Papa: misericordia, carta di identità di Dio. Libro-intervista con Tornielli

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La misericordia è “la carta di identità” di Dio: così Papa Francesco nel libro-intervista “Il nome di Dio è misericordia”, da oggi in libreria. Il volume riporta una conversazione del Pontefice con Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano “La Stampa” e coordinatore del sito web “Vatican Insider” Suddiviso in nove capitoli e 40 domande, il libro – edito da Piemme – ha la copertina autografa di Papa Francesco. La prima copia del volume, in italiano, è stata consegnata ieri pomeriggio al Pontefice, presso Casa Santa Marta. Il servizio di Isabella Piro:

Intervista registrata lo scorso luglio
Luglio 2015, Casa Santa Marta: Papa Francesco è da poco rientrato dal suo viaggio apostolico in Ecuador, Bolivia e Paraguay. È un pomeriggio afoso quando riceve il giornalista Andrea Tornielli, munito di tre registratori. Su un tavolino davanti a sé, il Pontefice ha una concordanza della Bibbia e le citazioni dei Padri della Chiesa. La misericordia è il tema della conversazione che nasce tra i due, in vista del Giubileo straordinario che si aprirà cinque mesi dopo. Oggi, i frutti di quel dialogo sono raccolti nel libro “Il nome di Dio è misericordia”.

Capitolo 1: è tempo di misericordia
Preghiera, riflessione sui Pontefici precedenti e un’immagine della Chiesa come “ospedale da campo” che “riscalda i cuori delle persone con la vicinanza e la prossimità”: sono questi i tre fattori, spiega il Papa, che lo hanno spinto ad indire un Giubileo della misericordia. “La nostra epoca è un tempo opportuno” per questo, dice, perché oggi si vive un duplice dramma: si è smarrito il senso del peccato e lo si considera anche incurabile, inguaribile, imperdonabile. Per questo, l’umanità ferita da tante “malattie sociali” – povertà, esclusione, schiavitù del terzo millennio, relativismo – ha bisogno di misericordia, di quella “carta di identità di Dio”, di Colui “rimane sempre fedele” anche se il peccatore Lo rinnega.

La grazia della vergogna rende il peccatore consapevole del peccato
Centrale poi la riflessione del Papa sul tema della vergogna, intesa come “una grazia” perché rende il peccatore consapevole del proprio peccato. E particolare la sottolineatura del così detto “apostolato dell’orecchio”, ossia della capacità dei confessori di “ascoltare con pazienza” perché oggi le persone “cercano soprattutto qualcuno che sia disposto a donare il proprio tempo per ascoltare i loro drammi e le loro difficoltà”. Tra l’altro – nota il Papa – è per questo che tanti si rivolgono ai chiromanti. Il Pontefice rimarca inoltre “che se il confessore non può assolvere, dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale”, perché “l’amore di Dio c’è anche per chi non è nella disposizione di ricevere il Sacramento”.

Essere confessori è una grande responsabilità
“Abbiate tenerezza con queste persone – dice il Papa ai sacerdoti – non allontanatele”, perché “la gente soffre” e “essere confessori è una grande responsabilità”. Al riguardo, il Pontefice cita il caso di sua nipote: “Io ho una nipote che ha sposato civilmente un uomo prima che lui potesse avere il processo di nullità matrimoniale – racconta – Quest’uomo era tanto religioso che tutte le domeniche, andando a Messa, andava al confessionale e diceva al sacerdote: ‘Io so che lei non mi può assolvere, ma ho peccato in questo e in quest’altro, mi dia una benedizione’. Questo è un uomo religiosamente formato”.

Capitolo 2: confessione non è tintoria, né tortura. Ascoltare, non interrogare
D’altronde, si va al confessionale “non per essere giudicati”, ma per “qualcosa di più grande del giudizio: per l’incontro con la misericordia” di Dio, senza la quale “il mondo non esisterebbe”. Per questo, sottolinea il Pontefice, il confessionale non deve essere né “una tintoria”, in cui lavare via a secco il peccato come una semplice macchia, né “una sala di tortura” in cui scontrarsi con “l’eccesso di curiosità” di alcuni confessori, curiosità a volte “un po’ malata”, morbosa, che trasforma la confessione in un interrogatorio.

