristiani, e tutti sono chiamati a parteciparvi. Sia Paolo VI che Giovanni Paolo II sottolineano il ruolo che deve svolgere il laicato (cf. EN 71; RM 74). Ma ci sono anche quelli che partecipano alla missione di Dio attraversando confini religiosi, culturali ed economici in modi più deliberati ed espliciti. “ Tali cristiani ordinati, religiosi e un crescente numero di laici vengono identificati come missionari”.42

Missionari che vivono l’ Inter-culturalità

Qui stiamo parlando di missionari ‘inter-culturali’ o stranieri, che sono mandati da un paese a un altro (nel nostro caso dai loro paesi d’origine in Africa, America, Asia o Oceania a un paese in Europa). Ciò non esclude certamente altre vocazioni missionarie e altri modi di partecipare alla missione di Dio. Infatti, oggi la missione consiste principalmente nella collaborazione con diversi gruppi e individui che in un modo o in un altro rispondono alla chiamata ad essere missionari in forma più esplicita. L’importanza dei laici e della collaborazione con loro è pure sottolineata nel documento “SVD-Laicato. Partnership missionaria”43 dove leggiamo: “La Chiesa di oggi, quindi, si trova in un’era privilegiata. In nessun altro secolo essa ha avuto il dono di laici istruiti e colti quasi ovunque – molti dei quali partecipano generosamente alla leadership pastorale e al servizio missionario. Una conseguenza imprevista è la tensione crescente fra ministri ordinati e leader laici. Alcuni ravvisano in questo un serio problema e un antagonismo potenziale da risolvere, ma va piuttosto accolto come un processo creativo il cui svolgimento porta la promessa di una rinascita ecclesiale “.44

E più avanti: “Quindi, siccome le vocazioni sacerdotali e la frequenza regolare alla chiesa va scemando al suo interno, i cattolici in Europa devono convivere sempre più frequentemente con l’amara chiusura o l‘unione di più parrocchie un tempo fiorenti. Ma una controtendenza sembra predire un’altra Europa che non è la tomba della cristianità ma una serra per un cristianesimo nuovo. Essa si manifesta nella crescita e diffusione di vari e numerosi movimenti ecclesiali – che vanno dai ‘conservatori’ ai “progressisti” negli orientamenti culturali e sociali e sono guidati principalmente da laici “.45

Noi vogliamo sottolineare esplicitamente l’importanza del laicato nella nostra missione, ma qui la nostra enfasi principale è posta sulla realtà dei missionari verbiti provenienti da altri continenti in Europa. In aggiunta, noi stiamo parlando di missionari che sono membri di una congregazione religiosa missionaria con uno specifico carisma. Le costituzioni della SVD recitano: “Chiunque entra a far parte della nostra Società deve essere disposto, in adempimento del nostro mandato missionario, a recarsi ovunque il Superiore lo invii, anche se tale destinazione comporta la rinuncia alla propria patria, alla lingua materna e al proprio ambiente culturale. Questa disponibilità costituisce una caratteristica essenziale della nostra vocazione missionaria. I confratelli, a loro volta, hanno sempre il diritto di chiedere di poter svolgere il servizio missionario in un altro paese o ambito culturale” (c. 102).

Mentre la disponibilità per la missione inter-culturale è un requisito fondamentale verbita, tutti i membri della Società hanno sempre il diritto di optare per la missione ad di fuori del loro paese e cultura d’origine. Se una fondamentale disponibilità per i bisogni della congregazione è importante, la libertà di scegliere una certa area di missione può essere utile per la motivazione missionaria dei membri. Nella sua ultima lettera sulle nuove destinazioni alla missione,46 il P. Superiore Generale scrive che prima di emettere i voti perpetui, ai candidati viene richiesto” di indicare ai superiori sia il paese o la Provincia/Regione e il tipo di lavoro per cui si sentono più idonei ( 116.1)…”. Per questo, dev’essere data grande importanza alle considerazioni seguenti:

  1. Impegno per tutta la vita: Il fine di ogni missionario dev’essere quello di diventare un tutt’uno con il popolo cui è stato inviato. Ciò implica il cercare di adottare un nuovo popolo e una nuova cultura e il lasciarsi adottare da questo nuovo popolo. San Giuseppe Freinademetz è il nostro modello a tale riguardo. Una volta scrisse: ‘ la Cina è diventata non solo la mia madre patria ma anche il campo di battaglia in cui un giorno cadrò…”. La prima destinazione, quindi, è un impegno per tutta la vita.
  2. Motivazioni missionarie: le scelte dovrebbero essere fatte sulla base di motivazioni missionarie (‘Dove sono richiesto?’) piuttosto che essere funzionali a desiderata di carattere personale (‘Cosa mi piace fare?’). Dovrebbero essere fatte nello spirito del profeta Isaia: ‘Poi udii la voce del Signore che diceva: ‘Chi manderò e chi andrà per noi?’ ed io risposi: ‘Eccomi, manda me!’ “(Is 6,8).
  3. Missioni difficili: Il Consiglio Generale ed io desideriamo sfidare i nostri giovani confratelli ad essere pronti a scegliere le nostre missioni più difficili e non quelle in cui loro pensano di potersi trovare a proprio agio.
  4. Dialogo profetico. I giovani confratelli dovrebbero anche aver in mente la prospettiva del nostro “quadruplice dialogo profetico” quando esprimono il loro desiderio per un particolare tipo di lavoro missionario. Nel mondo d’oggi, noi stiamo affrontando le nuove sfide del ministero urbano, del lavoro con i migranti, i rifugiati e i profughi, il ministero fra i popoli indigeni e quelli che soffrono di HIV/AIDS, ecc.”.

