«L’inferno libico». Un’espressione molto abusata per raccontare con un’immagine cosa vive, lungo la sponda sud del Mediterraneo, chi cerca di raggiungere l’Europa. Quell’inferno, benché derubricato dagli organi di informazione a vicenda di secondo piano nei giorni del coronavirus, è rimasto tale, come ci spiega Mussie Zerai, sacerdote eritreo trapiantato in Italia, da anni impegnato a sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma dei migranti. Oggi, con un post su Facebook, Zerai ha dato voce proprio a chi è ancora intrappolato in Libia.
«Stanotte, poco dopo le quattro, ho ricevuto una chiamata dal centro di detenzione a Zawiya, dove sono trattenuti da più di un anno circa 200 persone».