Ho conosciuto lo Stato brasiliano del Roraima grazie ai Missionari della Consolata che hanno inviato due laici ad accompagnare la loro “Équipe Itinerante”, impegnata da tempo nel servizio ai migranti del Venezuela con una attenzione speciale alla popolazione indigena. Questa “fortuna” è toccata a una psicologa e a me che sono comunicatore sociale della Pastorale Afro di Cali. Per mezzo della nostra professionalità vogliamo aiutare a dare un servizio più completo che aiuti a difendere i diritti di questa popolazione vulnerabile in termini di salute, istruzione, alloggio, occupazione e accesso all'informazione.

Ci siamo impegnati soprattutto con alcune comunità Warao che hanno fatto parte di questa grande ondata migratoria ma che hanno anche cercato di lottare per avere spazi propri per così resistere alla negazione dei loro diritti culturali. 

Nel mio caso per esempio la società del Roraima e altre in situazioni simili hanno bisogno di iniziative di comunicazione per aiutare la popolazione locale a comprendere la situazione di queste popolazioni sorelle e allo stesso tempo ogni migrante deve essere reso più consapevole dell'offerta delle istituzioni, delle chiese e delle organizzazioni sociali.

Negli anni scorsi in Brasile i migranti venezuelani sono arrivati a migliaia e il governo di Jair Bolsonaro, fermo oppositore di tutta l’organizzazione indigena brasiliana, ha affidato ai militari l’incarico di organizzare l’accoglienza di queste persone: molte famiglie sono state collocate in campi o grandi aree, chimati rifugi, dove sono state assistite e controllate con regole severe; molti altri invece sono stati lasciati per strada in condizioni precarie; tutti condividono serie difficoltà di trasporto e accesso a quasi tutti i servizi indispensabili.

Non dobbiamo dimenticare che gli effetti economici della migrazione sono importanti e ambigui al tempo: molto spesso il migrante è visto come un competitore ma allo stesso tempo si dimentica che la maggior parte della popolazione del Roraima ha avuto il beneficio di una manodopera più economica, come per esempio nel settore della costruzione, dove molti migranti sono pagati la metà o incluso meno di quanto viene pagato un lavoratore brasiliano. Eppure molte persone, spesso completamente ignare della realtà di questi benefici, sfruttano e persino umiliano profondamente questa popolazione.

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Un giovane indigeni Macuxi registra un incontro con i Missionari nella sua comunità.

Le sfide dell'Amazzonia

È grande la sfida che le regioni dell'Amazzonia e dell'Orinoco propongono alle società che vivono in questi territori. La concentrazione di terre, l'estrazione mineraria incontrollata e persino aggressiva dal punto di vista ambientale e il duro razzismo, soprattutto nei confronti delle popolazioni indigene, regnano sovrani. Si favorisce un capitalismo duro e ingannevole, che considera sacra la proprietà della terra e delle imprese, ma non quella dei popoli indigeni. A Boa Vista, la capitale del Roraima, i mezzi di comunicazione sono poveri e scarsi; i giornalisti locali preferiscono collaborare con organizzazioni esterne anche perché, dopo la pandemia, non è sopravvissuto nessun giornale stampato e i servizi di internet, quando ci sono, sono in uno stato deplorevole.

Probabilmente è arrivato il momento di unificare gli sforzi di tutti perché nella grande conca amazzonica i problemi sono quasi ovunque gli stessi. La chiesa cattolica, per mezzo della REPAM (Rete Ecclesiale Panamazonica) sta guardando più seriamente e da vicino ai problemi di questi popoli ma certamente le più di mille popolazioni indigene del Brasile avranno maggiori possibilità di successo se riusciranno a collegarsi anche con altre esperienze di lotta e organizzazione, come quelle del popolo afro così numeroso nella vasta geografia del subcontinente americano.

Solo se costruiamo una lotta comune, con una voce unita e fraterna, saremo in grado di contrastare la mania suicida che distrugge, come fuoco nella giungla, la ricchezza biologica e culturale di questo polmone verde del mondo. Quando vengono attaccate impunemente culture che sanno usare piante e animali in modi che noi non possiamo nemmeno immaginare, è il momento di lavorare assieme: tutti noi, popoli marginali di questo continente, vogliamo presentare a Dio una terra libera, prospera e piena di frutti di felicità.

* Rodrigo Alonso Daza Jiménez, del gruppo di comunicazione della Pastorale Afro Cali, lavora con i Missionari della Consolata che nello stato del Roraima assistono i migranti indigeni del Venezuela. Articolo pubblicato su “La Voz Católica” di Cali (Colombia).