Capitolo 3: riconoscersi peccatori. Il cuore a pezzi è offerta gradita a Dio
Invece, “nel dialogo con il confessore bisogna essere ascoltati, non interrogati” e quindi il sacerdote deve “consigliare con delicatezza”. Ma per ottenere la misericordia di Dio, ribadisce nuovamente Francesco, è importante  riconoscersi peccatori, perché “il cuore a pezzi è l’offerta più gradita al Signore, è il segno che siamo coscienti del nostro bisogno di perdono, di misericordia”.  Il Papa ricorda, poi, che la misericordia di Dio è “infinitamente più grande del nostro peccato” , perché il Signore “ci primerea”, “ci anticipa, ci attende” sempre “con il suo perdono, con la sua grazia”. “Il solo fatto che una persona vada al confessionale – spiega Francesco – indica che c’è già un inizio di pentimento”. E a volte vale di più “la presenza impacciata ed umile di un penitente che fa fatica a parlare, piuttosto che le tante parole di qualcuno che descrive il suo pentimento”.

Capitolo 4: anche il Papa ha bisogno della misericordia di Dio
Dal suo canto, il Papa si definisce “un uomo che ha bisogno della misericordia di Dio” e offre alcuni consigli al penitente e al confessore: al primo, suggerisce di non essere superbo, ma di “guardare con sincerità a se stesso ed al proprio peccato”, così da ricevere il dono della misericordia di Dio. Ai confessori, invece, Francesco suggerisce di pensare innanzitutto ai propri peccati, poi di ascoltare “con tenerezza”, senza “scagliare mai la prima pietra”, ma cercando di “assomigliare a Dio nella sua misericordia”. Come modello, il Pontefice cita il padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, prim’ancora che il giovane ammetta i suoi peccati. “Questo è l’amore di Dio – sottolinea il Papa – Questa è la sua sovrabbondante misericordia”.

Capitolo 5: Chiesa condanna il peccato, ma abbraccia il peccatore
Di fronte a chi, poi, a volte, afferma che nella Chiesa c’è “troppa misericordia”, il Papa risponde sottolineando che “la Chiesa condanna il peccato”, ma “allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, gli parla della misericordia infinita di Dio”. Bisogna perdonare “settanta volte sette, cioè sempre”, dice il Pontefice, perché “Dio è un padre premuroso, attento, pronto ad accogliere qualsiasi persona che muova un passo o che abbia il desiderio di muovere un passo” verso di Lui, e “nessun peccato umano, per quanto grave, può prevalere sulla misericordia e limitarla”. La Chiesa, quindi, “non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio”.

Chiesa sia “in uscita”, “ospedale da campo” per i bisognosi di perdono
Per fare questo, però, essa deve essere “Chiesa in uscita”, “ospedale da campo che va incontro ai tanti ‘feriti’ bisognosi di ascolto, comprensione, perdono e amore”. È importante, infatti, “accogliere con delicatezza chi si ha di fronte, non ferire la sua dignità”, afferma il Pontefice, citando un’esperienza personale, risalente ai tempi in cui era parroco in Argentina: una donna che si prostituiva per mantenere i suoi figli, lo ringraziò perché il futuro Papa l’aveva sempre chiamata “Signora”.

Capitolo 6: non leccarsi le ferite del peccato, ma muoversi verso Dio
E ancora, Francesco mette in guardia dall’atteggiamento di chi dispera “della possibilità di essere perdonato” e preferisce leccarsi le ferite del peccato, impedendone di fatto la guarigione. “Questa è una malattia narcisista che porta l’amarezza”, nota il Papa, e in cui si riscontra “un piacere nell’amarezza, un piacere ammalato”. Al contrario, “la medicina c’è”: basta solo muovere un passo verso Dio o avere almeno il desiderio di muoverlo, “prendendo sul serio la propria condizione”, senza credersi “autosufficienti” e senza dimenticare le nostre origini, “il fango da cui siamo stati tratti, il nostro niente”. E questo “vale soprattutto per i consacrati”, sottolinea il Papa. Nella vita, infatti, l’importante non è “non cadere mai”, bensì “rialzarsi sempre”. Questo, allora, è il compito della Chiesa: “Far percepire alle persone che è sempre possibile ricominciare se soltanto permettiamo a Gesù di perdonarci”.