Anche per quanto concerne i missionari assegnati all’Europa è importante siano loro stessi a scegliere tale destinazione. Non funzionerebbe se fossero inviati solo dai superiori ed essi accondiscendessero meramente per “obbedienza”. Ciò dovrebbe già valere per quelli che vengono in Europa durante gli anni in cui emettono i voti temporanei per completare la loro formazione iniziale. Si devono prendere in considerazione i bisogni della Società; però anche gli interessi e le motivazioni personali di lavorare nel luogo in cui si programma la propria missione sono importantissimi. Il terzo dei punti cui si accennava sopra è anche fondamentale: ci sono esperienze e ragioni differenti per denominare “difficile” una missione. Queste possono essere di natura economica e sociale: la povertà, l’ingiustizia, la violenza ecc. in un determinato posto rendono sicuramente difficile una missione (in qualsiasi modo s’intenda tale missione). Ma anche l’Europa può essere una missione difficile. La secolarizzazione, l’indifferenza religiosa, l’individualismo, il materialismo ecc. ed anche la situazione della chiesa e della vita religiosa nel continente Europa possono essere motivo di difficoltà. Europa – cioè molte realtà, contesti e culture diverse allo stesso tempo. In aggiunta, la storia – il ruolo dell’Europa nella storia dell’Africa e dell’Asia, come pure la stessa storia europea – può rendere la missione difficile. Si devono poi prendere seriamente in considerazione da tutte le parti anche sentimenti o perfino esperienze di superiorità o d’inferiorità.

Preparazione dei Missionari

Oggi, la preparazione dei missionari (locali e stranieri) per il loro compito è un fattore essenziale nella missione. I missionari verbiti desiderano vivere in comunità internazionali, multi-culturali nei diversi contesti ai quali sono assegnati. La preparazione dei missionari – a prescindere da molti altri aspetti – deve includere sia l’acquisizione di un modo di vivere internazionale e inter-culturale che lo studio della nuova cultura e contesto in cui si è inseriti. E quando si cerca di essere missionari in comunità interculturali e nel contempo venire inculturati possono anche insorgere dei conflitti.

In preparazione alla conferenza di Edimburgo del 2010 furono create delle commissioni per riflettere su nove temi, identificati come i temi chiave della missione nel ventunesimo secolo. La quinta commissione si occupò della preparazione dei missionari.47 La situazione mondiale in rapido mutamento venne vista come una sfida alle chiese a produrre uno standard superiore di missionario. I missionari devono essere uomini e donne che combinano una genuina vocazione con una formazione professionale e teologica il più elevata possibile. Secondo le esperienze riportate dai missionari c’è una notevole disparità fra i loro ideali e gli standard reali o di lavoro conseguiti. Questo è vero sia per quanto concerne i livelli di preparazione personale (fisica, sociale, intellettuale, spirituale) che per quanto riguarda la formazione professionale dei missionari.

Si è soliti distinguere due dimensioni nella nostra vocazione religiosa missionaria: la dimensione personale e la dimensione ministeriale. Il processo di crescita come persona e il bisogno di affrontare i mutamenti che l’accompagnano nella propria vita personale sono fattori da prendere in considerazione. Inoltre, per quanto concerne la nostra azione e servizio missionari, il contesto di un mondo in rapido cambiamento offre nuove possibilità, ma pone anche inedite sfide. È normale, quindi, che la nostra vocazione abbia bisogno di una formazione continua in ambedue le dimensioni.48

Gli anni iniziali in missione devono essere spesi ad imparare dalla gente e dal reale contesto della missione. La tentazione di immergersi troppo presto nel ministero attivo di propria iniziativa e sotto la propria responsabilità deve essere evitata. È indispensabile in questo periodo avere una struttura di supporto disponibile. Come viene riportato in dettaglio nel Manuale per i Superiori SVD (A5) dev’essere predisposto un piano preciso per l’introduzione e l’apprendimento della lingua dei nuovi missionari. Questo piano dovrebbe includere l’accompagnamento personale da parte di un confratello esperto e comprensivo. Si è dimostrato come siano molto utili anche degli incontri regolari fra i nuovi confratelli che hanno ricevuto di recente la loro destinazione. Si deve prestare speciale attenzione poi nell’introdurli a vivere e a lavorare in gruppi internazionali e interculturali.49

La formazione missionaria deve integrare elementi spirituali, morali e intellettuali. Siccome l’elemento spirituale è soltanto un dono di Dio, dev’essere nutrito attraverso la vita missionaria, in cui la formazione, sia prima che durante il servizio missionario, è essenziale. I missionari devono essere uomini di fede…50 La formazione morale deve coltivare quattro qualità: docilità nel senso d’essere sempre pronto e desideroso d’imparare; gentilezza o spirito di cortesia, che abilita i missionari a comprendere i costumi della gente in mezzo alla quale sono chiamati a vivere; e simpatia che mette in grado i missionari di amare le persone che sono mandati a servire. Queste qualità si combinano a produrne una quarta che tutti i missionari devono cercare di conseguire: cioè la “leadership”, in considerazione dei “speciali doveri e responsabilità che la posizione del missionario comporta”.51 Oltre a queste qualità anche la formazione intellettuale è di grande importanza. Il missionario deve avere l’educazione migliore che il proprio paese e la chiesa possono dargli, qualunque sia il tipo di lavoro che è chiamato a svolgere. La competenza professionale è un requisito importante della formazione religiosa missionaria, e deve rimanere un criterio in tutti i programmi di formazione e specializzazione in corso.

