Dopo tre anni di ricerca-studio, nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana in Roma, il missionario della Consolata tanzaniano, padre Thomas Leon Mushi ha difeso, questo venerdì 14 giugno 2024, la sua tesi dottorale dal titolo “La durata in ufficio del parroco religioso”.

In particolare, lo studio sulla relazione tra i canoni 522 e 682 ha conferito a padre Mushi il titolo di Dottore in Diritto Canonico.

Pubblichiamo una breve presentazione della sua tesi in questo articolo scritto dall'autore stesso.

LA DURATA IN UFFICIO DEL PARROCO RELIGIOSO: Lo studio sulla relazione tra i cann. 522 e 682.

Presentazione della tesi di dottorato in diritto canonico

Motivazioni

L'interesse per intraprendere questo studio nasce proprio dalla mia vocazione religiosa e missionaria. Avendo incontrato vari missionari religiosi lavorando nel settore come parroci, ho coltivato l’interesse di approfondire la mia conoscenza sul ministero del parroco specificamente del parroco religioso.

Il tema però del parroco religioso è molto vasto, e quindi, grazie ai consigli del Moderatore della tesi, il Prof. Paul Armand Bosso, ho potuto restringere il campo ad un aspetto specifico e concreto. Sollecitato anche dall’esperienza acquistata dall’osservazione dei parroci religiosi nel mio paese di origine in Tanzania, nonché nelle nostre missioni in Mozambico e Portogallo, ho deciso di lavorare sull’aspetto che riguarda la “durata in ufficio”.

Il vedere i parroci religiosi spostati (rimossi o trasferiti) con facilità e dopo un breve periodo in ufficio, mi ha spinto a concentrarmi su questo aspetto con lo scopo di offrire chiarezza al riguardo, e possibilmente contribuire con uno strumento che servirebbe come manuale ai Superiori maggiori degli Istituti Religiosi nonché agli Ordinari del luogo per la fattispecie dei parroci religiosi.

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Padre Thomas Mushi, Prof. Ndiaye Antoine Mignane, Prof. Bosso Armand Paul e Prof. Okonkwo Ernest B. Ogbonnia

La novità

La novità di questo studio è proprio come già accennato sta nel titolo “la durata in ufficio del parroco religioso.” Nella nostra ricerca abbiamo evidenziato che il campo di interesse sul parroco religioso è stato poco ricercato e approfondito, e molto meno sulle questioni riguardanti la durata in ufficio.

Le ragioni sono evidenti, perché dalla legge vigente non è specificata.  L’espressione che la ricerca guarda con attenzione è “ad nutum superiorii” in can. 682 senza una diretta considerazione del can. 522 che mette in luce la “stabilitas” per garantire il bene delle anime. Secondo la legge attuale la provvisione ad vitam è meno frequente che della nomina ad tempus determinatum.

L'ufficio di parroco conferito ad un sacerdote religioso e la sua cessazione viene fatto secondo le disposizioni del canone 682, §§1-2. In più, nella procedura generale per la rimozione e trasferimento dall’ufficio del parroco, il religioso parroco è trattato come una eccezione. Può rimanerci 3 mesi, un anno, oppure 20 anni dipendendo dalla discrezione del suo superiore competente. Ma nessuna garanzia viene data per un tempo minimo per il bene delle anime a lui affidate.

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La suddivisione del lavoro

Il nostro lavoro è diviso in tre capitoli. Il primo capitolo riguarda la configurazione giuridica dell'affidamento di una parrocchia ad un istituto religioso. In questo capitolo abbiamo cercato di approfondire la fattispecie dell’affidamento delle parrocchie agli istituti religiosi o ai chierici religiosi singolarmente. Il capitolo conclude con una particolare considerazione sulla personalità giuridica del titolare dell'ufficio di parroco e sul suo rapporto con la sua comunità religiosa e con le autorità competenti. La conclusione indica anche come risolvere la problematica della durata dalle convenzioni stipulate.

Il secondo si occupa dello status quaestionis della ricerca, cioè la durata in ufficio del parroco in generale con richiami alla considerazione giuridica, valida anche per il parroco religioso, che il parroco indipendentemente del suo status d’incardinazione è chiamato a servire il popolo di Dio in collaborazione con l’Ordinario del luogo. L’aspetto comune a tutti i parroci è “il bene delle anime”. È un capitolo di natura comparativa pensando necessariamente al rapporto tra due importanti cann. 522 e 682, §1. Entrambi i canoni trattano la durata dell'ufficio del parroco. Lo studio tocca anche il decreto Maxima cura che ha portato alle disposizioni del Codice Pio Benedettino ed altrettanto, l'apostolato dei religiosi, come raccomandato da alcuni documenti conciliari e postconciliari del Concilio vaticano II nonché l’esaminare la determinazione della durata a partire dai criteri e ruolo svolto dalle Conferenze episcopali. La conclusione indica la soluzione alla problematica considerando can. 522 nell’applicare il can. 682.

Il terzo capitolo è dedicato all'approfondimento delle fattispecie del conferimento e della rimozione di un parroco religioso nel c. 682, §§ 1-2. In questa fattispecie la nostra ricerca segue la norma del diritto come mezzo per il quale si potrà garantire la stabilitas del parroco religioso che dipende veramente dalla durata in termini dei tempi della provvisione e la cessazione d’ufficio. E per garantire la durata della provvisione, come nel primo capitolo presentiamo lo strumento di controllo, c’è la possibilità di ricorso amministrativo oppure gerarchico fino addirittura alla Segnatura apostolica.