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Bambini migranti venezuelani alla mensa dei poveri delle Suore della Carità a Boa Vista, Roraima, Brasile.

La Madonna di Jardim Consolata di São Paulo ha una storia del tutto particolare che si intreccia con le vicende della famiglia dei Missionari e delle Missionarie della Consolata in ben tre continenti: Europa, Africa e America. Lei non smette di proteggere e benedire comunità e famiglie.

Quando si arriva a “Jardim Consolata” (Giardino Consolata) a São Paulo (Brasile), è facile assaporare una sensazione di pace, armonia, coraggio che ha accompagnato la vita delle Missionarie della Consolata presenti in questa zona nord della megalopoli di São Paulo fin dal 1954. 

Questa comunità è stata sede del noviziato per le giovani aspiranti alla vita religiosa e missionaria del Brasile. Oggi è una casa di sorelle anziane, missionarie sacramentine -come loro stesse si definiscono- e quindi dedite alla preghiera e alla contemplazione.

Entrando nella cappella, sulla sinistra, c’è una bellissima immagine della Madonna Consolata, un dipinto ad olio antico. Ha una storia sorprendente, “quasi epica”, come disse suor Elsa Vergine (1904-2004), una delle protagoniste delle vicende legate a questo quadro e chi mi raccontò quando seppe che ero prossima a partire per le missioni dell’Etiopia nell’anno 2021.

Siamo ad Addis Abeba, nel maggio del 1942, tra il 10 e il 15 maggio. È uno dei tempi più dolorosi per i Missionari e le Missionarie della Consolata: la guerra italo-etiopica. L’icona della Consolata è il regalo del dottor Edoardo Borra per la nuova cappella dell’Ospedale Principessa del Piemonte di Addis Abeba. L’espressione materna della Consolata è molto particolare e, nei momenti più tribolati della guerra, diceva suor Elsa: “era il nostro rifugio e conforto”.

Tutte le suore (erano 88) e anche tutti i Missionari della Consolata si trovavano nel campo di prigionia, eccetto padre Lorenzo Bessone, suor Virgilia Sisti, suor Teresia Brena e suor Elsa Vergine, che prestavano i loro servizi in ospedale. Il gruppo nutriva la speranza che l’imperatore etiope Hailé Selàssié riuscisse a calmare gli animi degli inglesi e continuare il loro servizio nell’ospedale.

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“Purtroppo – racconta suor Elsa – giunse l’ordine di chiudere immediatamente la struttura e riconsegnare le chiavi. Al mattino, molto presto, vennero a prendere suor Virgilia e suor Teresia. Io rimasi sola, aspettando la persona che si sarebbe incaricata delle chiavi. Entrai nella cappella, alzai lo sguardo alla Consolata e, d’improvviso, sentii nel cuore che la Madonna desiderava partire con me. Non persi tempo: salii sull’altare, arriotolai il dipinto che era facile da togliere e lo misi nello stesso tubo con il quale era arrivato in Etiopia. E così la Consolata era pronta per partire con me”.

Fino al villaggio di Harar non ci furono problemi, ma nell’ultimo controllo minuzioso dei bagagli le cose si complicarono: “Mentre continuavo a stringere il tubo con l’icona della Consolata e il poco di denaro che ci restava -prosegue il racconto-, da lontano mi fecero cenno di riconsegnarlo. Ero afflitta, allora chiamai il Padre Bessone perché spiegasse tutto in inglese. Non avemmo successo. L’icona rimase a Mandera, sede della colonia inglese”.

Bisognerà aspettare fino al 1953 quando, dopo la guerra ormai da qualche anno, p. Bessone si mette in viaggio verso il Meru (Kenya). Arrivando al porto di Mogadiscio, in Somalia, sapendo che la nave sarebbe rimasta attraccata alcuni giorni e sapendo che gli inglesi si trovavano ancora lì, scese dalla nave e andò a visitarli. Entrando in una sala, vide il tubo con l’icona della Consolata. Lo chiese e lo ottenne. Ricordando le mie lacrime quando dovetti lasciarla, lo mandò alla Casa del Noviziato, Jardim Consolata dove quell’anno cominciavo il mio percorso come Missionaria della Consolata. Il quadro rimase in mano degli inglesi per quasi dieci anni: dal 1942 al 1953”.

Tra le linee di questa breve storia missionaria leggiamo soprattutto la tenerezza di Dio che continua a consolare il suo popolo, per mezzo di questa Consolata nel Giardino. Il suo pellegrinaggio è un fatto missionario senza misura, che abbraccia popoli, Paesi e continenti.