Idealmente la formazione dovrebbe avvenire in stretta prossimità alle reali situazioni e in costante interazione con il personale missionario attivo nel campo. Attraverso un processo guidato i ‘formandi’ dovrebbero essere incoraggiati a fare una valutazione realistica della risposta missionaria che ha luogo nel loro ambiente per poterne analizzare luci e ombre. Le realtà che si incontrano nella missione dovrebbero fungere da impulso per apprendere lezioni nuove. Tale apprendimento diviene possibile attraverso le opportunità che si hanno di trasmettere l’esperienza derivante dalla effettiva attività missionaria. Esse dovrebbero diventare un ingrediente normale dei nostri programmi di formazione. Noi abbiamo predisposto dei processi per fornire tali esperienze della missione: Direzione Programma di formazione interculturale (CTP), Programma di formazione all’estero (OTP), Programma di esposizione e immersione (EIP), Educazione pastorale clinica (CPE) e ministero pastorale guidato. Per garantire che questi programmi siano più efficaci nel contribuire alla nostra formazione missionaria, dobbiamo far uso del modello “azione-riflessione – azione”.52

Nel suo articolo “La filosofia della formazione interculturale” Ivan Illich scrive: “Per quale motivo poi la povertà spirituale dev’essere solo indifferenza e propensione a vivere senza quello che ci piace? Proprio come la povertà spirituale comporta non l’assenza delle cose che piacciono, ma la libertà da esse; così l’atteggiamento del missionario lo deve condurre non alla negazione del suo background ma alla comunicazione con quello dell’altro, e questo è un obiettivo difficile da raggiungere. È difficile diventare indifferenti – distaccati da tutti i comfort esteriori. È ancora più difficile essere indifferenti a beni come le condizioni fisiche, che sostengono una vita sana, o alla presenza delle persone amate, o alla nostra reputazione o al nostro successo. È molto più difficile ancora distaccarsi da convinzioni profondamente radicate in noi fin dalla fanciullezza su ciò che va o non va fatto. Ma è proprio quest’ultimo distacco che il missionario deve conseguire se vuole essere veramente uno strumento dell’incarnazione piuttosto che un agente della propria cultura. Nessun missionario ha il diritto di insistere, nel nome del Vangelo, sull’accettazione del proprio background umano e quindi di rendere il battesimo o l’appartenenza alla chiesa dipendenti da un grado di povertà spirituale nel convertito che egli stesso non vuole mettere in pratica”.53  I missionari devono essere eccellenti comunicatori in grado di unire le persone. Un ministero di gruppo sembra essere il solo metodo pastorale appropriato che corrisponde all’idea di collegialità, comunione e partnership come modo d’essere chiesa e di “fare” missione (54). Franz-Josef Eilers sottolinea che: “Dev’essere, comunque, chiaro che una delle esigenze fondamentali in questo senso è anche rendersi conto che senza una sufficiente conoscenza delle propria cultura, delle propria personalità e religione, non si può realmente comunicare interculturalmente: la mia cultura come ha plasmato e plasma, ha influenzato e influenza la mia conoscenza, il mio comportamento, la mia comprensione e la mia comunicazione, e dove si situa il limite che devo mantenere o dove devo oltrepassare il confine posto dalla mia eredità culturale?”55

I missionari, che vengono inviati in un paese straniero, sono estranei al luogo a cui sono destinati. Essi sono degli “estranei,” le cui personalità sono state formate da una cultura completamente differente da quella del luogo in cui s’immagina debbano lavorare; essi sono chiamati a oltrepassare le frontiere della propria cultura. A. Bellagamba traccia il seguente profilo dei missionari d’oggi:

I missionari devono essere persone che vivono o hanno vissuto in più di una cultura, che sono entrati in contatto con più di un paese, che hanno pregato con fedeli di più di una religione e hanno imparato più di una lingua. Sono a casa ovunque, ma non lo sono completamente in nessun posto. Sono persone che possono facilmente spostarsi da un luogo all’altro, da una cultura all’altra e non si sentono confusi o persi o incapaci di agire.

Siccome l’umanità sta muovendosi sempre più verso una comunità mondiale, solo quegli individui che hanno sviluppato le qualità e abilità che il missionario deve possedere e di cui dev’essere l’esempio, sarà capace di vivere, crescere, operare ed essere felice in questo villaggio globale. Le persone che non possono accettare il multiculturalismo, il multirazzismo, le persone che hanno paura di spostarsi da un posto all’altro, che non sono in grado di  padroneggiare più di una lingua, troveranno difficile vivere il prossimo stadio dell’esistenza umana. Il missionario di oggi è il prototipo di quello che tutte le persone devono diventare nella prossima era dello sviluppo dell’umanità.56

Nei tempi passati, i missionari lasciavano i propri paesi d’origine per non ritornarvi di solito mai più. Noi non possiamo che ammirare il loro spirito d’eroismo e abnegazione di fronte alle molte avversità che dovevano affrontare. Oggi i missionari condividono la stessa aspettativa di vita dei loro contemporanei; viaggiano spesso in aereo e comunicano via e-mail. Il passato modello di avventuriero-conquistatore-martire ha lasciato il posto a quello di un costruttore di ponti, un comunicatore, un interlocutore.