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Padre Alberto Trevisiol, Prof. Okonkwo Ernest B. Ogbonnia, padre Thomas Mushi, Prof. Bosso Armand Paul, Prof. Ndiaye A. Mignane e  padre Mathews Odhiambo

Conclusioni

Senza pretesa di esaustività della comprensione della fattispecie del parroco-religioso che ha determinato la nostra ricerca, è chiaro che l'approfondimento della conoscenza circa l'ufficio di parroco affidato ad un sacerdote-religioso, si è sviluppato proprio a partire dal contesto storico della pratica e dall'importanza dell'ufficio stesso. Sulla base dei risultati, è indicativo che il ruolo dei religiosi nella Chiesa locale è importante e positivo. In parte l’identità religiosa non cessa di esserlo grazie alle attività pastorali fuori della casa religiosa al servizio della diocesi e della Chiesa universale in generale. Seguendo l'indole del loro istituto, i sacerdoti-religiosi svolgono il loro ministero, tenendo presenti le prescrizioni dei cann. 673 e 678 §2.

Attraverso questa ricerca, abbiamo esaminato la durata di un parroco-religioso nell'ufficio dal punto di vista storico e giuridico, in modo da stabilire una possibile procedura per garantire la stabilità nell'ufficio per il bene delle anime nella Chiesa.  La ricerca l'ha esaminata soprattutto dal punto di vista della configurazione giuridica dell'affidamento di una parrocchia ad un istituto religioso; osservando la realtà, ha visto che è un fatto innegabile come il numero delle parrocchie affidate agli istituti religiosi sia aumentato negli ultimi decenni in quasi tutta la Chiesa. Le ragioni sono varie, ma in generale si tratta del numero limitato di sacerdoti diocesani necessari per rispondere alla crescente necessità spirituale dei fedeli. Per questo motivo i religiosi addetti alla pastorale parrocchiale sono chiamati ad essere fedeli al carisma del proprio istituto durante tutto il tempo dell’esercizio del loro ufficio.

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Padre Thomas Mushi con i confratelli della Casa Generalizia

Nella sua generalità, il diritto regola vari aspetti: la vita dei fedeli all'interno della Chiesa cattolica e la loro condotta, allo scopo di mantenere l’ordine. Tra questi aspetti, vi sono gli uffici ecclesiastici che sono affidati alle persone fisiche. La legge, nel trattare tali uffici e le persone alle quali sono affidate, non può ignorare il loro status, ad esempio, dei membri chierici diocesani, o religiosi. La dinamica dell'affidamento, anche se simile, nella sua concretizzazione varia da una Conferenza Episcopale all'altra.

Tanto per fare un esempio di ciò che è diverso, paragoniamo la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) alla Conferenza Episcopale del Tanzania (TEC) per cui l'una (la prima) nella sua dinamica comprende anche la retribuzione dei titolari degli uffici ecclesiastici, come del parroco, mentre l'altra (la seconda) cerca effettivamente l'aiuto dei titolari degli uffici senza garanzia di retribuzione,  In realtà, può essere il contrario, che i titolari dell'ufficio ecclesiastico cerchino anche i mezzi per sostenere il loro lavoro e le loro iniziative pastorali e aiutare i bisognosi all'interno del territorio. Quindi, in entrambe le realtà i sacerdoti lavorano per lo stesso scopo, ma la considerazione data agli operai è diversa a seconda delle circostanze, o del migliore contesto economico. Con questa preoccupazione siamo d'accordo sul fatto che «la legge universale, nella sua generalità, non può prevedere tutte le eventualità. Occasionalmente ci sono mancanze, incompletezze, inadeguatezze, casus omissus e persino lacune all'interno del corpo legislativo». (J. O. Okello, La potestà dei superiori maggiori degli istituti religiosi di diritto pontificio di dispensare dalle leggi generali e proprie, PUB Roma 2021, 801.

Il conferimento dell'ufficio parrocchiale ad un religioso da parte del Vescovo diocesano non può essere eseguito senza la presentazione, o almeno il consenso del Superiore religioso competente (cf. can. 682, §2). Attraverso questa procedura il religioso-parroco diventa soggetto al Vescovo diocesano in tutte le questioni di pastorale delle anime e al suo Superiore competente per quanto riguarda il suo stato religioso e l'istituto di appartenenza. Inoltre, lo stato religioso non è di per sé incompatibile con il ministero parrocchiale.  Ciò che è veramente importante è cercare il modo corretto attraverso il quale i religiosi possono esprimere e vivere il carisma del proprio istituto religioso mentre esercitano il loro ministero parrocchiale. Il ministero pastorale dei religiosi sarà certamente influenzato dal loro carisma, specialmente dallo stile di vita spirituale e pastorale a cui sono chiamati da Dio mediante la loro vocazione.

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Concretamente, si è cercato di mostrare la configurazione giuridica dell'affidamento di una parrocchia ai religiosi, così come è stata esaminata nell'impostazione del rapporto tra due canoni (682 e 522), dando alcune possibili ragioni per cui il can. 682 sembra mancare di qualcosa quando tratta della questione dei limiti temporali della nomina di un religioso a parroco. Questo lavoro ha messo in luce le informazioni che dovrebbero essere contenute; in particolare, quella su quanto tempo un parroco religioso dovrebbe rimanere nell'ufficio.

