Il 22 luglio si celebra la festa di Santa Maria Maddalena, la prima testimone della Risurrezione di Gesù e colei che fu chiamata dalla chiesa primitiva “Apostola degli Apostoli”. Papa Francesco nel 2016 ha stabilito che la sua memoria liturgica fosse elevata alla categoria di festa. Ha voluto che questa donna così ammirata e amata, soprattutto da tante donne, aiutasse a riflettere “in modo più profondo sulla dignità della donna, nella nuova evangelizzazione…”.

Perché? Molti consideravano Maria Maddalena una donna perdonata e guarita; altri come una donna attiva, inquieta, generosa, amata e amante. Secondo la tradizione ortodossa, Maddalena faceva miracoli nella vita di tutti i giorni. E ora, dovremmo riconoscerla tutti come una santa? Mi sono presto ricordata che quando mia nonna raccontava storie di santi e sante, io mi dicevo a bassa voce: “Non voglio essere santa. Che orrore, tutta la sua vita in silenzio, con le mani giunte, incapace di correre o giocare!”.

Oggi mi chiedo come presentare Maria Maddalena in modo che aiuti a riflettere sulla dignità della donna. Qual è stata la vera vita di questa donna?

Nei vangeli troviamo la prima menzione di Maria Maddalena in Lc 8,1-8, dove si afferma che «sette demoni erano usciti» da lei e che «insieme ad altre donne aiutarono Gesù e i discepoli con i beni che avevano». Poi, nei quattro vangeli, compare sempre tra le donne di Galilea presenti al momento della crocifissione, sepoltura e risurrezione di Gesù. Quando si menzionano i nomi di alcune di queste donne, il primo nome è quello di Maria Maddalena, tranne che nella crocifissione in Giovanni, dove compare per prima “la madre di Gesù”. (Mt 27,55-56,61; 28,1-11. Mc 15,40-41.47; 16,1; 16,9-11. Lc 23,49.55-56; 24,9-11. Gv 19,25; 20,1-2; 20). Anche Giovanni narra magnificamente come Maria incontra e riconosce Gesù nel giardino della risurrezione quando sente il suo nome: lei è la prima persona che incontra il Risorto e riceve anche la responsabilità di dire a ciascuno di noi: «Ho visto il Signore» (Gv 20,11-18).

Affermare che da Maria Maddalena «erano usciti sette demoni» (Lc 8,2) è un'espressione simbolica. I numeri, come sappiamo, non hanno solo valore numerico; dire che da Maria fossero usciti “sette demoni” potrebbe dire di lei che era una donna straniera, malata, con un difetto fisico, lebbrosa, nubile, vedova, senza figli. La domanda che mi pongo è perché sosteniamo che Maria Maddalena fosse una prostituta. Forse ogni prostituta è una donna posseduta da un demone? E allora come mai nessun uomo guarito da Gesù e presentato come indemoniato è mai stato presentato negativamente con connotazioni morali o sessuali.

Un'altra possibile interpretazione sarebbe quella di sospettare che Maria Maddalena abbia infastidito alcuni perché aveva una forte personalità e valori non consoni a una donna, secondo la mentalità dal patriarcato storico e dal maschilismo. Secondo questa ipotesi Maria poteva essere era una donna libera, potente, indipendente, leader e che disponeva di risorse economiche

Poi da dove proveniva? Nel contesto culturale del tempo Gesù era riconosciuto come un uomo della città di Nazaret. Maria invece era detta “Maddalena” perché, non avendo un padre,  un marito o un figlio maschio; allora era conosciuta dal luogo da cui proveniva. 

Doveva essere così per la donna cananea (Mt 15,22), o la samaritana (Gv, 4,1-45) e quindi anche questa donna di Magdala, la nostra Maria Maddalena. 