I missionari odierni non possono più contare sullo stesso fondamento ideologico dei loro predecessori. Essi potevano sacrificare le proprie vite per “salvare le anime” dalla perdizione eterna e per costruire la chiesa. L’identità era chiaramente definita da un senso della missione divina di predicare, convertire e battezzare (cf. Mt 28,16-20). I missionari di oggi hanno ancora bisogno della convinzione di essere mandati, ma il loro senso d’identità può essere più oscuro e sfuocato. Lavorare e servire con convinzione, e tuttavia senza un bagaglio ideologico, offrire se stessi e sentirsi comunque a mani vuote, fa parte di un nuovo modo di missione. Sacrificio e svuotamento di sé continuano ad essere parte integrante della vita di un missionario che prende il proprio compito seriamente, ma in forme nuove (RM): Louis Luzbetak scrive:

La più comune, più dolorosa e più importante ma generalmente meno riconosciuta forma di autoimmolazione è la chiamata a piccoli ma reali e continui sacrifici giornalieri…Ci riferiamo, per esempio, ai sacrifici enormi che vengono richiesti a tutti coloro che sono impegnati in servizi inter-culturali nell’imparare e nell’apprezzare i valori e le usanze della comunità al cui servizio sono destinati; ci sono pure le pesanti e infinite umiliazioni e frustrazioni associate ad ogni effettivo sforzo di padroneggiare un dialetto locale che pare “insignificante”; c’è la violenza inflitta al proprio sé, richiesta per adattarsi agli standard locali dell’interazione umana…57

Il XIII Capitolo Generale dell’SVD (1988) asseriva: “Oggi, per i Missionari del Verbo Divino, ci sono tre momenti speciali in cui dobbiamo imitare la ‘pasqua’ del Signore. Noi siamo chiamati alla pasqua quando ci immergiamo in un’altra cultura, quando ci uniamo al povero, e quando ci impegniamo nel dialogo”.58 L’esperienza di missionari di culture, religioni e stili di vita diversi li qualifica come persone che possono unire insieme persone e stili di vita diversi, riconciliarli, renderli intelligibili l’un l’altro e istillare rispetto l’uno per l’altro. I missionari vivono in un continuo processo di “passaggio” e “ritorno”, passaggio da una cultura ad un’altra, da una religione all’altra, e ritorno al proprio stile di vita, alla propria religione.59 I missionari cristiani mandati dall’Africa e dall’Asia in Europa possono incontrare popoli e società le cui culture sono state profondamente influenzate dal cristianesimo. Ma devono anche affrontare le realtà odierne del cristianesimo e della religiosità europei – nuove sfide e questioni, la secolarizzazione, posizioni critiche verso la chiesa ecc.

Un atteggiamento di apertura all’ignoto e il desiderio di “andare oltre” il proprio mondo, cultura e religione sono importanti. Il presente contesto globale richiede dai missionari sensibilità per i bisogni emergenti. Può essere utile inserire lo studio della cultura e delle culture nei diversi programmi per la preparazione dei missionari.

Orientamenti Missionari

Ora la cultura umana è concepita come una caratteristica essenziale dell’esistenza umana. Può essere utilmente analizzata nelle sue varie parti, ed è passibile di un’infinita varietà di combinazioni e di possibilità. La cultura delle comunità cui è rivolta l’evangelizzazione assume un’importanza decisiva. L’uso di termini distorti come “elevata” o “primitiva” per descrivere una particolare cultura riflette un orientamento valutativo da parte dell’osservatore che di norma deve essere evitato. La cultura è un sistema che dà senso/significato alla vita in tutte le sue dimensioni e che s‘impara e realizza in un particolare gruppo sociale. Tutte le culture sono soggette a un continuo cambiamento, lento o rapido; quindi ogni cultura dev’ssere concepita in una prospettiva dinamica. Inoltre, tutte le culture sono in un certo qual senso in contatto, conflitto e scambio con altre culture, sia in senso positivo che negativo…60

Louis Luzbetak scrive su “Mission Models” (Modelli di Missione): “ Nel discutere i modelli di missione, la nostra intenzione non è tanto quella di condannare errori passati quanto di imparare da essi. Con modelli di missione noi intendiamo i postulati, le argomentazioni e i sistemi di motivazione impiegati come guida e modello nel compiere la missione della Chiesa”. Tali modelli vengono esternati nelle priorità, strategie e approcci di coloro che sono impegnati nella missione.61 I postulati, le argomentazioni e motivazioni di cui parla Luzbetak sono importanti per comprendere gli approcci dei missionari alle culture. Egli afferma che: “gli innumerevoli modelli di missione della storia bimillenaria dell’azione missionaria, nonostante le loro differenze, possono essere inseriti in una di queste tre categorie a seconda che i tratti principali del modello rivelino un orientamento (1) etnocentrico, (2) accomodante/adattivo e (3) contestuale (inculturazionale).”.62