Questa “ambiguità” è radicata in tutta la dinamica della nomina, del trasferimento e/o della rimozione di un religioso dall'ufficio. Ciò è dovuto al fatto che i poteri del superiore competente per tali atti amministrativi sono incontrollati e ciò può dare spazio a possibili abusi della potestà discrezionale. La durata della nomina di un parroco-religioso alla luce del rapporto tra due importanti canoni (c. 522 in relazione al c. 682 §1) pone la domanda: «Qual è la ragione necessaria perché un parroco sia stabile nel suo ufficio?». Lo scopo raggiunto è stato la determinazione di ciò che conta davvero: il bene delle anime e quello del titolare d’ufficio.

Da questo studio di ricerca, abbiamo visto che chiaramente la legge deve garantire entrambi: il bene delle anime e il bene del titolare dell'ufficio. Il Concilio vaticano II ha profondamente modificato sia il concetto di ufficio, in cui il servizio delle anime è il fine principale (cf. la definizione di ufficio in Presbyterorum ordinis, 20), sia la ragione della stabilità, che è soprattutto il bene delle anime. Il Concilio Vaticano II si esprime così: «I parroci nelle loro parrocchie devono poter godere di quella stabilità nell'ufficio che il bene delle anime richiede». Non si dovrebbe, perciò, fare distinzione tra parroci; è sempre meglio che tutti siano trattati allo stesso modo e per lo stesso obiettivo. Possiamo quindi, senza dubbio, essere d'accordo sul fatto che la ragione della stabilità è il bene delle anime. I parroci, siano essi religiosi, o diocesani, devono poter godere di quella stabilità nel loro ufficio, che il bene delle anime richiede  (Cf. F. Coccopalmerio, La parrocchia. Tra Concilio Vaticano II e Codice di Diritto Canonico, 165).

In effetti, il ministero di un parroco-religioso non è diverso da quello di un parroco diocesano. Esso si avvale dei compiti specifici della responsabilità della parrocchia, delle sue peculiari funzioni di culto e di evangelizzazione, della paterna guida dei fedeli, nonché dei vari compiti amministrativi connessi con la gestione quotidiana delle risorse della parrocchia e delle varie attività caritative. Il fattore di fondo è il fatto che il munus del parroco è essenzialmente di natura pastorale come affermano alcuni canonisti, si dovrebbe porre maggiore enfasi sull'obiettivo centrale che è la collaborazione con il vescovo nella nobile missione della cura delle anime. Il bene delle anime deve essere al primo posto nella scala dell'importanza, cioè, deve essere preso come un indicatore indispensabile al di sopra del bene dell'istituto religioso.

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L'attuale Codice tace (in parte) sulla procedura di rimozione o trasferimento di un parroco-religioso. Considera solo ad nutum superioris ciò che è sotto la discrezionalità dei competenti superiori.  Siamo del parere che ci debba essere un trattamento equo di tutti i parroci, indipendentemente dal loro status. Questo dovrebbe essere preso in seria considerazione perché non è solo il superiore religioso competente che può rimuovere, ma anche il vescovo e i suoi equivalenti. Questa considerazione garantirebbe il raggiungimento e la permanenza del fine supremo della cura pastorale, che è il bene delle anime. Così, il parroco-religioso dovrebbe essere considerato nel processo di rimozione descritto dai cc. 1740-1747 in modo esplicito, piuttosto che essere trattato come eccezione, ad nutum (cf. can. 682).

La responsabilità di colmare le lacune delle leggi universali e proprie ricade nelle mani di coloro che esercitano il potere pubblico all'interno della Chiesa. Ai sensi del can. 19 del Codice del 1983, sia il Legislatore universale che le competenti autorità interne con funzioni legislative ed esecutive all'interno degli istituti di diritto pontificio hanno il dovere di colmare queste lacune per una migliore amministrazione da parte dei Superiori e per la tutela dei diritti individuali all'interno degli istituti contro ogni forma di abuso di autorità. È nostra convinzione che le autorità responsabili rivedranno la legge universale in modo da colmare le lacune delle leggi che regolano il parroco-religioso.

Inoltre, I Capitoli Generali hanno un ruolo inevitabile per stabilire con chiarezza la prassi dell'affidamento delle parrocchie e la responsabilità dei superiori competenti di nominare i parroci, che saranno istituiti dagli Ordinari del luogo. Dovrebbe esserci anche la possibilità di rivendicare i propri diritti in caso di violazione della legge in procedendo o decernendo. La Santa Sede rimane responsabile di fornire le norme generali da seguire per la produzione di atti amministrativi singolari e le procedure per la rivendicazione dei diritti attraverso il ricorso amministrativo, o gerarchico ogni tal volta che i diritti dell'individuo sono stati violati.

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E in fine, cosciente del principio “Ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus”, la ricerca fa delle proposte concrete per la soluzione del problema della durata in ufficio d’un parroco-religioso:

i) Che la durata sia specificata nella convenzione, richiamando i superiori competenti affinché rispettino i tempi definiti dalla Conferenza Episcopale del luogo, oppure stabilire il tempo determinato per la provvisione con una clausola specifica.

ii) Nel canone della provvisione dell’ufficio stesso si faccia un richiamo al can. 522 (per esempio: can. 682 2 sarebbe così: «Salvo restando le disposizioni del can. 522, il religioso può essere rimosso dall'ufficio conferito, a discrezione sia dell'autorità che glielo ha affidato, informatone il Superiore religioso, sia da parte del Superiore stesso, informatane l'autorità committente; nell'uno e nell'altro caso non si richiede il consenso dell'altra autorità,».

iii) Che il parroco-religioso sia trattato in modo uguale agli altri parroci per la rimozione, o il trasferimento dall’ufficio e non, invece, come un’eccezione, tutelando il bene dell’anime e non dell’istituto religioso. E, in tutto questo, è opportuno che i parroci stessi siano al corrente dello strumento di controllo a loro disposizione, cioè il ricorso amministrativo e gerarchico per potersene avvalere in caso di violazione di diritto in procedendo o decernendo.