Il nome di questa località chiamata Magdala deriva da Migdal in ebraico, o Magdala in aramaico, e significa fortezza o torre; un tempo era conosciuta come Tarichea, il nome greco di una ricca città sulla rotta commerciale fra l’Egitto e la Siria. Magdala era una città della Galilea, sorgeva sulle rive del lago di Tiberiade ed era edificata in un amplia pianura ricca d’acqua. In quella cittadina si commerciavano pesce salato, prodotti agricoli e tessuti tinti grazie all’abbondanza di acqua.

Grazie alla ricerca storica e all'archeologia sappiamo molte cose su questa importante città: al tempo di Alessandro Magno, quando il greco era la lingua internazionale parlata lungo le rotte commerciali, a Tarichea c’erano lussuose case che contrastavano con le povere abitazioni del villaggio di Cafarnao, menzionato nel Vangelo, a soli otto chilometri da li. Durante la dominazione romana si ricorda la ribellione dell’anno 54 aC, come reazione alla esose imposte con le quali i romani opprimevano le provincie dell’impero, quando un contadino occupò la città di Tarichea-Magdala. finché i romani non sedarono la rivolta. Anni dopo fu nota la violenza di Erode il Grande, nominato re dai Romani nel 37 aC: nella regione dei monti di Arbela, vicino a Magdala, lui fece incendiare le caverne dove si sarebbero nascosti i ribelli considerati nemici dei romani e banditi.

Sorprendentemente nel Nuovo Testamento non ci sono testi che fanno riferimento a Maria Magdalena il cui nome è molto noto nella narrazione evangelica: dov'era Maddalena quando negli Atti degli Apostoli si raccontano i meriti degli uomini? Solo l'apostolo Paolo menziona una Maria (Rm 16,6), non riconosciuta come la nostra Maria Maddalena. Invece troviamo molte altre storie fra gli scritti apocrifi, testi “segreti e riservati” nei quali si valorizza Maria Maddalena in modo concreto e intrigante. I documenti rinvenuti a Nag Hammadi, nel 1945, nell'Alto Egitto, meritano uno studio approfondito.

La storia successiva afferma che Maria Maddalena, nel 200 dC, era conosciuta come seguace di Gesù e propagatrice del vangelo di Gesù. Sant'Ippolito di Roma (170-235), teologo e martire, la proclamò “Apostola degli Apostoli” e fu così riconosciuta dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa. 

Invece, più di 300 anni dopo, papa Gregorio Magno (540-604) propagò l'idea che fosse una prostituta interpretando in quel modo il testo che fa riferimento ai sette demoni (Lc 8,2) e forse anche Lc 7,36-50 che menziona una peccatrice che unge i piedi di Gesù. Molti storici affermano che non è possibile accettare un atto di malafede da parte di Papa Gregorio Magno e invece, in atteggiamento di pastore, aiutava ad affrontare i disordini e le violenze della fine dell'Impero Romano ricordano la certezza del perdono di Dio e l'accoglienza di ogni peccatore. 

Le diverse interpretazioni a proposito di Maria Maddalena si sono poi consolidate dopo lo scisma tra la chiesa ortodossa d’oriente e quella romana d’occidente avvenuto nel 1054: nel culto delle chiese orientali si distinguevano le tre donne: la peccatrice anonima presentata da Luca, Maria Maddalena e Maria di Betania. Nella chiesa occidentale si consolidava l’immagine della prostituta pentita e perdonata che sintetizzava le tre donne.

In una settimana di studio dedicata a Maria Maddalena abbiamo concluso l'incontro con una Celebrazione della Vita, proclamando il testo di Gv 20,11-18. Mentre il lettore stava ancora leggendo: “va’ dai miei fratelli e di’ loro” una giovane donna si alzò e gridò: “ho visto il Signore!” E fissando gli occhi su diverse persone della comunità, le indicava con il dito e ripeteva: “ho visto il Signore quando davi da mangiare agli affamati! Ho visto il Signore in una giornata calda, quando davi da bere a quelli che avevano sete nei campi! Ho visto il Signore quando hai accolto quella famiglia migrante nella tua casa! Ho visto il Signore quando voi mamme avete organizzato una bazar per vestire i nudi! Ho visto il Signore ogni volta che tu, tu e tu consolavate e visitavate un malato! Ho visto il Signore ogni giorno quando andavi a insegnare ai carcerati. Ho visto il Signore!”... e allora la comunità si alzò e si abbracciò. Ancora una volta i poveri e gli impoveriti mi hanno insegnato a capire la Bibbia!

