Il cardinale Ángel Sixto Rossi, SJ, ha presieduto la Messa in cui il Santuario di Nostra Signora della Consolata a Sampacho, a sud di Córdoba, in Argentina, è stato elevato a Basilica Minore. La celebrazione si è svolta il 10 giugno, nel 90° anniversario del terremoto di Sampacho che distrusse la chiesa.

Le reliquie del Beato Allamano

Dopo di questo grande evento, il 14 giugno, le reliquie del Beato Giuseppe Allamano sono state ricevute e intronizzate dal Superiore dei Missionari della Consolata in Argentina, padre Marcos Sang Hun Im, che ha ringraziato la comunità per la loro devozione e ha anche sottolineato che "l'intronizzazione delle sue reliquie corona la relazione di Giuseppe Allamano con l'Argentina".

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In quell’occasione il padre Marcos ha raccontato come la vita spesso presenti misteri che possono essere compresi solo con il passare del tempo e come due di essi siano legati a questo grande avvenimento.

Il primo è il rapporto di Giuseppe Allamano con l'Argentina, dove vale la pena ricordare che la devozione alla Madonna della Consolata di Cordoba è arrivata non con i Missionari della Consolata ma con i piemontesi emigrati da Torino. In Argentina, i piemontesi si stabiliscono nelle province di Santa Fe e Cordoba e la prima immagine della Consolata è stata portata da padre Giovanni Cinnoto, di origine piemontese, nel 1908. Quando nel 1946 i Missionari arrivarono a questo paese la loro patrona li stava già aspettando da tempo.

Il secondo avvenimento che padre Marcos ricorda è invece legato alla sua relazione con il padre Osvaldo Leone, rettore del Santuario. Dopo la formazione iniziale in Corea del Sud, si stava preparando a raggiungere il Noviziato in Italia ma all’ultimo momento fu dirottato verso l’Argentina. Siccome non conosceva la lingua chiese delle riviste che potessero aiutarlo con lo spagnolo e lesse in quell’occasione articoli del padre Osvaldo Leone, che conobbe più tardi, nei quali parlava di esperienze missionarie. Undici anni dopo (2023) si sono incontrati nuovamente a Roma quando padre Osvaldo, in qualità di rettore del Santuario, venne a chiese le reliquie del Beato Allamano per intronizzarle nel santuario. A questa celebrazione ha partecipato come Superiore dell'Argentina. “Questi eventi –dice il padre Marcos– sono il risultato dell’opera di Maria Consolata e di Giuseppe Allamano”.

Padre Osvaldo Leone ha ringraziato la famiglia della Consolata per aver accompagnato questo momento storico della Basilica. La Consolata è la quinta Basilica Minore della provincia di Cordoba e la 48ª in Argentina. La trasformazione della chiesa in Basilica è dovuta alla fede della popolazione locale e ai pellegrini che hanno permesso continuamente e silenziosamente che questo cambiamento avvenisse.

Messaggi da Roma

Il cardinale mons. Víctor Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha inviato un videomessaggio alla comunità di Sampacho, in cui ricorda che, quando studiava in seminario, si recava in questa basilica santuario insieme ad altri giovani, per “pensare alla vocazione, per chiacchierare”. “Lì, davanti alla Vergine della Consolata, ho sentito tante volte la chiamata di Dio e ho ammirato, assieme a tanti altri, come la gente e la comunità abbiano dato tanto e messo tanto impegno e tanta collaborazione per costruire un santuario così bello, dove si entra e si percepisce la bellezza di Dio”, ha detto.

Anche Papa Francesco attraverso una lettera con la firma del sostituto della Segreteria di Stato della Santa Sede, monsignor Edgar Peña Parra, ha inviato i suoi saluti per questa occasione così speciale.

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Storia della devozione

La comunità di Sampacho è stata fondata nel 1875 da molte famiglie immigrate dal Piemonte. A principio del XX secolo il padre Giovanni Cinotto promosse la devozione alla Consolata e nel 1908, a bordo di una nave, arrivò al Río de la Plata - e da li a Sampacho - un'immagine di Nostra Signora della Consolata del peso di 1232 chili. È la stessa che ogni 20 giugno gli uomini della comunità portano in processione lungo un percorso di 16 isolati.