* Padre Thomas Leon Mushi, IMC, è missionario tanzaniano dottore in Diritto Canonico.

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Casa Generalizia IMC a Roma

In occasione del centenario della presenza delle Suore missionarie della Consolata in Etiopia (1924-2024),  offriamo alcune spunti di lettura per comprendere il contesto storico che i missionari e le missionarie hanno incontrato all’inizio della loro discreta e rispettosa presenza in questo grande Paese dell'Africa orientale.

La missione è un dono che ci spinge a donarci agli altri. Il cuore missionario anela alla missione e non riposa mai fino a quando non ha raggiunto il suo scopo.

Il Beato Giuseppe Allamano pur non essendo mai stato in Etiopia, con la mente e con il cuore, nutriva un forte desiderio di arrivarci per conoscere quel popolo e continuare l’opera di evangelizzazione cominciata dal grande vescovo missionario, il cappuccino Guglielmo Massaia, che l’Allamano aveva avuto modo di incontrare e ascoltare. Fu impressionato da quell’incontro, un ricordo indelebile a cui continuamente ritornava per rinnovare lo zelo e la passione per quelle terre battute dal grande vescovo missionario.

Un fuoco era stato acceso per non spegnersi mai più, il fuoco della missione. Guidato dallo Spirito Santo e dalla Santissima Vergine Consolata, sostenuto dal cardinale Richelmy e dal suo amico e collaboratore Camissasa, nel 1901 l’Allamano fondò l’Istituto dei Missionari della Consolata e nel 1910 le missionarie che potessero raggiungere la tanto sospirata terra di Etiopia.

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Il primo gruppo delle missionarie della Consolata in Etiopia. Foto: Archivio MC

I primi missionari non riuscirono a raggiungere quella meta e furono costretti, fin dai primi momenti, a ripiegare in Kenya nella speranza che circostanze più favorevoli potessero favorire il passaggio della frontiera. Dal Kenya, Mons. Perlo, incaricato di eseguire il piano di apertura della nuova missione, dava una mano a Mons. Gaudenzio Barlassina per cercare una via d’ingresso al Kaffa in Etiopia.

Solo dopo alcuni anni di pazienza e ripetuti tentativi nel 1914 un piccolo gruppo guidato da padre Angelo Dal Canton partiva per l’Etiopia ma dovette rimanere per diversi mesi a Moyale, sul confine tra Kenya e Etiopia, in attesa di ottenere i documenti necessari per entrare. Nel frattempo, il Camisassa, da parte sua, era in stretto contatto con le autorità italiane in Addis Abeba, perché in quell’epoca le missioni erano considerate non solo opere religiose e di civilizzazione, ma anche avamposti di “italianità”.

Alla fine, il padre Canton ricevette un permesso di soggiorno a Burgi, al confine con il Kaffa nella parte meridionale dell’Etiopia, ma l’anno anno seguente fu costretto a lasciare il paese per varie ragioni, di carattere religioso e politico.

Nel frattempo, i missionari in Kenya continuavano a cercare nuove vie per raggiungere l’ambita meta e anche l’Allamano asseconda e accompagna questo loro impegno. Era talmente fiducioso che quel “sogno” potesse realizzarsi che fece partire Mons. Barlassina per il Kenya, dove arrivò nel mese di febbraio 1915 con l’intento di proseguire, superati gli ostacoli burocratici, per il Kaffa.

Mons. Barlassina era un missionario coraggioso e determinato, creativo e visionario al punto che escogitò una nuova strategia di ingresso in Etiopia. Prima di tutto seguì un altro itinerario: da Mombasa passò per Mogadisco, Aden e Gibuti per giungere finalmente ad Addis Abeba nella notte di Natale del 1916. L’autorità locale, incuriosita, indagava clandestinamente chi fosse questo “strano personaggio”: un militare travestito, una spia tedesca, un agente di commercio oppure un giornalista?

Mons. Barlassina incontrò il Principe Tefarì Mekonnen (il futuro imperatore Haile Selassiè I) e presentò delle motivazioni umanitarie come ragione del suo ingresso in Etiopia: la formazione intellettuale e morale del popolo etiope attraverso l’agricoltura e il commercio. Dopo aver ottenuto dal capo locale, per sé e per i suoi due compagni, una licenza commerciale scritta, Barlassina iniziò così, in modo clandestino, l’attività missionaria presso la Prefettura apostolica del Kaffa.

L’arrivo delle missionarie della Consolata

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Alcune Missionarie della Consolata dell'Etiopia

Nel 1924 arrivano anche le suore missionarie della Consolata che appunto quest’anno festeggiano il centenario della loro presenza evangelizzatrice e della missione di consolazione in Etiopia, portando a compimento il sogno del nostro padre Fondatore Giuseppe Allamano.