* Mercedes de Budalles Diez, è Master in Scienze Religiose presso l'Università Metodista di São Paulo. Articolo pubblicato su: www.cebi.org.br

Lettera in occasione del decimo anniversario della visita a Lampedusa

Carissimi, in questi giorni in cui stiamo assistendo al ripetersi di gravi tragedie nel Mediterraneo, siamo scossi dalle stragi silenziose davanti alle quali ancora si rimane inermi e attoniti. La morte di innocenti, principalmente bambini, in cerca di una esistenza più serena, lontano da guerre e violenze, è un grido doloroso e assordante che non può lasciarci indifferenti. È la vergogna di una società che non sa più piangere e compatire l’altro.

Sono trascorsi dieci anni dal viaggio che ho voluto compiere nella comunità lampedusana per manifestare il mio sostegno e la paterna vicinanza a chi dopo penose peripezie, in balìa del mare, è approdato sulle vostre coste. Il consumarsi di sciagure così disumane deve assolutamente scuotere le coscienze; Dio ancora ci chiede: “Adamo dove sei?”, “Dov’è il tuo fratello?” Vogliamo perseverare nell’errore, pretendere di metterci al posto del Creatore, dominare per tutelare i propri interessi, rompere l’armonia costitutiva tra Lui e noi? Bisogna cambiare atteggiamento; il fratello che bussa alla porta è degno di amore, di accoglienza e di ogni premura. È un fratello che come me è stato posto sulla terra per godere di ciò che vi esiste e condividerlo in comunione.

In tale contesto, tutti siamo chiamati ad un rinnovato e profondo senso di responsabilità, dando prova di solidarietà e di condivisione. È necessario quindi che la Chiesa, per essere realmente profetica, si adoperi con sollecitudine per porsi sulle rotte dei dimenticati, uscendo da sé stessa, lenendo con il balsamo della fraternità e della carità le piaghe sanguinanti di coloro che portano impresse nel proprio corpo le medesime ferite di Cristo. 

Vi esorto perciò a non restare imprigionati nella paura o nelle logiche di parte, ma siate cristiani capaci di fecondare con la ricchezza spirituale del Vangelo codesta Isola, posta nel cuore del Mare Nostrum, affinché ritorni a splendere nella sua originaria bellezza.   

Mentre ringrazio ciascuno di Voi, volto radioso e misericordioso del Padre, per l’impegno di assistenza a favore dei migranti, affido al Signore della vita i morti nelle traversate, e volentieri imparto la mia Benedizione, chiedendo per favore di pregare per me.  

La Chiesa celebra oggi, 29 giugno, la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. In Italia la festa di San Pietro è stata celebrata fin dai primi secoli della formazione dell'Europa cristiana. Nella città di Roma è giorno festivo e festa patronale e Papa Francesco presiede la Messa nella Basilica Vaticana e nella preghiera dell’Angelus ha ricordato le figure così umane e così credenti di questi due apostoli: “in loro appare che è Dio a renderci forti con la sua grazia, a unirci con la sua carità e a perdonarci con la sua misericordia. Ed è con questa umanità vera che lo Spirito forma la Chiesa. Pietro e Paolo sono state persone vere, e noi, oggi più che mai, abbiamo bisogno di persone vere. C’è in noi l’ardore, lo zelo, la passione per il Signore e per il Vangelo, o è qualcosa che si sgretola facilmente? E poi, siamo pietre, non d’inciampo ma di costruzione per la Chiesa? Lavoriamo per l’unità, ci interessiamo degli altri, specialmente dei più deboli?”