Delicatezza, e non emarginazione, per le persone omosessuali
Rispondendo, poi, ad una domanda sulle persone omosessuali, il Papa spiega quanto detto nel 2013, durante la conferenza stampa di ritorno da Rio de Janeiro, ovvero “Se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. “Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica – dice Francesco – dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare”. Il Papa apprezza la dicitura “persone omosessuali” perché – spiega – “prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità”, che “non è definita soltanto dalla sua tendenza omosessuale”. “Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi, che restino vicine al Signore, che si possa pregare insieme”, aggiunge il Pontefice.

Misericordia è dottrina, è primo attributo di Dio
Quanto al rapporto tra verità, dottrina e misericordia, Francesco spiega: “Io amo piuttosto dire: la misericordia è vera”, “è il primo attributo di Dio”. “Poi si possono fare riflessioni teologiche su dottrina e misericordia – aggiunge – ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina”. A tal proposito, il Papa cita “i dottori della legge, i principali oppositori di Gesù, che lo sfidano in nome della dottrina”: essi seguono una logica di pensiero e di fede che guarda “alla paura di perdere i giusti, i già salvati”. Gesù, invece, segue un’altra logica: quella che redime il peccato, accoglie, abbraccia, trasforma il male in bene, la condanna in salvezza. È la logica di un Dio che è amore, spiega il Papa, un Dio che vuole la salvezza di tutti gli uomini, che non si ferma “a studiare a tavolino la situazione”, valutando i pro e i contro. Per il Signore, ciò che conta davvero è “raggiungere i lontani e salvarli”, sanare e integrare “gli emarginati che stanno fuori” dalla società.

Logica di Dio è logica dell’amore che scandalizza i “dottori della legge”
Certo, sottolinea Francesco: questa logica può scandalizzare, allora come oggi, provocando “il mugugno” di chi è abituato ai propri “schemi mentali ed alla propria purità ritualistica”, invece di “lasciarsi sorprendere” da un amore più grande. Al contrario, è proprio questa logica la strada che il Signore ci indica di fronte alle persone che “soffrono nel fisico e nello spirito”, per vincere così “pregiudizi e rigidezze” ed evitare di giudicare e condannare “dall’alto della propria sicurezza”. Andare verso gli emarginati ed i peccatori - aggiunge il Papa - non significa permettere ai lupi di entrare nel gregge, bensì cercare di raggiungere tutti testimoniando la misericordia, senza mai cadere nella tentazione di sentirci “i giusti o i perfetti”.

Adesione formale alle regole porta a  degradazione dello stupore
Chi si scopre “ammalato nell’anima”, infatti, deve trovare porte aperte, non chiuse; accoglienza, non giudizio o condanna; aiuto, non emarginazione. I cristiani che “spengono ciò che lo Spirito Santo accende nel cuore di un peccatore”, spiega Francesco, sono come i dottori della legge, “sepolcri imbiancati” che, con ipocrisia, vivevano attaccati alla lettera della legge, sapevano solo chiudere porte, segnare confini, ma trascuravano l’amore. Se prevale l’adesione formale alle regole – mette in guardia il Papa – allora si verifica “la degradazione dello stupore”, ossia il venir meno dello stupore di fronte alla salvezza donata da Dio, e ciò ci spinge a credere di “poter fare da soli, di essere noi i protagonisti”. Questo atteggiamento “è alla base del clericalismo” e porta i ministri di Dio a credersi “padroni della dottrina, titolari di un potere”.

Legge della Chiesa è inclusiva, non esclusiva
La Chiesa non deve mai essere così, afferma il Papa, non deve avere l’atteggiamento di chi impone “pesanti fardelli” sulle spalle della gente, senza volerli muovere “neppure con un dito”. “Ad alcune persone tanto rigide – dice il Papa – farebbe bene una scivolata perché così, riconoscendosi peccatori, incontrerebbero Gesù”. “La grande legge della Chiesa – infatti - è quella dell’et et e non quella dell’aut aut”. A tal proposito Francesco cita esempi negativi, come i cinquemila dollari richiesti ad una donna per un processo di accertamento di nullità matrimoniale o come il funerale in Chiesa rifiutato ad un bambino perché non battezzato.