I missionari e le missionarie nel loro modesto inizio erano consapevoli, a differenza di altre situazioni in Africa, che era necessaria una buona dose di umiltà, di rispetto e di ascolto per non irritare i sacerdoti della Chiesa locale o risvegliare l’animosità dei capi locali in una nazione che aveva una Chiesa ortodossa con una tradizione apostolica millenaria, con dei propri libri sacri, manoscritti antichi, templi, teologia, letteratura e un proprio rito liturgico.

Gradualmente, con il passare degli anni, il sogno del Fondatore prende corpo nella creazione di diverse stazioni di missione: Ghimbi, Billo, Anderacha, Umbi, Magi, Komto, Melka Oda, Guder, Cianna, Gimma, Bonga, etc.

A causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale e del conseguente conflitto italo-etiopico, queste missioni rimarranno abbandonate per circa trent’anni: tutti i missionari e le missionarie furono espulsi dal paese. Padre Gaudenzio Barlassina aveva fondato le Suore Ancelle di Maria Consolata che continuarono una presenza che durò fino al ritorno delle missionarie della Consolata nel 22 agosto 1974. Alcuni missionari rientrano come cappellani dell’esercito di invasione italiano oppure come interpreti. Ma che questa fosse una scelta saggia di Mons. Barlassina è tuttora discutibile!

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Messa nella Festa del Fondatore 2024 con la partecipazione della Direzione Generale, dei seminaristi, missionari e missionarie della Consolata.

Dopo la tragedia della guerra, si prospetta l’alba di un faticoso nuovo inizio. Espulso durante la guerra, l’Istituto dei Missionari della Consolata dovrà lottare per ritornarci. Negli anni 60 lavorava a Nyeri nel Kenya, padre Giovanni de Marchi, italiano, proveniente dagli USA e in possesso di passaporto americano. Come un degno figlio dell’Allamano, anche padre de Marchi sognava si riportare l’Istituto in Etiopia e questo avvenne agli inizi degli anni ’70 grazie al suo impegno e all’incontro del Superiore Generale, padre Mario Bianchi con l’imperatore Hailè Selassiè in visita a Torino.

I primi sette missionari protagonisti di questa miracolosa “alba di un nuovo giorno”, entrarono nel paese sottoforma di “promotori di progetti di cooperazione allo sviluppo” e furono i seguenti: Giovanni De marchi, Lorenzo Cavallera, Lorenzo Pietro Ori, Silvio Sordella, Antonio Vismara, Domenico Zordan e Tarcisio Rossi. Nel 1974 anche le missionarie della Consolata li raggiungeranno per riprendere il loro servizio nella pastorale degli ammalati, delle donne e della gioventù.

Attualmente i missionari della Consolata sono presenti nell’archidiocesi di Addis Abeba (Addis Abeba, Modjo), nel vicariato Apostolico di Meki (Weragu, Gambo ed Halaba). Grazie a Dio continua la fioritura di vocazioni missionarie locali: sono circa 20 i missionari della Consolata Etiopici che lavorano in tre continenti e c’è un buon numero di seminaristi nelle case di formazione. Ugualmente, abbiamo parecchie Suore Missionarie della Consolata etiopi sparse nel mondo.

Dopo il tramonto viene sempre un’alba nuova! Dopo la tempesta, riappare il sole! Auguri!

* Padre Ashenafi Yonas Abebe, IMC, studia storia della Chiesa a Roma.

La novena consiste nel pregare per nove giorni consecutivi con il fine di affidare a Dio un'intenzione o per chiedere una grazia speciale per intercessione della Vergine Maria o di altri santi.

Questo tempo ci offre la possibilità di dedicarci maggiormente alla preghiera per mettere ai piedi del Signore una situazione difficile, affidargli con devozione un'intenzione particolare, preparare il nostro cuore a ricevere le sue grazie e accogliere lo Spirito Santo che ci aiuta a discernere la volontà di Dio nella nostra vita.

Il Beato Allamano e la Novena della Consolata

La festa della Consolata si celebra ogni anno il 20 giugno ed è sempre preceduta dalla sua novena. Per i missionari della Consolata, la novena ha un valore inestimabile. Dice il Beato Giuseppe Allamano: “Quando incomincia la novena in preparazione alla festa della Consolata, vi farei un torto ad invitarvi a farla bene. Basta sapere che ci avviciniamo a festeggiare la nostra cara Mamma per dire tutto!” (Così vi voglio, n. 159).

Per il beato Giuseppe Allamano, dunque, la novena è un momento di preparazione speciale per celebrare degnamente la festa della Patrona delle due comunità missionarie da lui fondate. Il Beato Giuseppe Allamano spiega l'importanza della preparazione spirituale: “Per noi, figli e figlie prediletti della Consolata, è importante questa festa? È tutto! No, non voglio dirvi che vi prepariate; sono certo che siete tutti ben disposti a fare bene la novena e a celebrare con entusiasmo la festa. Il cuore dice ciò che bisogna fare per una madre! (Così vi voglio, n. 159).

La Novena della Consolata è soprattutto la novena dei Missionari e delle Missionarie della Consolata e questo è il motivo principale per celebrarla con grande attenzione. Dice il beato Giuseppe Allamano: “ se celebriamo con intensità di amore tutte le feste della Madonna, quanto più questa che è la nostra festa, nostra cioè in modo tutto particolare” (Così vi voglio, n. 159). La festa della Madonna della Consolata e la sua novena vanno celebrate con grande importanza e onore perché è la festa che caratterizza in modo speciale i missionari della Consolata.

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Il Santuario della Consolata a Torino. Foto: Álvaro Pacheco

La Novena in attesa della canonizzazione del Beato Allamano.