L’etnocentrismo è la tendenza ( in un certo grado presente in ogni essere umano) di ritenere i modi di vivere e i valori della propria società come i normali, giusti, appropriati e di certo i migliori modi di pensare, di sentire, di parlare e di fare le cose, sia si tratti di mangiare, di dormire, di vestirsi, di scaricare le immondizie, di sposarsi, di seppellire i morti o di parlare con Dio. Si possono distinguere diversi tipi, livelli e forme di etnocentrismo: a partire da minori e comprensibili eccessi  nella fedeltà di gruppo e nell’orgoglio di gruppo ad un’incontrollata xenofobia e a differenti livelli di imperdonabile imperialismo culturale. L’etnocentrismo esiste a livello culturale, subculturale e ad altri livelli minori. Le forme più comuni di etnocentrismo sono il paternalismo, il trionfalismo e il razzismo.

Il principio dell’ adattamento missionario crede che le altre culture contengano degli elementi che sono compatibili con il Vangelo. L’adattamento insiste nell’affermare che la Chiesa, sia a livello universale che locale, deve permettere alle chiese locali di incorporare degli elementi della cultura locale. Il messaggio cristiano deve essere tradotto nella cultura locale. La traduzione dei testi liturgici e la celebrazione della liturgia nelle lingue locali è un esempio di adattamento. L’agente primario con la responsabilità principale di iniziativa e d’azione nel processo di adattamento è l’annunciatore del Vangelo, la Chiesa missionaria o universale.

Inculturazione (o contestualizzazione) è un termine nuovo, ma una realtà che è sempre stata importante nell’evengelizzazione missionaria della Chiesa. Si può concepire come “la trasformazione intima di valori culturali autentici mediante la loro integrazione nel cristianesimo e l’inserzione del cristianesimo nelle varie culture umane”.63 Questa descrizione spiega in modo chiaro che, come processo, l’inculturazione opera in due sensi. Quindi possiamo parlare di “inculturazione ad extra” e “inculturazione ad intra”. La prima indica l’impatto dell’inculturazione sulla cultura del popolo che riceve l’evangelizzazione. L’ultima si riferisce all’effetto nella vita della Chiesa come risultato della sua presenza dentro una nuova cultura.64

Gli “orientamenti missionari” come Luzbetak li chiama, determinano il comportamento del missionario, la comprensione della missione e l’introduzione dei nuovi missionari. La relazione fra Vangelo e cultura e la comprensione del (nuovo) missionario delle altre culture sono molto importanti in questo contesto.

Spiritualità Missionaria.

Noi partecipiamo alla vita e alla missione di Cristo che svuotò se stesso e si fece schiavo, obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Siamo convinti che la benedizione di Dio sul nostro lavoro apostolico si trovi non solo nella gioia e nel successo ma anche nella difficoltà e nella delusione, nell’incomprensione e nella persecuzione, nella solitudine e nel fallimento. Solo quando il seme di grano muore produce una ricca messe.

Il termine “passaggio” sembra utile quando parliamo dell’introduzione di nuovi missionari. Un missionario che è assegnato a lavorare in una diversa cultura dalla propria deve “passare” alla nuova cultura.

“La varietà di culture riflette la grande generosità di Dio che è il creatore e la sorgente della vita di tutti i popoli. Sebbene riconosciamo che tutte le culture hanno bisogno di redenzione, noi Missionari del Verbo Divino godiamo della grande ricchezza di culture diverse dalla nostra. Noi consideriamo le situazioni interculturali in cui ci troviamo come un sacramento della ricchezza di Dio e della cattolicità della Chiesa. La composizione interculturale della nostra Società si riflette in molte delle nostre comunità verbite. Questo è già in sé un segno di speranza per noi e per le chiese locali che serviamo. Dobbiamo continuare a coltivare il nostro carattere interculturale ovunque è possibile.

Noi viviamo il mistero pasquale quando non ci aggrappiamo alla nostra cultura, lingua, o modo di pensare e passiamo a una cultura diversa dalla nostra. Ci svuotiamo del pregiudizio e dell’esagerato nazionalismo o regionalismo e siamo ricolmi di gioia nell’intravedere la presenza di Dio nell’altro, nello sconosciuto, in chi non ci è familiare”.65

La storia della missione è piena di racconti di missionari che, dopo essere arrivati nella missione in cui erano stati mandati, hanno dimenticato i propri genitori, fratelli, sorelle e amici e non sono mai più tornati indietro. Ciò era considerato un ideale; basti pensare al caso di San Giuseppe Freinademetz. Alla sua partenza da Steyl il 2 marzo 1879, Freinademetz disse: “Sette mesi fa quando lasciai i miei monti, l’addio è stato duro e penoso, ma qui a Steyl ho trovato una seconda casa. Steyl mi è diventata veramente cara, ma ora il Signore mi chiama ad andare in cerca di una terza patria oltremare. Seguirò la sua chiamata e dico addio a tutte le cose che ancora mi legano all’Europa in modo da potermi dedicare laggiù nel lontano oriente con tutta la mia energia al servizio di Dio altissimo. Là spero di vedere di nuovo molti di voi. Arrivederci in Cina!”.66