Capitolo 7: corruzione, peccato elevato a sistema. Peccatori sì, corrotti no!
Ampia, poi, la riflessione di Francesco sulla corruzione, definita come “il peccato elevato a sistema e divenuto abito mentale, modo di vivere”. Il corrotto pecca e non si pente, dice il Papa, finge di essere cristiano e con la sua doppia vita dà scandalo, crede di non dover più chiedere perdono, passa la vita in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo, a prezzo della dignità sua e degli altri. Con la sua “faccia da santarellino”, il corrotto evade le tasse, licenzia i dipendenti per non assumerli definitivamente, sfrutta il lavoro nero e poi si vanta delle sue furbizie con gli amici o magari va a Messa la domenica, ma poi pretende una tangente sul lavoro. E “spesso non si accorge del suo stato” come “chi ha l’alito pesante”. “Peccatori sì, corrotti no!”, esorta il Papa, invitando a pregare, durante il Giubileo, perché Dio faccia breccia nel cuore dei corrotti, donando loro “la grazia della vergogna”.

Giustizia non basta da sola, serve misericordia
Poi, il Pontefice ricorda che la misericordia è “un elemento indispensabile” perché vi sia fratellanza tra gli uomini. La giustizia da sola, infatti, non basta: con la misericordia, Dio va oltre la giustizia, “la ingloba e la supera” nell’amore. “Non c’è giustizia senza perdono – dice ancora Francesco, sulla scia di Giovanni Paolo II – e la capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura, più giusta e solidale”. Non solo: “la misericordia contagia l’umanità” e ciò si riflette “nella giustizia terrena, nelle norme giudiziarie”. Basti pensare al crescente rifiuto della pena di morte che si registra a livello mondiale.

Famiglia, prima scuola di misericordia
“Con la misericordia la giustizia è più giusta”, sottolinea ancora il Papa, rimarcando che questo non significa “essere di manica larga, spalancare le porte delle carceri a chi si è macchiato di reati gravi”, bensì aiutare chi è caduto a rialzarsi, perché Dio “perdona tutto”, “fa miracoli anche con la nostra miseria” e la sua misericordia “sarà sempre più grande di ogni peccato”, tanto che nessuno può porvi un limite. Il Pontefice ricorda, poi, che la famiglia “è la prima scuola della misericordia”, perché in essa “si è amati e si impara ad amare, si è perdonati e si impara a perdonare”.

Capitolo 8: compassione vince globalizzazione dell’indifferenza
Quanto alle caratteristiche dell’amore infinito di Dio, Papa Bergoglio ricorda che Dio ci ama con compassione e misericordia; la prima ha un volto più umano, la seconda invece è divina. Infatti, Gesù non guarda alla realtà dall’esterno, “come se scattasse una fotografia”, ma “si lascia coinvolgere”. Di questa compassione c’è bisogno oggi, spiega il Papa, e ce n’è bisogno per vincere “la globalizzazione dell’indifferenza”.

Capitolo 9: praticare opere di misericordia, è in gioco credibilità dei cristiani
A conclusione del libro-intervista, il Papa si sofferma sulle opere di misericordia, corporali e spirituali: “Sono attuali e sempre valide – dice – restano alla base dell’esame di coscienza ed aiutano ad aprirsi alla misericordia di Dio”. Di qui, l’esortazione a servire Gesù “in ogni persona emarginata”, esclusa, affamata, assetata, nuda, carcerata, malata, disoccupata, perseguitata, profuga. Nell’accoglienza dell’emarginato, ferito nel corpo, e del peccatore, ferito nell’anima, si gioca infatti “la credibilità dei cristiani”, conclude il Pontefice. Perché in fondo, come diceva San Giovanni della Croce, “alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore”.