La Novena della Consolata del 2024 è particolarmente significativa perché si svolge in un anno in cui la Santa Sede ha annunciato il riconoscimento del miracolo della guarigione dell'indigeno Sorino Yanomami per intercessione del Beato Giuseppe Allamano. Questo annuncio è stato la gioia più grande per i Missionari e le Missionarie della Consolata negli ultimi anni.

Forse la novena del 2024 sarà l'ultima in cui Giuseppe Allamano sarà chiamato Beato; probabilmente la Novena del 2025 lo troverà già canonizzato e venerato in tutta la Chiesa come santo. Pertanto, la novena di quest'anno è soprattutto un momento di ringraziamento al Signore per la santità di Giuseppe Allamano che incoraggia gli evangelizzatori nella loro opera di distribuzione a tutta l'umanità del buon sapore e della gioia del Vangelo.

Conclusione

Questa notizia, attesa da molti anni, ha portato gioia a innumerevoli persone, soprattutto alla Famiglia Consolata presente in varie parti del mondo. La santità di Giuseppe Allamano è un grande dono sia per noi che per tutta la Chiesa universale.

* Padre Lawrence Ssimbwa, IMC, parroco di San Martin de Porres a Buenaventura, Colombia.

La Commissione ad gentes della Regione Europa (REU) si è incontrata a Torino nei giorni 27 - 31 maggio 2024, con lo scopo di valutare il cammino fatto e programmare gli incontri e le attività per il nuovo anno pastorale.

È una commissione creata per aiutare i missionari a riflettere, pensare e lavorare nei vari contesti della missione ad gentes che sono specificati dal Progetto Missionario Regionale del 2021 (PMR, 12):

  • La Chiesa Locale, in cui far crescere il seme della missione e con cui andare alle frontiere geografiche e antropologiche. Con il nostro stile e la nostra esperienza missionaria partecipiamo alla sua attività pastorale.
  • Le persone e gruppi “da consolare”. Sono i nostri poveri: migranti, rifugiati, senza tetto, persone sole …in situazione di emarginazione, anziani che hanno perso il senso della vita.
  • La cooperazione missionaria come interscambio fra i vari Continenti …: mani che aiutano progetti e iniziative in altri Continenti e rientrano ricche di spunti e materiale per qualificare la nostra animazione missionaria.

Alla luce di questi contesti, la Commissione ad gentes, ha il mandato di:

  • studiare la realtà e proporre alla Direzione Regionale “esperienze laboratorio di ad gentes nuove e innovative”
  • organizzare periodicamente incontri di formazione e progettazione sulla missione su tematiche specifiche come: mobilità umana, giovani, parrocchie e JPIC
  • stimolare i missionari alla riflessione e progettazione del lavoro in ambito parrocchiale e di pastorale giovanile e animazione missionaria, dialogo interreligioso e interculturale
  • organizzare un corso di inserimento per chi è destinato a lavorare in Europa (PMR 14).

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Commissione creata per aiutare i missionari a riflettere, pensare e lavorare nei vari contesti della missione ad gentes

La Commissione ad gentes è un laboratorio di pensiero e di azione, un volano della missione in Europa con un raggio di azione complesso, in territori diversificati che spaziano dalla Spagna, l’Italia e il Portogallo, includendo la Polonia e, dal novembre 2020, la parrocchia di San Luigi a Oujda in Marocco, totalmente dedicata ad accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati.

Per poter realizzare efficacemente il mandato, facilitare l’operatività e soprattutto qualificare le scelte e le iniziative dell’azione missionaria, all’interno della Commissione, si sono creati alcuni tavoli di lavoro, di riflessione sui vari contesti dell’ad gentes.

Nella fattispecie: i migranti e la mobilità umana, le parrocchie, la pastorale giovanile e l’animazione missionaria e poi c’è anche un tavolo che cura l’accompagnamento dei missionari giovani di tutta la Regione Europa.

I tavoli sono composti da missionari e, in alcuni, anche dai Laici Missionari della Consolata (LMC) il cui contributo è sempre molto arricchente e professionale. I tavoli lavorano autonomamente nella programmazione degli incontri e delle iniziative, facendo sempre riferimento al coordinatore della Commissione ad gentes.

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 Il cortile della parrocchia Maria Speranza Nostra, periferia Nord di Torino

Nella periferia di Torino

L’incontro di maggio si è svolto presso la parrocchia Maria Speranza Nostra, periferia Nord di Torino, nella cosiddetta Barriera di Milano dove i commercianti provenienti da Milano, nei secoli scorsi, si fermavano per pagare “la tassa” sui prodotti che portavano a Torino. La Barriera nel ventesimo secolo ha accolto ondate diverse di migranti, dal Sud Italia, poi dall’Est Europa e infine, in tempi recenti, dal Nord e Centro Africa. diventando così un crocevia di culture e popoli. Una periferia dal tessuto sociale molto fragile, caratterizzato da “solitudini”, disagio e marginalità.

La parrocchia, affidata ai missionari della Consolata nel 2013, ha trasformato il nome impegnativo che porta, in una visione pastorale: essere segno di speranza, accoglienza e convivenza pacifica per tutti senza distinzione. Dove la Consolazione è vissuta come riscatto e promessa di redenzione dalle difficoltà, pregiudizi e miseria. Da settembre dell’anno scorso, la Parrocchia è anche sede di una Comunità Apostolica Formativa (CAF) di cinque studenti di teologia provenienti da diversi Paesi e l’equipe formativa composta da padre Samuel Kibara Kabiru, formatore responsabile, padre Nicholas Muthoka Nyamasyo, parroco e il suo collaboratore padre Elmer Palaez Epitacio.

