Il perdono possibile e necessario. Intervista al padre Albino Bras

padre Albino Bras padre Albino Bras Fotos di Maria Costa Lopes
Pubblicato in Missione Oggi

Padre Albino Bras è missionario della Consolata e coordinatore in Portogallo delle “Scuole di Perdono e Riconciliazione” (ESPERE) che vent’anni fa, il padre Leonel Narváez, anche lui missionario della Consolata, ha fondato in Colombia, per affrontare le conseguenze dolorose di un conflitto che per anni ha insanguinato quel paese. Dall’esperienza di ESPERE sono nati processi che hanno permesso la riconciliazione e il perdono nella vita di centinaia di famiglie vittime della violenza armata così come nella vita di coloro che queste sofferenze le hanno provocate: l’esercito e diversi gruppi armati illegali guerriglieri, narcotrafficanti o paramilitari.

“Ci vorrà del tempo -confessa il padre Albino- perché tante atrocità non si possono né si devono dimenticare, ma la giustizia di Dio passa sempre attraverso la misericordia e la novità del cristianesimo è comunque amare i propri nemici”.  I cammini della pace non sono facili ma non sono impossibili; ESPERE insegna come percorrerli.

DOMANDA. Non sappiamo quando finirà la guerra in Ucraina, ma anche se tutto si fermasse, è possibile perdonare?

RISPOSTA. Questa è la domanda importante: è possibile perdonare l'imperdonabile? Se guardiamo a questa guerra totalmente ingiustificata -anche se in realtà non credo che potremmo trovare giustificazioni per nessun tipo di guerra- è facile arrivare alla conclusione che quel che si sta facendo sia imperdonabile. Abbiamo a che fare con una guerra illegittima, in cui si bombarda indiscriminatamente, anche ospedali e scuole, e si uccidono persone innocenti; una guerra in cui sono morti centinaia di bambini.

Ma la pace non è solo assenza di guerra o il contrario della guerra, è il suo superamento e quella è la direzione corretta. Probabilmente ci vorranno anni per la riconciliazione, forse più di una generazione, ma è l’unico cammino possibile.

DOMANDA. Proprio l'altro giorno il responsabile di Caritas in Ucraina, in occasione di un evento pubblico, ha detto che “anche se ci sarà un accordo per la fine dei combattimenti, la guerra finirà solo quando supereremo il dolore che abbiamo visto e vissuto”. Questa sofferenza è un grande ostacolo al perdono? È possibile contrastare il sentimento di vendetta?

RISPOSTA. Vincere la sofferenza è possibile; è un processo lento, ma non possiamo arrivare alla riconciliazione senza fare questo cammino. 

È importante dire che il perdono può avvenire prima della riconciliazione e che la riconciliazione non è possibile senza il perdono.

Non si tratta semplicemente di “dimenticare” quel che è passato perché il perdono ha bisogno della “memoria” perché la quale non si possono sanare le ferite. Questa memoria conserva certamente un evento ingrato -come questa guerra assurda e folle- ma poi impara a sanare le ferite per il bene della persona. Il perdono non è un favore fatto all'aggressore o all'offensore ma è un favore fatto alla vittima.

La riconciliazione richiede almeno tre strumenti. Il primo è il perdono, di cui ho già parlato. Poi la verità che è la prima vittima della guerra: non ci può essere riconciliazione senza la ricerca della verità e il chiarimento delle condizioni e delle circostanze in cui si è verificata l'aggressione. Per ultimo il riconoscimento dell'altro, del diverso o della differenza. Si tratta di rimuovere ogni sorta di stigmatizzazione come, nel caso di questa guerra, quella che dice che gli ucraini sono tutti dei “nazisti” o i russi dei “putiniani”.

In questo modo possiamo costruire e mantenere la pace tra i diversi attori coinvolti direttamente e indirettamente in un conflitto.

DOMANDA. Qual è il ruolo delle religioni nella promozione della pace? Abbiamo visto come il patriarca ortodosso di Mosca sostenga questa offensiva della Russia. I leader religiosi non hanno forse una responsabilità in più? Non dovrebbero essere promotori di pace e di perdono, e non istigatori di guerra?

RISPOSTA. La Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica hanno la stessa fede. I leader religiosi hanno il dovere morale e spirituale di non allearsi con le politiche di guerra o con i politici che promuovono la guerra.

Il patriarca Kirill, che ha benedetto la guerra di Putin ha di fatto già portato a spaccature all’interno della stessa chiesa. In Ucraina ci sono più di 12 mila parrocchie legate alla Chiesa ortodossa russa: io ricordo un'intervista a un sacerdote di Irpin, vicino a Kiev, che ha detto, nel momento in cui ha visto Kirill benedire i carri armati e le armi dio questa guerra, "non voglio che la mia parrocchia continui ad avere questo legame con la Chiesa ortodossa russa", Lui, come molti, ha rotto con la Chiesa madre di Mosca.