Durante la messa, 32 nuovi arcivescovi del mondo hanno ricevuto dal Papa il Palio, una stola bianca ornata da sei croci e tre chiodi, simbolo della Passione. Realizzato dalle monache benedettine del Monastero di Santa Cecilia, a Roma, con lana di pecora, il Palio è simbolo di comunione e fedeltà con il successore di Pietro. L'Arcivescovo è il Buon Pastore che porta sulle sue spalle le pecore a lui affidate, specialmente le più bisognose.

Alle radici della fede cristiana

Con questa solennità la Chiesa ritorna alle radici della sua fede. Le spoglie mortali di Pietro e Paolo, due martiri, riposano nelle due Basiliche, San Paolo fuori le Mura e San Pietro, che racchiude un vasto cimitero sotterraneo, posto sotto l'altare della Basilica a lui dedicata a Roma.

Ciascuno con il proprio contributo, i due Apostoli formarono le prime Comunità di Seguaci di Gesù. Paolo è passato da persecutore ad ardente difensore di Gesù. Un appassionato della missione. Sono sue le espressioni “guai a me se non evangelizzassi!” (1 Cor 9,16) o "non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me" (Gal 2,20). A causa del Vangelo, morì decapitato.

Pietro, da uomo pauroso che era, con la grazia di Gesù è diventato la prima pietra della comunità cristiana. Lui che aveva rinnegato Gesù, dopo averlo incontrato risorto, annuncia senza timore, il nome e la causa di Gesù, chi lo ha ucciso e perché. Come il Maestro, anche Pietro ha concluso la sua vita crocifisso. Lui si chiamava Simone e non era nessuna "roccia". Fu Gesù a dargli il soprannome di Cefa o Pietra, che in seguito divenne Pietro. Questo Pietro, così debole e così umano, come noi, si è trasformato in roccia perché Gesù ha pregato per lui e ha detto: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). È così che Pietro è diventato il nostro primo Papa.

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Papa Francesco

Oggi, a capo della Chiesa abbiamo la guida di Francesco, (il 266° Papa dopo Pietro) un “fratello argentino” che, quando inaugurò il suo pontificato nel 2013, disse di sognare una Chiesa povera per i poveri, una Chiesa in cammino missionario verso le periferie geografiche ed esistenziali, una Chiesa che non ha paura di toccare le ferite, come in un ospedale da campo, per poter andare incontro a tutti e offrire la misericordia di Dio.

Seguendo gli Apostoli della prima ora, Papa Francesco comunica la gioia del Vangelo che ci riempie di speranza e ci incoraggia a lottare per i nostri diritti; prendendoci cura responsabilmente della nostra Casa Comune e di ciascuno di noi stessi.

Nei momenti più difficili che l'umanità ha dovuto affrontare, come la pandemia di Covid-19 e la “terza guerra mondiale a pezzi” degli ultimi anni, le parole, i gesti e le preghiere di Francesco sono sempre stati fondamentali per ricordare l'essenziale del Crocifisso davanti al messaggio evangelico per tutta l'umanità.

Francesco sa che solo Cristo edifica la Chiesa. Per questo propone l'incontro con Gesù, che può rinnovare la nostra vita. Cristo può anche rompere gli schemi che ci vincolano, che sono ostacoli alle riforme della Chiesa di Pietro e per cambiare nel mondo ciò che va cambiato: razzismo, esclusione, discriminazione, xenofobia (avversione per stranieri e migranti), omofobia, fondamentalismo, degrado del Pianeta, disprezzo per i poveri, odio per i popoli indigeni, neri e i poveri delle periferie...

La nostra fede cristiana oggi è la stessa di Pietro e Paolo: seguire Gesù Cristo. Per questo celebrare questi Apostoli è anche fare memoria della nostra storia di fede, valorizzare le nostre radici e le origini della nostra comunità. Nonostante le difficoltà, questo ci riempie di coraggio e di fiducia per rimanere, con Pietro e Paolo, saldi nell'opera che Gesù ci ha affidato nella sua Chiesa.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, missionario della Consolata residente a Roma.

Da anni i Missionari della Consolata lavorano con la popolazione che poco a poco ha colonizzato la parte occidentale della grande foresta amazzonica, a ridosso della cordigliera delle Ande. 

