Chissà se la Cina vuole davvero l’accordo con la Santa Sede

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Secondo il Wall Street Journal lo “storico accordo” dovrebbe essere firmato entro la fine di settembre. Ma annunci di questo tipo si susseguono da anni. Il papa e il Vaticano sono pronti, ma la Cina è divisa: favorevole il ministero degli esteri; contrario il Fronte unito e l’Associazione patriottica che continuano imperturbati a perseguitare la Chiesa e le religioni. Il silenzio di Pechino e di Xi Jinping.

 L’autorevole Wall Street Journal (WSJ) ha diffuso ieri la notizia che la Cina e il Vaticano “sono pronti a firmare uno storico accordo” entro la fine del mese. L’accordo riguarda il procedimento per le nomine dei vescovi, in cui la Cina avrebbe il potere di nomina e il papa avrebbe il potere di veto temporaneo o di conferma. In compenso egli – sempre secondo il WSJ – sarebbe riconosciuto come “capo della Chiesa cattolica in Cina” e “in cambio” dovrebbe “riconoscerebbe sette vescovi scomunicati”, eletti e ordinati senza il mandato papale.

In realtà, la cancellazione della scomunica ai sette vescovi è frutto di un cammino personale di questi pastori con il papa e non una “merce di scambio” fra Santa Sede e governo di Pechino. Ma aldi là di queste precisazioni canoniche, vale la pena far notare quanto il WSJ dice nell’articolo: che “l’accordo potrebbe ancora naufragare o essere posposto, a causa di eventi imprevisti”.

E qui è il punto. Da almeno tre anni giornalisti italiani e vaticanisti danno l’annuncio che l’accordo fra Cina e Vaticano sta per essere firmato. Si è parlato – citando sempre persone anonime, ma “con le mani in pasta sul dossier vaticano-cinese” - del novembre 2016, alla fine dell’Anno della misericordia; poi della fine del 2016; poi del giugno 2017; poi del marzo scorso e ora della fine di settembre.  E finora non è successo nulla. Scherzando, un mio confratello dice che queste previsioni sono come quelle dei Testimoni di Geova per la fine del mondo!

Chiosando una frase del Vangelo, possiamo dire che nessuno conosce “né il giorno, né l’ora” (Matteo 25,13). Questo “non sapere” non dipende dal papa e dal Vaticano. In questi anni papa Francesco ha mostrato un grande amore e rispetto verso il popolo cinese e la sua storia e ha desiderio di recarsi in Cina; la delegazione vaticana sembra disposta a qualunque concessione pur di avere un accordo anche piccolo, anche provvisorio col gigante cinese. La questione fondamentale – che pochi giornalisti e osservatori si fanno – è se la Cina è davvero interessata a questo accordo. In passato, autorevoli (?) commentatori hanno attribuito le ragioni del ritardo alle divisioni fra i cattolici in Cina e nel mondo. In realtà, il punto è che le divisioni sono all’interno dello stesso Politburo.

Da una parte vi è il ministero degli esteri, aperto alla politica internazionale, che sarebbe favorevole alla firma dell’accordo: ci sarebbe un guadagno di immagine per la Cina a livello mondiale, proprio ora che essa è impegnata in un braccio di ferro con gli Stati Uniti; si farebbe tremare Taiwan – che ha nel Vaticano l’unico Stato europeo che lo riconosce dal punto di vista diplomatico.

Ma vi è anche il Fronte unito, il ministero degli affari religiosi, l’Associazione patriottica, che governano la vita quotidiana delle comunità cristiane, arricchendosi con i loro controlli e gli espropri delle proprietà della Chiesa. Per essi qualunque spazio dato ai rapporti col Vaticano rappresenta una riduzione del loro potere assoluto. Per questo continuano a resistere mostrando la loro egemonia: chiese e croci distruttesequestro di terrenidivieti ai giovani di frequentare le chiese; sinicizzazione, ossia assimilazione e sottomissione di ogni attività e perfino di ogni riflessione teologica e liturgica.

Dopo il Congresso del Partito comunista cinese, lo scorso ottobre, il Fronte unito è passato sotto la dipendenza diretta del Partito. Ciò significa che Xi Jinping, presidente e segretario generale del Partito, è la sua autorità massima. Per questo, l’attesa che dura da anni potrebbe essere sciolta con una decisione di Xi Jinping nel voler firmare l’accordo col Vaticano. Ma al presente, l’autorità di Xi è piuttosto indebolita: lo scontro frontale con gli Usa fa temere conseguenze economiche disastrose per la Cina e per questo vi sono critiche rivolte a lui dall’interno del Partito. Inoltre, la sua campagna anticorruzione contro “tigri” e “mosche” gli ha suscitato tanti nemici. Nel decidere di firmare l’accordo col Vaticano, dovrebbe porsi contro il Fronte unito, aumentando il numero di coloro che vorrebbero eliminarlo.

 

In questo quadro si comprende come davanti all’exploit della notizia del WSJ, i giornali di Pechino siano silenziosi; il ministero cinese degli esteri riafferma la sua “sincerità” nel volere il dialogo con il Vaticano, ma non si pronuncia sull’accordo; all’Accademia delle scienze sociali di Pechino non si conosce “nessun dettaglio dell’accordo, né quando potrà essere firmato”; nella Chiesa cinese molti desiderano l’accordo, ma nessuno sa quando ciò avverrà.

Last modified on Sunday, 16 September 2018 22:43

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