Gli indios raccontano che in certi fiumi del Brasile abita un immenso serpente femmina. Cobra Grande che spunta dall'acqua all'improvviso e divora le barche e i pescatori in un solo boccone. Qualcuno la chiama la Madre delle Acque e si sa che, in un tempo molto lontano, una delle sue belle figlie si sposò con un potente guerriero indio.
I vecchi raccontano che in quei giorni pietre e alberi parlavano, che gli animali non esistevano e che la luce del giorno splendeva eternamente, così la figlia di Cobra grande non poteva dormire.
Allora suo marito mandò tre guerrieri a casa di sua suocera, perché le chiedessero un po' di buio. Cobra grande, infatti, era la padrona della notte e la teneva chiusa in un pentolone. I tre presero la canoa e navigarono fino alla fine del fiume, dove abita la Madre delle Acque, che fece un cartoccio con una grande foglia verde e la riempì di oscurità, dicendo: "Mi raccomando, non apritelo finché non sarete a casa, o vi succederanno cose terribili".
I tre tornarono indietro, ma non potevano fare a meno di chiedersi come mai il cartoccio fosse tanto rumoroso: ne uscivano, infatti, suoni mai sentiti prima: gra-gra, crii-crii, frr-frr (erano le voci dei rospi, dei grilli e di altri animali che stanno svegli di notte). Resistere alla curiosità era davvero impossibile, così gli uomini aprirono il cartoccio e il buio se ne andò per il mondo. Quanto a loro tre, si trasformarono in scimmie condannate a saltare di albero in albero, mentre le foglie galleggianti diventano pesci e le pietre si cambiarono in animali.
Come aveva detto Cobra Grande, accaddero cose terribili e strane. E la più strana di tutte era la notte nera e profonda, che nasconde uomini e cose.
(da Il pappagallo che fa cra-cra, Mondadori Ragazzi)
La manioca
C'erano , un tempo, due indios che vivevano nella foresta. Lei si chiamava Atiolo e lui Zatiamare. E il loro primo bambinio stava per nascere. "Voglio un maschio" diceva Zatiamare. "Crescerà con me, caccerà con me, e con me si dipingerà il viso con il succo dell'urucum". Ma Atiolo era sicura che sarebbe nata una femmina, e infatti ebbe una bella bambina con i capelli neri.
Zatiame si arrabbiò tanto che non volle guardare in faccia la figlia e neppure le diede un nome. Atiolo, invece, la cullò, la nutrì e la chiamò Mani, crescendola come meglio poteva. "Perché non parli con nostra figlia?" chiedeva la donna al suo compagno, "Perché non la consoli quando piange?" "Perché non le ho chiesto io di nascere" rispondeva Zatiamere, "per me è come se fosse figlia del vento".
Dopo un po' Atiolo si accorse di aspettare un altro abmbinoe stavolta nacque un maschio che si chiamò Taruma. Zatiame era contento: raccontava storie a suo figlio, lo portava sulle spalle quando doveva attraversare il fiumee gli insegnava a cacciare. Mani li guardava senza dire nulla, finché, un giorno, chiese alla madre di seppellirla viva , perché pensava che il padre sarebbe stato felice di non vederla più. Atiolo pianse e pianse ma la bambina insistette tanto che riusc^ a convincerla. Scavarono insieme una buca profonda e Mani ci si calò dentro dicendo: "Se avrò bisogno di qualcosa lo saprai subito". Poi la madre la coprì di terra e se ne andò. Quella notte Atiolo sognò che la figlia aveva molto caldo e la mattina dopo corse a tirarla fuori. "Dove vuoi che ti seppellisca?" le chiese. "In un posto dove l'acqua non smetta mai di scorrere. Atiolo la seppellì in riva al fiume e per due notti sognò che la bambina era contenta e si trovava bene, là nella etrra umida. Ma la terza notte le sentì dire, in sogno: "Portami via di qui. Non riesco a dormire per il freddo". La madre andò a seppellirla in mezzo alla foreta, poi se ne tornò a casa e per molto, molto tempo non seppe più nulla della bambina. Ma sentiva una gran nostalgia e pensava sempre a lei. Così tornò nella foresta e, nel punto in cui aveva sepolto Mani, trovò una pianta alta e verse. "Possibile che questa sia mia figlia?" si chiese. E in quel momento la pianta allungò una radice verso di lei, che la raccolse e la portò a casa. Era la manioca che, trasformata in farina, è il cibo di tutte le tribù.