Chi cammina nel “Jardim Consolata” o contempla la “Consolata del Jardim” fa memoria dell’imperativo di Dio profetizzato da Isaia: “Consolate, consolate, consolate il mio popolo!” (Is. 40, 1ss). Anche in tempo di pandemia queste parole si tradussero in gesti semplici: attenzione, vicinanza, tenerezza, incoraggiamento, umiltà, solidarietà. 

L’icona della Consolata del Giardino, con i suoi colori, espressioni, storia, bellezza e prodezze continua a mostrarci che il dolore ci focalizza nel momento, ma la consolazione apre ad orizzonti infiniti. È il segreto dei santi. È il segreto del Beato Giuseppe Allamano, che si presentava come il tesoriere della Consolata e continua, per mezzo della sua famiglia missionaria, rivelando la consolazione, frutto del Si di Maria di Nazareth!

*Suor Melania Lessa è Missionaria della Consolata brasiliana. Oggi risiede in Jardim Consolata ma ha condiviso la vita con il popolo Oromo in Etiopia. Notizia pubblicata da www.terraemissione.it

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"Un giorno l'ho sognato e oggi posso dire che si sta realizzando". Jennifer Katherine Palomeque, una missionaria laica della Consolata dalla Colombia, condivide la missione con i migranti venezuelani in Brasile.

Un sogno 

Nel 2017, quando ho incontrato i Missionari della Consolata al Congresso della Consolazione e della Missione nella città di Bogotà, la prima cosa che ha attirato la mia attenzione è stato sentire parlare della missione ad gentes e vedere persone di altre parti del mondo che non avrei mai pensato di potere incontrare. È stato anche molto bello sapere che alcuni di quelli che partecipavano alla riunione, come buoni camminatori di Gesù, avevano già svolto la loro missione in diverse geografie. Lì è iniziato il mio sogno di andare oltre la mia realtà per condividere l’esperienza di Gesù con persone diverse da me e dalla mia gente e appartenenti a culture diverse.

Perché in Brasile e non altrove?

Tutto è iniziato con una richiesta, fatta ai superiori della Consolata in una delle loro visite a Cali, di impegnarmi in uno spazio missionario ad gentes. Era la visita canonica del 2021. Loro ci avevano raccontato del lavoro che i missionari stavano facendo e avevano anche parlato del sostegno che noi potevamo offrire contando con la nostra professione, gioventù e spirito missionario.

Dopo alcuni mesi il processo per entrare a far parte del gruppo dei Laici Missionari della Consolata era completo ma poi il Covid19 ha rallentato tutto: nel gennaio 2022, un'ondata molto forte di casi è arrivata in Colombia e Brasile quando tutto era quasi pronto per andare in missione. 

La partenza

Ho dovuto pazientare almeno due mesi finché le cose si sono poco a poco risolte ed è arrivato il grande giorno di lasciare la mia casa, la mia terra, il mio posto sicuro e andare a vivere una nuova avventura missionaria accompagnata da persone incredibili, ma soprattutto in compagnia di Gesù.

“Seguitemi e vi farò pescatori di uomini” (Mt 4,19-20) e credo che sia esattamente quello che ho fatto: ho lasciato le mie reti e ho iniziato a seguirlo in questa nuova avventura. In realtà non sono mancati momenti di panico e paura ma un amico molto caro mi ha detto: "non ti preoccupare, colui che ti ha mandato ti accompagnerà nella tua missione" e queste parole mi hanno riempito di forza e incoraggiamento in questo viaggio.

Ogni volta sento sempre più reale ciò che mi è stato detto tante volte nell'animazione: è una gioia indicibile mettere la propria vocazione al servizio della missione anche se non è facile: vorresti fare molto ma la situazione, la realtà che trovi e i reali bisogni della gente non sempre lo permettono. Questo, in ogni caso, non cessa di essere un motivo per continuare a lavorare e se ho imparato qualcosa da questa ancora cortissima esperienza di missione è che essere fonte di consolazione è molto spesso o quasi sempre anche solo presenza.

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Le donne migranti indigene Warao a Boa Vista realizzano manufatti da vendere.

In missione

Oggi mi sento molto fortunata di poter dire che sono stata capace di attraversare i miei confini per andare in un luogo che non è mai stato nei miei piani: sono in Brasile, nella città di Boa Vista (nello stato del Roraima) e sto lavorando con  migranti venezuelani. 