Non possiamo dimenticare che il perdono è una parte importante dell’amore cristiano. Non è qualcosa attinente solo al sacramento della riconciliazione; la Chiesa ha bisogno di portarlo fuori nella pastorale e in mezzo alla gente. Sarà una bellissima esperienza non solo nei casi più estremi, come nel caso di un conflitto armato, ma anche nei nostri conflitti quotidiani: è la chiave per spezzare i circoli viziosi della violenza.

DOMANDA. I Missionari della Consolata hanno esperienza nella mediazione dei conflitti, soprattutto in Colombia. È stato attraverso le Scuole del Perdono e della Riconciliazione che hanno contribuito a sanare le ferite di decenni di violenza. Questa esperienza, in una fase post-bellica, può essere utile anche in Ucraina?

RISPOSTA. Non solo può, ma dovrebbe. Nelle “scuole di riconciliazione”, si è lavorato molto sulla metodologia e sulla pratica di come realizzare processi di perdono e di riconciliazione fra le popolazioni vittime di un conflitto. 

Ho partecipato a un incontro internazionale della rete di scuole, dove erano presenti aggressori e vittime. C'erano i paramilitari e una signora a cui avevano ucciso un figlio. Alla della riunione questa signora e l'aggressore erano seduti allo stesso tavolo. Ricordo che alla fine si sono abbracciati a lungo e hanno pianto. Era chiara la sincerità di questo abbraccio: i due si erano perdonati. Voglio lasciare chiaro che quando parliamo di perdono non facciamo riferimento a un elemento della spiritualità cristiana, ma a un elemento della spiritualità umana, trasversale a presente in tutte le religioni. 

DOMANDA. In quanti Paesi sono presenti le Scuole di perdono e riconciliazione?

RISPOSTA. Circa 20, soprattutto in America Latina. In Europa abbiamo iniziato in Portogallo, siamo presenti anche in Italia e in Spagna ci hanno già chiesto di iniziare. Anche da noi, dove stanno proliferando sentimenti di razzismo e xenofobia abbiamo bisogno di tutto questo. Questa guerra in Ucraina dimostra che si nutrono ancora molti risentimenti e rancori; sembra che si sia rotta una diga di odio e risentimento che ha inondato il nostro continente.

Ultimamente ho pensato molto a come stiamo costruendo la nostra società e ho l’impressione che ci stiamo incamminando verso qualcosa di potenzialmente pericoloso: una società dove tutti sono lontani, competitori e vittime dell’odio. 

Oggi le persone si incontrano sempre meno. Con i Social siamo certamente molto in contatto... ma non ci incontriamo e l’umana vicinanza è importante. Nel paese dove sono nato non ci sono più negozi di quartiere, non si vede quasi nessuno per strada, le persone spesso passano mesi senza vedersi. E se non ci si vede... ci si allontana. E se ci allontaniamo cominciamo a non capirci e qualche volta anche odiarci. Anche la pandemia ha messo in evidenza questa debolezza. 

Papa Francesco parla molto del tema dell'incontro: invita la chiesa a uscire dalla sacrestia per andare sulla strada. La Chiesa ha il dovere di lavorare su questo, perché è questo il senso del suo essere Chiesa: favorire l'incontro, la comunità, la comunione, le relazioni. Il nostro cammino è quello della fraternità, perché più ci allontaniamo, più cominciamo a odiarci.

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DOMANDA. Il padre Leonel Narvaez - che ho avuto modo di intervistare qualche anno fa- diceva che il perdono è un “diritto umano”. Quanto siamo lontani dal raggiungere questo obiettivo?

RISPOSTA. Siamo ancora lontani da questo traguardo, ma dobbiamo lavorare per raggiungerlo. Non possiamo alimentare l'odio, dobbiamo cercare la pace. La pace richiede giustizia, ma - vale la pena ripeterlo - la giustizia, per Dio o in Dio, implica sempre la misericordia. Non è una giustizia punitiva come quella delle carceri, ma una giustizia che restaura e passa sempre attraverso la misericordia. 

DOMANDA. In Portogallo, dove sono ospitati migliaia di rifugiati ucraini, è possibile che lei sia chiamato ad aiutare chi fugge dalla guerra e porta con sé queste ferite dell'anima?

RISPOSTA. Al rispetto mi sembra curioso che l'ultimo corso che abbiamo fatto qui prima della pandemia -lo abbiamo dovuto interrompere perché la metodologia dei corsi esige una presenza faccia a faccia- era per i volontari del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, per aiutarli a lavorare su questa dimensione. Tra coloro che sono dovuti fuggire da guerre o da situazioni avverse, ci sono a volte rancori, risentimenti e odio. 

Oggi noi Missionari della Consolata, stiamo accogliendo più di 40 rifugiati: prima degli ucraini avevamo già accolto ad Aguas Santas, in un nostro ex seminario, 27 rifugiati provenienti dai campi profughi di Lesbo, quasi tutti dal Nord Africa. Oggi abbiamo anche degli ucraini, circa 20 nel nord e 21 a Fatima.

* giornalista di Rádio Renascença che ha realizzato l’intervista.

Ultima modifica il Giovedì, 30 Giugno 2022 17:56
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