Il volume “Il nome di Dio è Misericordia” è stato presentato stamani all’Augustinianum. All’evento sono intervenuti assieme all’autore della conversazione con il Papa, il vaticanista Andrea Tornielli, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, l’attore e regista Roberto Benigni. Toccante la testimonianza del carcerato Zhang Agostino Jianqing. La presentazione è stata moderata dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Gli interventi sono stati preceduti dal saluto di don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana. Il servizio di Alessandro Gisotti

Un libro per approfondire il mistero della Misericordia di Dio e capire cosa questa rappresenti nella vita e nel Pontificato di Papa Francesco. E’ il significato più profondo del libro “Il nome di Dio è Misericordia” nato dall’intervista, o meglio come ha precisato padre Federico Lombardi, dalla conversazione del Pontefice con il vaticanista Andrea Tornielli. Pubblicato nell’Anno Santo, il volume – edito in 86 Paesi – rappresenta secondo il direttore della Sala Stampa Vaticana un valido sussidio per il Giubileo della Misericordia:

“Questo libro-conversazione è preziosissimo proprio nel contesto di questo anno giubilare. Con questo libro-conversazione noi abbiamo la sua esperienza della misericordia, nella sua vita sacerdotale, nel suo ministero, nella sua spiritualità”.

“Chi è alla ricerca di rivelazioni – ha esordito il cardinale Pietro Parolin nel suo intervento – rimarrà forse deluso”, il volume infatti vuole “prendere quasi per mano il lettore per entrare nel mistero della Misericordia” che, sottolinea il segretario di Stato riecheggiando Francesco, è “la carta d’identità del cristiano”:

“Il volume, che si legge agevolmente, ha una caratteristica che è peculiare del suo principale autore, cioè il Papa. E’ infatti un libro che apre delle porte, che le vuole mantenere aperte e intende indicare delle possibilità; che desidera almeno far balenare, se non far brillare, il dono gratuito dell’infinita misericordia di Dio, “senza il quale il mondo non esisterebbe” – come ebbe a dire una vecchietta all’allora mons. Bergoglio, da poco vescovo ausiliare di Buenos Aires”.

Il libro, ha ripreso il porporato, non dà risposte definitive, né scende nella casistica ma “allarga lo sguardo verso l’incontro con l’infinito amore di Dio” che supera le logiche umane. E ha ravvisato che Francesco non solo ci ricorda che viviamo in un mondo che ha smarrito il senso del peccato, ma che ha sempre più bisogno di misericordia. Quindi, il cardinale Parolin ha messo l’accento sull’importanza della misericordia non solo nella conversione personale ma pure nelle relazioni tra gli Stati e i popoli. Ne è convinto Papa Francesco, ha detto il porporato, come ne era convinto San Giovanni Paolo II in particolare dopo gli attentati dell’11 settembre:

“Il messaggio del Papa, il messaggio cristiano della misericordia e del perdono, le tante porte sante che vengono spalancate, il richiamo a lasciarci abbracciare dall’amore di Dio è qualcosa che non riguarda soltanto la conversione di ciascuno di noi, la salvezza dell’anima di ogni singola persona; è qualcosa che ci riguarda anche come popolo, come società, come Paese e può aiutarci a costruire rapporti nuovi e più fraterni perché chi ha sperimentato di su sé il sovrabbondare della grazia nell’abbraccio di misericordia, chi è stato e continua a essere perdonato, può restituire almeno un po’ ciò che ha gratuitamente ricevuto”.

E’ un libro commovente, ha detto ancora, perché mostra che l’abbraccio di Gesù ci rialza se ci abbandoniamo all’amore di Dio. E commozione ha destato il successivo intervento, la testimonianza di Zhang Agostino Jianqing, giovane carcerato di origini cinesi, detenuto a Padova, che ha raccontato come dopo anni di violenza ha trovato la fede proprio in carcere, attraverso un volontario che lo ha portato all’incontro con il Signore:

“Dopo il Battesimo, ho capito tutta la misericordia di cui sono stato oggetto, anche quando non me ne rendevo conto. E questo libro di Papa Francesco mi ha aiutato a comprendere meglio quello che mi è accaduto. Ecco perché il nome 'Zhang Agostino': Agostino perché pensando ad Agostino, alla sua storia, mi ha particolarmente commosso sua madre, Santa Monica, per tutte le lacrime che aveva versato per suo figlio, sperando di ritrovare il figlio perduto. E’ un po’ come la mia situazione: pensando alla mia mamma e al fiume di lacrime che ha versato per me, sperando che io potessi ritrovare il senso della mia vita”.