Quelli che arrivano sono sempre di più: provengono da realtà diverse ma hanno tutti lo stesso desiderio: andare avanti e cercare un futuro migliore per loro stessi, i loro figli e le loro famiglie. 

Questa avventura è appena iniziata, ho ancora a che fare con una lingua nuova e una cultura spesso diversa dalla mia; è ancora molto il cammino che ho davanti ma per adesso cammino con Gesù e spero che tutto vada secondo i suoi piani.

* Jennifer Katherine Palomeque Filigrana, missionaria laica colombiana della Consolata in Brasile.

               

Depois da realização do segundo congresso das novas gerações no santuário nossa Senhora da conceição Aparecida em 2013 a comissão dos religiosos do Brasil organizou pela terceira vez o congresso das novas gerações em Brasília que se realizou durante três dias, teve o início no dia 6 até 9 de fevereiro de 2016. Esse III Congresso das novas gerações da vida religiosa Consagrada teve como tema “ #compartilhe a alegria e o lema “ Venham para fora” ( João 11,43). Aproximadamente 500 religiosos e religiosas do Brasil inteiro: Bispo, Padres, diáconos, seminaristas e freiras. Fomos provocados a pensar como está a VRC e a assumir com alegria e paixão o ser religioso (a).

 Com o mesmo espírito fomos levados a partir do mesmo tema proposto nos foi apresentado algumas pistas de como devemos compartilhar a alegria e manter o mesmo brilho nos olhos de quando ingressamos na vida religioso, ou seja, nas nossas comunidades respectivas. Iluminado pelo evangelho de João e o convite considerado como chamado incisivo de Jesus para que Lázaro venha e saia para fora para contemplar a realidade desafiadora de seu tempo, portanto nós hoje religiosos sentimo-nos animados a realizar essa dinâmica, escutar a voz de nosso salvador Jesus que chama e arriscar-se a sair.      

Portanto, durante esse tempo do congresso foi marcante um momento muito importante da caminhada pelas ruas da capital Federal, com alegria nos rostos e no coração de cada religioso das novas gerações cantando e pedindo a Deus uma sociedade edificada no amor e na justiça, fazendo memória de tantos mártires que ousaram vir a fora, seguindo seu exemplo.

 Porém os quatros pontos do pais (de norte a sul, leste a oeste) os religiosos nós fizemos presentes para refletir, fazer, aprender e encontrar. Com a fala do Papa Francisco que diz “ aonde a Religioso há alegria” a nossa presença foi um viver o lema do congresso pois compartilhamos a nossa alegria em cada momento do congresso. Ao terminar o congresso saímos revigorados, animados por místicas, missas, provocações e oficinas com diferentes temas que tocam a nossa realidade religiosa para podermos viver diariamente o sair para fora e compartilhar a alegria além da virtual, no encontro com o outro que me desafia. Por isso o compromisso foi tomado em que devemos e queremos ser as pessoas alegres que trazem alegria no mundo. Vivendo autenticamente o nosso compromisso sem artificialidade e com uma convicção e brilho nos olhos que podemos mudar o mundo com o nosso gesto do amor saindo para fora para encontrar outra realidade.

Josky Menga Makanda  seminarista da consolata 3 ano da teologia

 

Uma das características dos missionários da Consolata é a internacionalidade de seus membros, resultado do carisma ad gentes que, em pouco mais de 100 anos, levou a congregação a mais de 20 países em quatro continentes. Fundado pelo Bem-aventurado José Allamano em 1901, na Itália, o Instituto Missões Consolata enviou seus primeiros missionários ao Quênia, hoje berço de muitas vocações, a exemplo de Joseph Onyango Oiye, ordenado diácono no último dia 12 de dezembro.

A celebração aconteceu na paróquia Nossa Senhora Consolata, em Brasília (DF), onde Joseph há um ano atua nas pastorais e faz especialização em comunicação. Caçula de seis filhos do casal Peter Oiye e Christine Awuor Oiye, Joseph é natural de Siaya, arquidiocese de Kisumu, no Quênia. Depois de cursar filosofia em Nairóbi e noviciado em Moçambique, ele chegou ao Brasil em 2011, onde fez teologia em São Paulo e realizou serviços pastorais em Feira de Santana (BA).

A ordenação foi presidida por dom Sérgio da Rocha, arcebispo de Brasília e presidente da Conferência Nacional dos Bispos do Brasil (CNBB). O pároco, padre Emmanuel Gavosto, acolheu dom Sérgio sublinhando a importância de sua presença na primeira ordenação em mais de 50 anos de existência da paróquia. Presentes em grande número os fiéis cantavam com alegria e emoção: “reunidos em torno dos nossos pastores, professando todos uma só fé. Nós iremos a Ti. Igreja Santa, Templo do Senhor...”.