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La Basilica della Consolata di Sampacho, nel sud della provincia di Cordoba, Argentina. Foto: ADN Celam

Sampacho festeggia: il Santuario della Consolata diventa Basilica (Canal Orbe 21)

Il tempio è stato dichiarato Santuario nel 1946 e il 10 giugno 2024 è stato elevato a Basilica Minore. Tra le richieste più frequenti rivolte alla Madonna della Consolata ci sono la salute degli occhi e la cura delle malattie oculari.

Il primo missionario della Consolata, padre Mario Viola, arrivò a Buenos Aires il 30 settembre 1946. Pochi mesi dopo arrivarono altri missionari che permisero, nel 1947, di avviare le attività nella diocesi di Rosario. Successivamente, l'Istituto ha esteso la sua presenza ad altre diocesi e ai territori del Chaco e di Formosa, considerati più specificamente come campi di attività missionaria.

Attualmente, 23 missionari della Consolata lavorano in Argentina in cinque parrocchie e in due scuole: Nuestra Señora de la Consolata a Mendoza e l'Instituto Pablo VI, a San Francisco, Córdoba. A Buenos Aires, nel quartiere di Flores, c'è la Casa Regionale.

* Padre Donald Mwenesa e Diana Sosa, Equipe Comunicazione IMC Argentina.

Il 6 gennaio 1905 l'Allamano scrisse una lettera ai missionari in Kenya riflettendo sulla celebrazione di due grandi eventi: Il primo era stato il centenario del Santuario della Consolata a Torino, che ebbe luogo tra l'11 e il 20 giugno 1904; il secondo la conclusione del Convegno di Murang'a, che eveva avuto luogo nel marzo 1904. Nella sua lettera ai missionari la Allamano faceva notare che il suo cuore era “ancora pieno di deliziose emozioni” per questi eventi così importanti e si augurava che i missionari ne avessero partecipato almeno spiritualmente dalle missioni. Il giorno scelto per scrivere la lettera era quello dell’Epifania festa della manifestazione di Gesù a tutti i popoli. (Cfr. lettere ai Missionari e Missionarie della Consolata, n. 59).

Da allora sono passati 118 anni e anche noi oggi abbiamo appena celebrato un grande evento: il XIV Capitolo Generale che ha eletto una nuova Direzione Generale per Istituto. Ora è il tempo non di rimanere sospesi nell'atmosfera di festa dei momenti capitolari ma di riprendere il lavoro con rinnovato entusiasmo. 

Nella stessa lettera, il padre fondatore, parlava della importanza di dare piena attuazione alle decisioni prese nell’incontro così importante nella storia dell’Istituto evitando la tentazione, che si poteva trovare in alcuni, di fare il contrario di quanto deciso insieme con la scusa di avere un'idea migliore, o ritenendo che ciò che era stato deciso non avrebbe funzionato. Il Fondatore li richiamò tutti al dovere di al secondare quanto era stato deciso anche se uno ritenesse di avere in mente proposte o decisioni migliore. Oggi mentre intraprendiamo il processo di attuazione delle decisioni del Capitolo Generale con le Conferenze Regionali, dobbiamo lavorare come comunità ispirate e guidate dallo Spirito di Dio che ha parlato nel capitolo. L'insistenza del Fondatore è evidente: l'aspetto comunitario dell'Istituto è così importante che dovrebbe essere protetto e difeso da tutti. Le capacità e le creatività dei singoli, pur essendo importanti, non devono far perdere lo spirito comunitario dell'Istituto.

Nella lettera già citata, consapevole dell'importanza del legame tra passato e futuro, l’Allamano ringraziava i missionari del Kenya anche per i tanti diari che gli avevano inviato e dava disposizioni per promuovere questo strumento. Permettevano in fatti ai fedeli che frequentavano il santuario della Consolata e che sostenevano i missionari (li chiamava “figli beniamini” della Consolata) di partecipare alla vita missionaria in Kenya. In un'epoca in cui la cultura della lettura sembra progressivamente estinguersi e si preferiscono i video e i messaggi brevi, diretti al punto, il nostro Fondatore ci ricorda che un albero si regge sulle sue radici e non sui suoi frutti, per quanto buoni possano essere. Questo ci invita a riconoscere l'importanza di scrivere ancora non solo il nostro passato ma anche il nostro presente. In fatti, è attraverso i diari dei primi missionari che possiamo conoscere la nostra storia. Domani saranno i nostri diari o le nostre comunicazioni che permetteranno alle nuove generazioni ad imparare dal nostro oggi. É quindi è importante che l'Istituto rianimi lo spirito del diario nelle missioni e personalmente altrimenti rischiamo di seppellire insieme a noi la nostra storia.