  1. Pernia scrive su Giuseppe Freinademetz: “Forse sta qui il segreto del successo dei suoi sforzi d’inculturazione - cioè nel soddisfare il suo desiderio di assumere un’altra cultura, impararne la lingua ed amare quel popolo senza fare violenza al suo amore per la cultura, lingua e gente della propria patria d’origine. Infatti egli imparò ad amare la Cina e i cinesi perché seppe amare Oies e la propria famiglia”. E continua dicendo: “ In effetti, la vera inculturazione segue la logica dell’incarnazione. San Giuseppe ne è la prova evidente. Solo la persona che ha imparato ad accettare la propria cultura, imparerà ad abbracciare altre culture”.67

Missionari ed Enculturazione

 Il mondo che i (giovani) missionari espatriati incontrano comprende tutto l’ambiente culturale del popolo che desiderano servire nella loro missione. Essi vogliono dedicarsi al servizio. Sentimenti di gioia e di soddisfazione nell’incontrare la cultura aliena presto o tardi si alternano a sentimenti di confusione, a fraintendimenti e anche a momenti di reale disillusione. Ma non è forse vero che questi “shock culturali” siano per tutti dei passi necessari sulla via dell’approfondimento dell’ impegno verso una maggiore “unità nella diversità”, essendo nel contempo “uniti e separati”, “separati dalla gente e parte della gente?” (68).

Ciò che è piuttosto strano in questo contesto è il fatto che, fino ad anni recenti, è stata prestata relativamente poca attenzione nei circoli missionari a preparare le persone in modo sistematico a questo incontro con culture diverse. Mentre nella presente era della globalizzazione in tutta la società si sente un bisogno crescente – cui si cerca di rispondere – di una formazione formale in quella che viene chiamata “antropologia missiologica” e “comunicazione interculturale”, i missionari stessi sono stati particolarmente lenti nel seguire questo esempio. Ma ci sono state delle eccezioni. Alcuni missionari sono stati pionieri nell’antropologia culturale e alcuni di loro hanno cercato di diffondere le conoscenze, che avevano acquisito studiando una particolare cultura straniera, per fissare dei principi più generali per vivere l’interculturalità. Ma chi può negare che la maggioranza degli istituti missionari non siano stati particolarmente desiderosi di beneficiare dei loro sforzi?

  1. Bernard Joinet (69), un missionario con molta esperienza nell’enculturazione (Enculturazione è un termine antropologico il cui riferimento primarioè al processo con cui un bambino impara e acquisisce la “cultura nativa” in cui è nato. Il suo riferimentosecondario è al processo con cui ogni persona – per es. un missionario straniero – più tardi impara e acquisisce i modelli di pensiero e di azione di un altro gruppo o popolo), racconta la storia di un missionario che, essendo appena diventato cittadino di una nazione nella quale stava evangelizzando, ebbe l’idea di bruciare pubblicamente il suo vecchio passaporto di fronte ai fedeli, pensando di dare una chiara testimonianza di abbracciare il popolo che l’aveva accolto. Ma fu molto sorpreso nell’avvertire che gli spettatori di quello che lui considerava un gesto profetico mormorassero fra loro dicendo: “Questo padre non sa come amare. Rifiuta e disprezza quelli che gli hanno dato la vita e lo hanno nutrito e allevato. Noi non possiamo aver fiducia in lui poiché, proprio come ha rifiutato suo padre e sua madre, un giorno può rifiutare anche noi sebbene ci chiami sorelle e fratelli”.

Questo aneddoto ci offre una buona lezione sul profondo significato dell’enculturazione o, per evitare di confondere l’enculturazione con il termine teologico inculturazione (che si riferisce al processo con cui una comunità cristiana o una chiesa locale esprime in modo significativo la propria fede nel Vangelo nel linguaggio simbolico e nella pratica della propria cultura locale), socializzazione (che è il termine sociologico equivalente a ciò che l’antropologia culturale chiama enculurazione – in senso sia primario che secondario). Nonostante il loro desiderio d’enculturazione in una cultura d’adozione e tutti i loro sforzi, i missionari straneri saranno sempre degli estranei, per quanto generosi, altruisti e disinteressati siano. Continueranno ad essere degli stranieri perché non riusciranno mai a liberarsi completamente della propria cultura natia (70).

I missionari che cercano seriamente l’enculturazione/socializzazione non la conseguiranno mai a meno che non riconoscano, capiscano e accettino la propria identità umana, culturale e nazionale. Una umanità incolore, inodore e insapore come l’acqua sterilizzata non esiste. Questo fu precisamente l’approccio di Paolo quando divenne greco con i greci perché accettò se stesso come giudeo, figlio di Abramo. I missionari stranieri che cercano l’enculturazione in Europa, Africa o Asia, non saranno in grado di diventare europei, africani o asiatici a meno che prima non si accettino come nativi del proprio continente o paese. Se i missionari rifiutano la propria identità originale per buttarsi nell’enculturazione o nell’integrazione nella loro cultura d’adozione, dovrebbero ricordare che non tutto dipende dalla loro buona volontà ma anche dalla disponibilità di accettarli da parte della gente in cui essi intendono essere encolturati. Quindi, come nuovi arrivati, essi devono permettere alla gente di cambiarli perché l’enculturazione è un’interazione fra due culture differenti.

È  importante per i missionari destinati all’evangelizzazione in un altro paese essere ben formati nei valori della propria cultura nativa perché è il solo modo che essi hanno per poter apprezzare i valori della cultura, nella quale cercheranno d‘essere encolturati, come valori diversi da quelli della propria cultura. Questo vale anche per i missionari non europei in Europa.