Dom Sérgio destacou o diaconato como um dom de Deus numa Igreja ministerial, vivido em três dimensões: no serviço aos mais necessitados, na pregação da Palavra e na liturgia. “O diácono é chamado a ser um servidor da Igreja no serviço da caridade, na solidariedade e na partilha com os pobres. Esse serviço é assumido em comunidade”. No Ano Santo da Misericórdia, o arcebispo apontou a misericórdia como expressão da caridade. “O diácono deveria ser o portador da misericórdia de Deus para com todos em especial, com os que mais sofrem”. Segundo dom Sérgio, com o anúncio da Palavra, o diácono mostra a dimensão profética da Igreja a exemplo de João Batista que chamou todos à conversão para acolher o Cristo. “O diácono é um servidor de Cristo, um servidor do povo de Deus para ajudar a colher a Palavra de Jesus, que é a Boa Nova”. Dom Sérgio explicou ainda, que no serviço do altar, o diácono desempenha uma função específica. “Joseph deve viver esses três ministérios de forma harmônica. Tudo é graça de Deus colocado a serviço. Para isso, o diácono conta com as orações da comunidade”, complementou.

Joseph foi apresentado ao bispo ordenante pelo superior Provincial do IMC no Brasil, padre Luiz Carlos Emer, que também foi um de seus formadores. Concelebraram os padres Mário Silva, Mário de Carli, Jaime C. Patias e Getúlio de Alencar, além de dois diáconos permanentes. Participaram ainda, as irmãs missionárias da Consolata que trabalham em Brasília, uma delegação da Embaixada do Quênia e os seminaristas quenianos, Gabriel Ochieng e Paul Auma que serão ordenados diáconos em São Paulo, em fevereiro de 2016, juntamente com o colega Heradius, da Tanzânia.

Seguindo o ritual, Joseph confirmou o propósito de ser ordenado e interrogado pelo bispo prometeu cumprir fielmente seu ministério: “Quero! Com a ajuda de Deus”. A ladainha de todos os Santos cantada solenemente invocou a bênção sobre o eleito. Momento central no rito foi a imposição das mãos e a oração de ordenação feita pelo bispo. A comunidade orava em silêncio. Investido da estola transversal, sinal de serviço, e da dalmática diaconal, Josehp recebeu o Livro dos Evangelhos, momento em que foi acolhido com uma calorosa salva de palmas e o canto “um dia escutei teu chamado, divino recado batendo no coração...”.

O neo-diácono manifestou alegrai de ser ordenado como missionário da Consolata e agradeceu a todos. “Estou realizando um sonho que era de vir à América Latina e hoje, justamente na festa da Padroeira, Nossa Senhora de Guadalupe, fui ordenado diácono pelo presidente da mais importante Conferência Episcopal do mundo, a CNBB. Agradeço os missionários da Consolata pela confiança e amor que sempre tiveram comigo”, afirmou emocionado sendo ovacionado com aplausos da assembleia. Joseph agradeceu a comunidade pela organização da celebração e os diversos grupos presentes.

Antes da bênção, dom Sérgio agradeceu ao diácono Joseph por ter aceitado ser missionário no Brasil e a Igreja no Quênia, em especial, aos missionários da Consolata, pela presença em Brasília. “A nossa gratidão de coração sincero. Obrigado pelo convite para presidir essa celebração. Agradeço também aos irmãos da Embaixada do Quênia presentes”.

Joseph expressou o que estava sentindo. “As responsabilidades do serviço da caridade, da proclamação do Evangelho e o serviço da liturgia sempre foram os principais motivos da minha vocação. Agora que estes serviços me foram oficialmente confiados, sinto-me feliz por ter realizado um sonho e ao mesmo tempo responsabilizado a vivê-los com entusiasmo. A minha alegria maior é saber que a Igreja me confia essa responsabilidade e esta comunidade também tem me dado a oportunidade de me preparar bem para esse serviço”, disse.

O novo diácono continuará na paróquia durante o ano de 2016 para depois ser ordenado padre em sua terra natal quando receberá, da direção Geral da congregação, a destinação para a sua primeira missão.

Após a bênção solene e o cântico dedicado à Consolata, a comunidade ofereceu um jantar para comemorar mais esse acontecimento histórico na vida da paróquia.

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