Zhang Agostino ha quindi ringraziato con parole toccanti il Papa, che ha potuto incontrare proprio per la pubblicazione del libro, per la sua costante attenzione e cura verso i carcerati:

“Caro Papa Francesco, grazie per l’affezione e la tenerezza che non manchi mai di testimoniarci. Grazie per la tua instancabile testimonianza. Grazie per le pagine di questo libro dalle quali emerge il cuore di un pastore misericordioso. Ti ricordiamo sempre nelle nostre preghiere”.

Dal registro della commozione a quello della gioia prorompente: l’ultimo intervento, molto atteso, è stato quello dell’attore e regista Roberto Benigni che, destando gli applausi dei presenti, ha subito fatto notare che solo con un Papa come Francesco poteva esserci una presentazione di un libro in Vaticano con un cardinale veneto, un carcerato cinese e un comico toscano. L’attore ha innanzitutto confidato i sentimenti che gli ha suscitato la lettura del libro:

“E’ un libro in cui diciamo che ci accarezza, che ci abbraccia, che ci ‘misericordia’, che è un termine inventato dal Papa. Misericordia – attenzione! – che non è una virtù così, che sta seduta in poltrona… è una virtù attiva, che si muove: guardate il Papa, non sta mai fermo! Che muove non solo il cuore, ma anche le braccia, le gambe, i calcagni, le ginocchia, muove il corpo e l’anima, non sta ferma mai! Va incontro ai miseri, va incontro alla povertà, non sta fermo un secondo…”.

Benigni ha proseguito la sua riflessione sulla Misericordia evidenziando che questa, assieme al perdono, è il messaggio più forte che sta emergendo dal Pontificato di Francesco

“E la misericordia di Francesco – attenzione! – non è che è una visione sdolcinata, così accondiscendente o peggio ancora ‘buonista’ della vita: no! E’ una virtù severa, è una sfida vera ma non soltanto religiosa-teologica: è una sfida sociale, politica! Quello che sta facendo Francesco è impressionante. E come fa, Francesco, a vincere questa sfida, diciamo, incredibile? Cos’è che gli dà la forza? Proprio la medicina della misericordia. Lui, lo vedete, la va a cercare tra gli sconfitti, tra gli ultimi degli ultimi. Dov’è andato pubblicamente quando ha cominciato il suo Pontificato? A Lampedusa, dove arrivano proprio gli ultimi degli ultimi. E dove ha aperto le Porte Sante del giubileo? In Centrafrica, a Bangui, nel luogo più povero dei poveri dei poveri del mondo: proprio nel luogo più povero, va a trovare la vicinanza – Francesco – del dolore del mondo, della sofferenza, perché lì, in mezzo al dolore nasce la misericordia".

In un mondo che chiede la condanna, ha ripreso il mattatore toscano, Francesco vuole invece la misericordia. E non vede contrapposizione con la giustizia:

“E allora, dice, se si perdona tutto, però, allora la giustizia che ci sta a fare? Ma, la misericordia – ce lo dice Francesco – è la giustizia più grande. La giustizia è il minimo della misericordia. La misericordia non cancella la giustizia: non la abolisce, non la corrompe. Va oltre. Un mondo con solo la giustizia sarebbe un mondo freddo, no? Si sente che l’uomo non ha solo bisogno di giustizia: ha bisogno anche di qualcos’altro. E si sente che nel libro Francesco ce lo fa sentire proprio, perché è proprio la fonte del suo Pontificato, la misericordia …”.

Da ultimo, l’autore del libro con il Papa, il vaticanista de “La Stampa” Andrea Tornielli ha ringraziato quanti – a partire dall’editore – hanno creduto in questo progetto editoriale e ha voluto legare la figura di Bergoglio a quella di San Giovanni XXIII, che sapeva guardare con misericordia ai peccatori, abbracciando tutti, anche i carcerati proprio come oggi fa Papa Francesco.

 

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