 

Conclusione

La realtà dei missionari provenienti dal Sud del mondo in Europa richiede un cambiamento pratico e concreto di mentalità, di atteggiamenti ecc. da parte dei cristiani europei. Se noi parliamo di nuovi modi di fare missione, di essere Chiesa e cristiani, di formare comunità ecc., e se cerchiamo di pensare modi nuovi di vita religiosa missionaria in Europa (e altrove) oggi, troveremo risposte solo se tutti partecipano a questi processi. Le chiese occidentali devono riconoscere che la missione è completamente cambiata. Ed esse devono anche riconoscere che il centro di gravità del cristianesimo si è spostato al Sud. Nella Chiesa cattolica la maggior parte delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa come pure sviluppi significativi nell’appartenenza alla Chiesa e nella teologia provengono dal Sud. Le chiese locali in Africa, Asia e America Latina hanno sviluppato nuovi modi di missione, e alle questioni concernenti il perché, il chi, il dove e il che cosa (la natura) della missione vengono date risposte contestuali. C’è un buon numero di esempi di un risveglio missionario anche nelle chiese europee. Nell’arcidiocesi di Vienna si è iniziato il processo “Apostelgeschichte 2010”. L’arcivescovo, Cardinale Schönborn, espone la sua visione di un nuovo Concilio degli Apostoli (Atti 15) per discernere e decidere i modi della missione e di essere chiesa oggi (www.apg2010.at). Papa Benedetto XVI in Ubicumque et Sempre nello stabilire il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione sottolinea:

“La missione ha assunto nella storia forme e modalità sempre nuove a seconda dei luoghi, delle situazioni e dei momenti storici. Nel nostro tempo, uno dei suoi tratti singolari è stato il misurarsi con il fenomeno del distacco dalla fede, che si è progressivamente manifestato presso società e culture che da secoli apparivano impregnate dal Vangelo. Le trasformazioni sociali alle quali abbiamo assistito negli ultimi decenni hanno cause complesse, che affondano le loro radici lontano nel tempo e hanno profondamente modificato la percezione del nostro mondo. Si pensi ai giganteschi progressi della scienza e della tecnica, all'ampliarsi delle possibilità di vita e degli spazi di libertà individuale, ai profondi cambiamenti in campo economico, al processo di mescolamento di etnie e culture causato da massicci fenomeni migratori, alla crescente interdipendenza tra i popoli. Tutto ciò non è stato senza conseguenze anche per la dimensione religiosa della vita dell'uomo. E se da un lato l’umanità ha conosciuto innegabili benefici da tali trasformazioni e la Chiesa ha ricevuto ulteriori stimoli per rendere ragione della speranza che porta (cfr.1Pt 3,15), dall’altro si è verificata una preoccupante perdita del senso del sacro, giungendo persino a porre in questione quei fondamenti che apparivano indiscutibili, come la fede in un Dio creatore e provvidente, la rivelazione di Gesù Cristo unico salvatore, e la comune comprensione delle esperienze fondamentali dell'uomo quali il nascere, il morire, il vivere in una famiglia, il riferimento ad una legge morale naturale.
Se tutto ciò è stato salutato da alcuni come una liberazione, ben presto ci si è resi conto del deserto interiore che nasce là dove l'uomo, volendosi unico artefice della propria natura e del proprio destino, si trova privo di ciò che costituisce il fondamento di tutte le cose”.
Missione significa essere mandati ad evangelizzare. EN spiega l’evangelizzazione dicendo che essa significa “portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità e, con il suo influsso, trasformare dal di dentro e rendere nuova l’umanità stessa…” (18). Significa “evangelizzare – non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici – la cultura e le culture dell’uomo…partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio “(EN 20).

Come verbiti noi vogliamo partecipare alla missione di Dio. Il nostro modo di evangelizzare è il dialogo profetico. E lo facciamo come missionari provenienti da ogni nazione, popolo e lingua condividendo una vita e missione interculturali (XVII Capitolo Generale), ben consapevoli di essere sempre inseriti anche noi stessi nel processo d’apprendimento dell’interculturalità e che, anche qui in Europa, questo ci porterà più vicini alla realizzazione del Regno di Dio per tutti, così “…che abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia” (Gv 17,13).

