Il 20 novembre 2021, il Santuario di Nossa Senhora da Conceição do Zobuè, nella Diocesi di Tete, in Mozambico, ha ospitato un evento storico per la Chiesa locale: la sessione di apertura del Processo di Beatificazione e Canonizzazione di due Servi di Dio, i Padri gesuiti João de Deus Kamtedza, mozambicano, e Sílvio Alves Moreira, portoghese, noti come i “Martiri di Chapotera”. Furono sequestrati e uccisi il 30 ottobre 1985, nel contesto della guerra civile che ha devastato il Mozambico, divenuto teatro di atrocità e violenze commesse dai guerriglieri della Renamo e da quelli che sostevevano il regime marxista-leninista della Frelimo. “I padri João de Deus Kamtedza e Sílvio Alves Moreira si dedicarono totalmente al bene del popolo, godendo della stima di cristiani e non cristiani” sottolinea il Vescovo di Tete, Monsignor Diamantino Guapo Antunes, dei Missionari della Consolata.
Chapotera, la località legata ai due gesuiti martiri, è un villaggio a circa 6 km dalla missione di Lifidzi, nel nord della diocesi di Tete. La nazionalizzazione dell'istruzione e della sanità decisa dal governo mozambicano il 24 luglio 1975, un mese dopo l'indipendenza, portò i missionari a pensare a una alternativa a questo tipo di missione cui si erano dedicati fino ad allora. Sfrattati dalla loro casa, lasciate le infrastrutture della missione che avevano costruito (scuole, laboratori, ospedale, ecc.), allestirono una nuova residenza vicino al villaggio di Chapotera, in cui i gesuiti si stabilirono nel 1978. Padre João de Deus Kamtedza giunse a Chapotera nel 1983 e padre Silvio nel 1985. Qui, la notte del 30 ottobre 1985, dopo essere stati svegliati da un gruppo di persone armate, furono costretti a lasciare la casa, per poi essere barbaramente uccisi.
La mattina seguente, il 31 ottobre, avendo sentito a notte fonda il rumore di un'auto e degli spari, alcuni cristiani si recarono alla residenza dei sacerdoti. Non vedendo segni di violenza, conclusero che erano stati rapiti dai guerriglieri della Renamo. Questa fu la notizia che giunse a Vila Ulóngwe a mezzogiorno del 31 ottobre. Il 1° novembre, un uomo del villaggio di Chapotera che si recava al suo campo, passando accanto a un albero di sisal, vide i corpi senza vita dei due sacerdoti. Andò quindi ad avvertire il capo della comunità che, spaventato e rattristato, tacque. Così neanche i gesuiti di Ulóngwe, la parrocchia più vicina, seppero nulla dell’accaduto.
Solo il 4 novembre padre António dos Reis, Superiore di Vila Ulóngwe, riuscì ad avere dalle autorità il permesso necessario per andare a Chapotera a vedere quello che era accaduto. Quando arrivò a Chapotera, un uomo gli disse che i sacerdoti erano stati uccisi, a poca distanza. Il missionario quindi tornò a Vila Ulóngwe, per informare l'Amministratore e il Comandante militare. Lo stesso giorno, con la scorta militare tornò a Chapotera per raccogliere i corpi dei sacerdoti, metterli nelle bare e portarli al cimitero del villaggio. Arrivarono al cimitero verso le 19 e illuminati dai fari delle auto pregarono ascoltarono le prime testimonianze sui sacerdoti.
Mons. Diamantino Guapo Antunes
“Padre João de Deus –racconta Mons. Diamantino– era un uomo che irradiava gioia per la sua semplicità e spontaneità, e andava d'accordo con tutti. Amava il Mozambico e la sua gente. Apprezzato da tutti, ha annunciato il Vangelo a tutti con rispetto e amore. Il suo zelo apostolico lo portò, per quanto la situazione lo permettesse, anche a rischio della vita, in luoghi isolati e difficili. Ha cercato di animare e incoraggiare tutti. Insieme al suo popolo ha sofferto la paura in quell'atmosfera di instabilità, scatenata da atti arbitrari, ingiustizie e violazioni della dignità umana. Padre Silvio era un uomo attivo, sempre pronto a servire gli altri in qualsiasi necessità. Era retto, sincero e schietto, a volte duro, ma senza offendere nessuno. Era un uomo coraggioso, consapevole del pericolo, ma audace, come chi non teme nulla. Virtù alimentate dalla fede e dalla fiducia. Era intelligente e lucido, molto chiaro nella comunicazione. Era solito portare esempi tratti dalla vita della comunità per illustrare ed esortare”.
In Mozambico padre João operò sempre in Angónia, mentre padre Silvio lavorò come insegnante nel seminario diocesano di Zóbue (Tete), nella città di Tete e a Maputo. Nel 1984 i due gesuiti erano entrambi a Chapotera, e da lì avevano iniziato a svolgere la loro attività missionaria in tutto il territorio dell'ex missione di Lifidzi, impegnandosi totalmente nell'opera di costruzione del Regno di Dio, che spesso richiede, oltre all'annuncio, anche la rinuncia e la denuncia. Proprio per questo motivo sono stati uccisi il 30 ottobre 1985.
“Questi due gesuiti, che Dio ha fatto incontrare nel 1984 a Chapotera –continua a narrare Mons. Diamantino– erano amici e condividevano ciò che vivevano. Si sono aiutati e incoraggiati a vicenda, perseguendo lo stesso ideale, convinti che il Regno di Dio richieda anche la denuncia di strutture ingiuste e oppressive. Per questo hanno dato la vita. Possono essere considerati martiri della giustizia. Erano testimoni scomodi. Sapevano delle atrocità commesse in quella regione e hanno iniziato a denunciarle. Quando potevano andarsene, hanno sentito di dover scegliere di restare. E così hanno fatto. Sono rimasti al loro posto, vicino al loro popolo perseguitato, fino allo spargimento del sangue. La beatificazione dei martiri di Chapotera è molto sentita e desiderata dai mozambicani. Sono stati missionari di fede, coraggio e carità. Il processo in corso è un segno della maturità della Chiesa cattolica in Mozambico, una Chiesa ministeriale e martiriale. È una chiamata all'impegno cristiano coraggioso. Ieri come oggi, la Chiesa cattolica è chiamata a rispondere con la sua presenza efficace e consolatrice tra la popolazione martirizzata, senza mai smettere di lanciare appelli alla pace e alla riconciliazione delle parti in conflitto.
La violenza che devasta il nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado, ha già fatto i suoi martiri tra la comunità cattolica. L'esempio dei martiri di Chapotera, come quello dei martiri catechisti di Guiúa e di tanti altri, è oggi di grande importanza. Sono uomini e donne che hanno scelto una vita di testimonianza e di annuncio del Vangelo della pace e dell'amore. Il loro esempio rimane e si moltiplica”.
* pubblicato in Agenzia Fides