Dopo qualche decennio per molti di loro le pendici scoscese delle montagne che limitavano la foresta sono ormai un ricordo lontano perché la colonizzazione si è estesa più in profondità e il diboscamento, l’allevamento estensivo del bestiame, le povere coltivazione per il sostengo quotidiano, il veleno del narcotraffico ci parlano di una vita difficile, complicata, sotto tanti punti di vista violenta, fatta di fragili equilibri che si possono spezzare in qualsiasi momento. 

Fatta eccezione degli indigeni, la maggior parte delle persone che vivono in questi territori inospitali sono arrivati qui quasi per caso, e per caso o per mancanza di altre alternative ci sono rimasti. Come fare chiesa con questi che sono i nostri cristiani? È un po’ la domanda alla quale cerca di rispondere il seguente documentario.

* Padre Angelo Casadei è parroco di Solano, al centro dell'area amazzonica del Caquetá (Colombia)

Il Vicariato di Puerto Leguízamo Solano (Colombia), nato dall'ex giurisdizione ecclesiastica del Vicariato di San Vicente, ha appena festeggiato 10 anni di fondazione e l’ha fatto con il suo primo vescovo, Mons. Joaquín Pinzón, Missionario della Consolata, che pochi giorni fa ha anche lui festeggiato il decimo anniversario di ordinazione episcopale. Recentemente è stato a Roma per la visita "ad limina" di una parte dell'episcopato colombiano; gli abbiamo chiesto quali sono stati i tre più grandi successi e le tre più grandi sfide di questa giovane chiesa che ha guidato fin dalla sua creazione.

Il cammino fatto

Un primo aspetto positivo del cammino di questo vicariato è stato quello di essere più vicini come Chiesa alle comunità che nella geografia amazzonica vivono in luoghi periferici e spesso a notevole distanza dai centri abitati più importanti. La prima cosa che la Chiesa ha voluto fare in questo territorio è stata quella di farsi presente. È una presenza umile ma disposta a incoraggiare, accompagnare e sostenere la popolazione nel su cammino e nella su quotidianità non sempre facile.

Una seconda conquista è stata quella di entrare in sintonia con il Sinodo dell'Amazzonia prestando attenzione ai diversi volti che compongono la pluralità etnica di questa regione: gli indigeni, i contadini, gli afro-discendenti. La nostra chiesa è fatta da loro, sono loro che disegnano il volto unico e plurale di questa chiesa amazzonica.

Un terzo risultato è aver ottenuto dei giovani che in prima persona si stanno impegnando in un cammino vocazione serio: saranno loro i ministri del domani. È bello vedere questo piccolo gruppo di giovani che vogliono mettersi al servizio dell'Amazzonia e della frontiera.

Il cammino da fare

Non sono poche le sfide che abbiamo davanti e in qualche modo loro rappresentano indicatori, percorsi e orizzonti verso i quali orientare il cammino della Chiesa che vuole rispondere ai bisogni e ai sogni della gente di questo immenso territorio. 

Un primo percorso è quindi il processo di accompagnamento degli animatori indigeni e campesinos, affinché possano emergere i diversi ministeri necessari alla crescita e alla maturità di questa chiesa.

Un secondo percorso è quello di rafforzare le vocazioni indigene; uomini e donne che, desiderosi di seguire Gesù, si impegnano nella crescita di questa Chiesa amazzonica e di frontiera.

Una terzo orizzonte invece ci invita a tessere relazioni sempre più profonde con le Chiese vicine, quelle dell'Ecuador e del Perù, che consideriamo come sorelle perché con loro condividiamo tutto: il territorio, la preoccupazione per l'ambiente e l'impegno per vivere in questa casa comune, fragile ed esuberante, che ci accoglie. I nostri popoli sono vicini e sono fratelli e sorelle. Con tutti loro, in Cristo, vogliamo avere vita piena. 

* Mons. Joaquín Pinzon, Missionario della Consolata, è il vescovo di Puerto Leguízamo (Colombia)

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