Si ispirano alla «vita nascosta» di Gesù, quella dei trent'anni trascorsi a Nazareth, prima della sua predicazione. Quindi è ben difficile trovarli sotto i riflettori. Però l'avvicinarsi del centenario della morte del beato Charles de Foucauld - l'eremita del deserto del Sahara che ha segnato fortemente la spiritualità del Novecento - li ha portati (per una volta) a fare un'eccezione. Proprio a Nazareth infatti - per iniziativa dei diversi rami della famiglia religiosa che a lui si ispira - si apre oggi un intero anno di celebrazioni in vista del 1° dicembre 2016. Quel giorno, infatti, cadranno esattamente i cento anni dall'uccisione di Charles de Foucauld, avvenuta per mano di un gruppo di predoni a Tamanrasset, nel deserto dell'Algeria, dove l'ex avventuriero francese si era stabilito per vivere la sua vocazione di «fratello universale», immagine viva dell’amore di Gesù tra i piccoli, i poveri e i non cristiani.
La scelta di fare di Nazareth il fulcro del centenario non è evidentemente casuale: fu qui che, dal 1897 al 1900, soggiornando da eremita nel monastero delle Clarisse, de Foucauld visse la svolta fondamentale nel suo itinerario spirituale. Maturò - appunto - l'ideale di seguire Gesù anche nella sua «vita nascosta», nella condivisione fraterna dell'esistenza in quelle che oggi chiameremmo le periferie del mondo, come doveva essere duemila anni fa il piccolo villaggio della Galilea divenuto il cuore del mistero dell'Incarnazione. Così questa sera - alla presenza del vicario per Israele del patriarca latino di Gerusalemme, mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, nella scuola della Sacra Famiglia, la struttura dell'opera don Guanella - a Nazareth si terrà una serata con musiche e letture di testi dal diario dei tre anni trascorsi da Charles de Foucauld nella città dell'Annunciazione. E sarà solo il primo momento di un calendario che prevede anche una 24 ore di adorazione eucaristica per la pace il 1° dicembre 2015 (festa liturgica del beato de Foucauld, elevato all'onore degli altari da Benedetto XVI nel 2005), uno spettacolo in arabo per presentare la sua vita, incontri con le scuole cattoliche della Terra Santa e tanti altri appuntamenti di carattere interreligioso.
Al di là dell'anniversario, però, le celebrazioni a Nazareth vogliono essere un dono particolare al mondo arabo, in questo momento così travagliato della sua storia. A spiegarlo è - in un'intervista rilasciata al sito internet del Patriarcato latino di Gerusalemme, fratel Marco Cosini, religioso della comunità dei Piccoli Fratelli di Jesus Caritas che a Nazareth vivono proprio nella casa che fu del beato de Foucauld. «Per i cristiani di Nazareth è un concittadino venerato, ne vanno fieri - spiega -. Però nelle giovani generazioni la sua memoria si sta perdendo: pochi conoscono la sua vita. Ecco perché abbiamo sentito il bisogno urgente di far risuonare di nuovo qui la voce del beato Charles».
Si può - però - ancora proporre alle comunità cristiane del Medio Oriente di oggi, vittime di violenze e persecuzioni, l'ideale di una fraternità incondizionata con tutti, che questa figura ha annunciato? «Prima degli anni di Nazareth, Charles de Foucauld visse nel monastero trappista di Akbès in Siria - risponde fratel Cosini -. In quegli anni il tragico genocidio degli armeni era già cominciato. E lui trascriveva con precisione i nomi dei martiri che accompagnarono il suo soggiorno in terra siriana. Desiderava lui stesso offrire la vita come martire. Oggi, purtroppo, in Medio Oriente il martirio è divenuto di nuovo parte dell'orizzonte del cristiano. E se da un lato non si può tollerare che un numero così grande di persone siano uccise - forse a causa dell'indifferenza delle potenze occidentali (ma non solo) - dall'altra non possiamo che aggrapparci all'amore appassionato di Charles de Foucauld per il suo Signore Gesù. È il cammino che noi cristiani dobbiamo seguire nonostante le difficoltà. Il cammino che ci fa entrare nella relazione di Gesù con i suoi discepoli. Un rapporto d'amore profondo, intenso, senza limiti, che nella sua forma più estrema non può escludere la prospettiva del martirio».
«Certo - aggiunge fratel Cosini - non è facile far crescere questa sensibilità e affrontare le sfide quotidiane, che vediamo bene al di là delle belle teorie. Conosciamo perfettamente le difficoltà e in particolare quelle dei nostri fratelli cristiani di questa terra, che incontrano quotidianamente i fratelli e le sorelle delle altre religioni. Spesso ci troviamo ad ascoltare la testimonianza di persone che utilizzano il linguaggio della violenza come unico linguaggio per comunicare con l'altro. L'ampiezza della fraternità che vogliamo vivere deve coniugarsi con una ricerca onesta della “bontà” e del “bene” anche per gli altri».
Fonte: http://vaticaninsider.lastampa.it/