Fonte:  http://www.adgentes.net/

Note

1 Cf. R. Schroeder, What Is the Mission of the Church?, Maryknoll, NY 2008, 112.
2 H. Godin/Y. Daniel, La France pays de mission?, Paris 1943.
3 Ibid., 106f
4 W. Bühlmann, The Coming of the Third Church, Slough 1976.
5K. Rahner, Toward a Fundamental Theological Interpretation of Vatican II: Theological Studies 40 (1979) 716-727.
6 Come i Documenti del Vaticano II (1962-65), Evangelii Nuntiandi (EN, 1975), Redemptoris Missio (RM, 1990) ed anche i documenti e le riflessioni su missione, evangelizzazione ecc. in contesti asiatici, africani, latino americani ed anche europei.
8La Conferenza episcopale tedesca, Among All Nations Your Salvation, Aachen-München 2005.
9Ibid., 12.
10 Zeit zur Aussaat: Missionarisch Kirche sein (Die Deutschen Bischöfe; 68), Bonn 2000; vedi anche (dalle chiese protestanti in Germania): Das Evangelium unter die Leute bringen. Zum missionarischen Dienst der Kirche in unserem Land (EKD-Texte 68), 2001.
11 Ibid., 10.
12Charta Oecumenica, 2.. 
13Kirsteen Kim, Missionaries Sent and Received, Europe 1910 – 2010, in: T. Johnson/ K. Ross (eds.), Atlas of Global Christianity 1910 – 2010, Edinburgh 2009, 272-273.
14Ibid., 272.
15S. Bevans/R. Schroeder, Constants in Context – A Theology of Mission for Today, Maryknoll, NY 2004, 242.
16Ibid.
17Callum G. Brown, The Death of Christian Britain, London 2001, 1; citato in: P. Vethanayagamony, Mission from the Rest to the West, in: O. U. Kalu a. o. (eds.), Mission after Christendom, Louisville, KY 2010, 59-70.
18.Vethanayagamony, 62.
19K. Ross, Blessed Reflex: Mission as God’s Spiral of Renewal: International Bulletin of Missionary Research 27 (2003) 163.
20Among All Nations Your Salvation, 19-20.
21Lettera del 21 Settembre 2010, la comprensione di missione di Ubicumque et semper può trovare le sue radici in RM 33 di Giovanni Paolo II.
22Cf. XV Capitolo Generale 2000 (In Dialogue with the Word [IDW] 1, 2000).
23IDW 3, Settembre 2002, 39.
24IDW 7, 2007, 11-12.
25Cf. Steyler Missionswissenschaftliches Institut, Today’s Europe and the SVD, Sankt Augustin 2007, 11-27: A Historical Overview of the SVD in Europe. Vedi anche il contributo di Rivinius in questa pubblicazione.
26Our Mission at the Service of Communion, 1994, 12.
27IDW 1, 2000, 53.
28Ibid., 52.
29Del 15 April 2003, pubblicato in: Divine Word Missionaries, SVD Mission 2006, Rome 2006, 225-230.
30Ibid., 222-223.
31IDW 6, 2006, 3.
32Vedi: M. Üffing, Prophetischer Dialog: Verbum SVD 47 (2006) 7-26.
33IDW 1, 2000, 52-71.
34IDW 7, 2007, 16-17.
35Atlas of Global Christianity 1910 – 2010, 274-275.
36G. Rosales/C.G. Arevalo (eds.), For All the People of Asia, Vol. 1, Manila 1997, 130.
37Cf. Vethanayagamony, 62-69.
38Ibid., 65.
39K. Ross, Non-Western Christians in Scotland: Mission in Reverse: Theology in Scotland 12 (2005) 81.
40D. Bosch, Transforming Mission, Maryknoll, NY 1991, 363-367.
41Schroeder, 104.
42Schroeder, 105.
43IDW 8, December 2008.
44Ibid., 17.
45Ibid., 21.

46Desunto dalla lettera a tutti i Superiori Provinciali e Regionali del 20 Dicembre 2010.
47D. A. Kerr/K. Ross (eds.), Edinburgh 2010. Mission Then and Now, Eugene, OR 2010, 155-177.
48IDW 4, December 2004, SVD Ongoing Formation, 12.
49Ibid., 42-43.
50A. Bellagamba, Mission and Ministry in the Global Church, Maryknoll, NY 1992, 93-114; L. Luzbetak, The Church and Cultures. New Perspectives in Missiological Anthropology, Maryknoll, NY 1988, 2-8.
51Edinburgh 2010, 156.
52Re-imagining the Pathways of Our Common Vocational Journey (SVD Publications), Rome 2010, 26-27.
53I. Illich, The Philosophy of Intercultural Formation: SEDOS Bulletin (1981) 266-269, qui 268.
54Cf. Bellagamba, 70-92.
55F.-J. Eilers, Communicating between Cultures, Manila 1992, 164-165.
56Bellagamba, 10.
57Luzbetak, 5-6.
58In: Following the Word 1, in: Nuntius SVD, vol. XII, no. 5, 1988 (1990), 693.
59Cf. John Dunne, The Way of All the Earth. Experiments in Truth and Religion, Notre Dame, IN 1978, 1.
60J. A. Scherer/S. Bevans (eds.), New Directions in Mission and Evangelization 3 (Faith and Culture), Maryknoll, NY 1999, 5 (Dall’introduzione dei due editori: Faith and Culture in Perspective, 1-14).
61Luzbetak, 64.
62Luzbetak, 64-84.
63RM 52; GS 58.
64A. Roest Crollius, “Inculturation,” in: S. Karotemprel (ed.), Following Christ in Mission, Pasay City 1996 (Philippine Edition), 110
65In: Following the Word 1, 694.
66Following the Word 2 (1989), “Living the Paschal Mystery,” 65-66.
67Arnoldus Nota, February 2002, 2.
68P. Koh Joo-Kheng/J. Swyngedouw, Our Cultural Shadows, Quezon City 1998, IX.
69B. Joinet, Je suis un étranger dans la maison de mon père: Spiritus 13 (1972) 191-192. Qui sto seguendo la presentazione delle esperienze di P. Jonet.
70Cf. (anche per il testo seguente): J. Alvarez Gomez, Inculturation & Religious Life, Quezon City 1995, 77-84.

 

 

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