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Non ci poteva essere miglior posto per l’incontro della Commissione che è iniziato con una sessione con la Direzione Regionale per verificare insieme il mandato che il PMR ci ha consegnato.

La giornata di martedì 28 ha vissuto tre momenti importanti: il primo è stato di formazione, al Polo “Cultures and Mission” (CAM), con la partecipazione di un buon numero di nostri confratelli della comunità di Casa Madre. Il tema era sull’Europa, nostra terra di missione: “Quale futuro per l’Europa?”, quali scenari si potrebbero aprire dopo le elezioni per rinnovare il Parlamento europeo in programma 8-9 giugno. Il Prof. Luca Giordana, coordinatore dell’Associazione Per l’Incontro delle Culture in Europa (APICE) ha trattato il tema con competenza.

Il secondo momento, nel pomeriggio, quando la Commissione ad gentes si è presentata ai missionari della Casa Madre. Caratterizzato da fraternità e condivisione, un bel segnale di interessamento e di incoraggiamento per il lavoro della Commissione. Poi, rientrati in parrocchia, la celebrazione della Messa con la gente, e dopo cena incontro con alcuni rappresentanti di gruppi e associazioni della parrocchia.

Laici e consacrati che lavorano in alcuni ambiti della consolazione: il cortile della parrocchia che funge da Oratorio, ogni pomeriggio si riempie di “mondialità”: ragazzi e ragazze di “mille” paesi che giocano insieme e sono aiutati dai volontari con il doposcuola due giorni alla settimana; le famiglie più bisognose (circa 150), sono accolte e aiutate dai volontari del Centro di Ascolto e sempre nei locali della parrocchia, c’è il progetto di accoglienza di una ventina donne rifugiate fatta in collaborazione con il CISV, una Ong locale (acronimo per: Comunità, Impegno, Servizio, Volontariato). La missione si vive e si fa in vari modi, però sempre secondo il carisma della Consolazione vissuto e ispirato dal nostro “Santo” Padre Fondatore, Giuseppe Allamano.

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Prof. Luca Giordana: In quale modo dobbiamo essere missionari nell’ “Oggi” della missione?

Essere missionari nell’ “Oggi” della missione

La giornata di lavoro di Mercoledì 29 è stata introdotta da una riflessone biblica sulla nostra missione, alla luce dell’episodio di Gesù nella sinagoga di Nazareth (Luca 4:16-30): “oggi” questa scrittura si compie in ciascuno di noi. In quale modo dobbiamo essere missionari nell’ “Oggi” della missione? Come Gesù Re, Profeta e Sacerdote! (cfr. Preghiera dell’Unzione col Sacro Crisma nel rito battesimale).

Durante la giornata i diversi “tavoli”, si sono alternati nel presentare il rapporto sul cammino fatto e i punti della verifica. Ha iniziato il Tavolo Migranti e poi, nel pomeriggio, è toccato al tavolo dei Missionari Giovani e poi quello delle Parrocchie. Ogni Tavolo sta gradualmente prendendo coscienza dell’importanza del loro contributo per aiutare nella realizzazione della missione in Europa. Anche se le difficoltà non mancano, abbiamo valutato positivamente il lavoro fatto e per questo, abbiamo chiesto ai coordinatori di ringraziare tutti per la costanza di partecipare agli incontri e la serietà con cui hanno lavorato.

In serata, dopo la celebrazione della Santa Messa con i fedeli della parrocchia, abbiamo avuto un incontro con i nostri studenti della CAF, e con gli altri membri del team formativo: padre Samuel e padre Elmer. Molto importante far conoscere come si cerca di vivere concretamente la missione ad gentes in Europa. Abbiamo ribadito che come missionari dobbiamo sentirci sempre in formazione, alla sequela di Gesù Missionario del Padre. E quindi lasciarci formare anche dalla vita e dagli altri con cui viviamo.

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Giovedì 30 maggio, dopo la riflessione biblico-missionaria su Gesù “Profeta e Sacerdote”, abbiamo ascoltato la presentazione della verifica e valutazione di tavoli rimanenti, quello della Cooperazione Missionaria e poi, della Pastorale Giovanile e Animazione Vocazionale che ha condiviso le proposte fatte ai giovani e lo sforzo in atto per coordinarsi maggiormente a livello regionale.

Le sessioni di lavoro si sono concluse prima di pranzo con la programmazione del calendario degli incontri della Commissione per l’anno pastorale 2024-2025. Nel pomeriggio, per conoscere e imparare, abbiamo visitato l’Ufficio Pastorale Migranti, dell’Archidiocesi di Torino.

Molto interessante la condivisione di tutti i servizi che vengono offerti ai migranti, con la sottolineatura che non sono “casi”, ma persone da ascoltare, accompagnare e sostenere nel cammino di integrazione. “Ciliegina sulla torta” è stata la concelebrazione della Santa Messa nel “nostro” Santuario della Consolata (foto), offrendo nella Eucaristia il lavoro di queste giornate e quello dei diversi tavoli nei contesti della missione in Europa. Orgogliosi di essere figli del Rettore della Consolata che prossimamente sarà proclamato “San Giuseppe Allamano”.

Non è mancato il ringraziamento ai confratelli della Casa Madre per l’ospitalità, l’interessamento e l’accompagnamento con la preghiera. E anche alla comunità della Parrocchia Maria Speranza per lo spirito di Famiglia e il “sapore” della missione che abbiamo vissuto e percepito tutto intorno a noi.

* Commissione ad gentes della Regione Europa (REU).

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Il Santuario della Consolata a Torino

La Consolata «ad gentes»

Il fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata, il beato Giuseppe Allamano (Castelnuovo Don Bosco, 21 gennaio 1851 - Torino, 16 febbraio 1926), sarà canonizzato.

Lo ha deciso, il 23 maggio scorso, Papa Francesco nell’udienza al cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, autorizzando a promulgare il decreto relativo al miracolo riconosciuto e a lui attribuito per la guarigione dell’indigeno Sorino Yanomami, avvenuto in Amazzonia.

A padre Ugo Pozzoli, missionario della Consolata, vicario episcopale per la vita consacrata dell’arcidiocesi di Torino, abbiamo chiesto di parlarci del fondatore del suo istituto e di come si vive oggi la missione.

La Chiesa torinese vive un momento di festa per la notizia della canonizzazione del vostro fondatore. Allamano vedeva la Chiesa da una prospettiva che varcava i confini del mondo ma nello stesso tempo è stato un sacerdote profondamente radicato nell’attività della sua diocesi. Come viveva questa doppia dimensione?

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Non credo che si debba parlare di una doppia dimensione. Giuseppe Allamano è stato un prete della diocesi di Torino, con uno stile ispirato in modo particolare dalla vita e dall’opera dello zio materno, san Giuseppe Cafasso. La sua caratteristica consisteva nel saper guardare oltre. L’incontro avuto in età giovanile con il cardinale Guglielmo Massaia, frate cappuccino missionario in Etiopia, creò in lui il desiderio profondo di partire, cosa che non poté avverarsi per ragioni di salute. Da rettore del Santuario della Consolata, incarico portato avanti ininterrottamente per ben quarantasei anni, continuò però a sognare che, anche se non direttamente attraverso lui, la consolazione del Cristo risorto, cercata dai torinesi nel santuario attraverso l’intercessione di Maria, potesse essere offerta anche ai lontani.

Com’era il suo rapporto con i missionari?

Manteneva con loro un dialogo epistolare sempre aperto. Li invitava a scrivere lettere e soprattutto a compilare diari, che gli venivano recapitati ed erano da lui letti avidamente. Attraverso di essi lui si nutriva della missione, imparando dai suoi missionari. È facile immaginare che questo bagaglio di esperienze lo abbia a sua volta influenzato nel vivere il ministero sacerdotale a Torino.

Come si identifica oggi un missionario della Consolata: quali caratteristiche rimarcano la vocazione missionaria in ognuno di voi?

Un missionario della Consolata comprende, nella sua interezza, svariati elementi: l’ispirazione originaria del fondatore, l’evoluzione del carisma attraverso le scelte operate nel corso della nostra storia missionaria e, infine, il contesto attuale, storico, geografico, culturale.

Detto questo, ci sono dei punti chiari e ben tracciati nelle nostre Costituzioni, senza il rispetto dei quali sarebbe difficile identificarsi in modo fedele con il nostro carisma: il vincolarsi con passione all’opera di evangelizzazione della Chiesa con un’attenzione speciale al primo annuncio, lo spirito mariano, la dimensione eucaristica, la laboriosità; il tutto vissuto in comunità, cercando di costruire fraternità basate, come diceva lui stesso, sullo spirito di famiglia e l’unità di intenti.

I missionari della Consolata sono presenti in trenta nazioni nel mondo. Ma oggi, forse, Allamano guarderebbe soprattutto all’Occidente come nuova terra di missione.

Ci stiamo convertendo in modo sempre più deciso a un ad gentes globale, che ci faccia sentire a tutti gli effetti “in missione” ovunque ci si trovi, compresa la nostra Europa, un tempo considerata luogo da cui partire ma non luogo su cui investire risorse e personale. Mi sembra che Allamano, senza ricorrere a inutili forzature, ci dia una chiave di lettura interessante aiutandoci a discernere la nostra missione oggi in Europa.

In che modo?

È curioso vedere come egli, pur limitando gran parte della sua azione al perimetro del Santuario della Consolata, si sia dedicato all’ambiente sociale ed ecclesiale della sua città, cosa che gli venne riconosciuta. Intervenne, infatti, nella realtà sociale del suo tempo in vari modi: con il giornalismo (fu pioniere della stampa cattolica e credeva come pochi nell’efficacia di una buona comunicazione); le associazioni dei lavoratori, con un’attenzione particolare al mondo operaio di quel tempo; la preparazione del clero giovane nel convitto ecclesiastico, attraverso una formazione implicante lezioni, che oggi potremmo definire di sociologia e sulla dottrina sociale della Chiesa.

Senza dimenticare il lavoro capillare svolto nel dialogo personale con tantissimi uomini e donne che venivano al santuario per avere da lui una parola di conforto e consiglio. Così noi oggi portiamo avanti, anche in Europa, il sogno missionario del nostro padre fondatore nell’accoglienza dei migranti, nel lavoro pastorale in periferia, nell’offerta formativa e spirituale sui temi della missione, nell’impegno per la pace e, soprattutto, nella testimonianza che è possibile vivere una fraternità interculturale.

* Nicola Di Mauro, Pubblicato  originalmente in L’Osservatore Romano, 05 giugno 2024 (www.osservatoreromano.va)

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