Consapevole della complessità di guidare un gran numero di persone, la Allamano si esprimeva contro le critiche e le mancanze di carità tra i missionari e non usò mezzi termini nell'enumerare le conseguenze di tali deviazioni. Ecco le sue parole:

“Con il moltiplicarsi delle persone crescono anche le diversità di apprezzamenti, perché tutti abbiamo la nostra testa, come si dice, e specialmente molta dose di amor proprio che ci inganna senza che ce ne accorgiamo. Da qui la tentazione di disapprovare internamente il modo di pensare e di agire dei confratelli e talvolta perfino dei Superiori. State attenti contro questa tentazione, perché il giorno in cui cominciassero le critiche vicendevoli, segnerebbe tosto la sterilità delle vostre fatiche, e sarebbe il principio della dissoluzione dell'Istituto” (ibidem p. 75).

Se l’Allamano ha parlato così nel 1905, quando l'Istituto contava un centinaio di membri, le sue parole acquistano oggi una grandissima importanza perché l’Istituto, conta oggi circa 900 membri, ed è ormai una multiculturale. Sarebbe ingenuo da parte nostra ignorare o fingere di non cogliere l'avvertimento che il Fondatore ci ha lanciato. La multiculturalità è un aspetto speciale e importante dell'Istituto, ma richiede molta maturità e umiltà per trasformare le differenze delle persone in opportunità che valorizzino una vita comunitaria armoniosa e la trasformino in una testimonianza nell'apostolato. Oggi, di fronte alle sfide evidenziate dal XIV Capitolo Generale sulle le difficoltà dei missionari di vivere insieme, sarebbe opportuno leggere e rileggere la lettera del Fondatore per approfondirne lo spirito che contengono. 

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In quell’occasione l’Allamano terminò la sua lettera in tono incoraggiante, invitando i missionari alla perseveranza e a non perdere la speranza. Consapevole che se c'è qualcosa che può ridurre e perfino annullare la speranza e l'entusiasmo dei missionari, è il fatto di non vedere i frutti del loro lavoro, il Fondatore ha ricordato loro che se un missionario fosse andato in missione con l'illusione che la sua presenza sarebbe bastata ad attrarre le persone, o le sue parole sarebbero bastate a convertirle, allora presto avrebbe sperimentato delle delusioni che lo avrebbero portato allo scoraggiamento. Ecco le sue parole:

«Ricordate sempre che ognuno riceverà la mercede “secundum proprium laborem”, e non secondo il risultato ottenuto. Nelle vite dei Santi quanti esempi non abbiamo fatiche apostoliche straordinarie e perseveranti senza che essi avessero in vita la consolazione di raccoglierne i frutti. Questi seminarono senza la consolazione di mietere (...) Ancora ricordati che l'essenziale si è che lavorando costanti adempiate la volontà di Dio e che possiate dire come Nostro Signore: “Meus cibus est ut faciam voluntatem Eius qui misit me, ut perficiam opus Eius” (Gv 4,34)».

Avendo concluso da poco il Capitolo Generale, la lettera del Allamano si adatta davvero alle nostre esigenze. Mentre ci avviamo verso l'attuazione degli orientamenti del Capitolo, preghiamo affinché, per intercessione della Consolata e la guida di Beato Giuseppe Allamano, possiamo anche noi continuare ad essere strumenti della misericordia e del perdono di Dio nel mondo.

* Padre Jonah M. Makau, Missionario della Consolata (Roma)

Per noi Missionari e Missionarie della Consolata la celebrazione [in questo santuario della Consolata ricordando il centenario della morte di Giacomo Camisassa, fedele collaboratore del Beato Allamano] è una celebrazione speciale e diventa doppiamente speciale perché ricordiamo un grande che insieme all’Allamano, un altro grande, ha sognato, realizzato e costruito due istituti missionari. 

I nostri missionari e le nostre missionarie della Mongolia ci hanno insegnato a dire che la missione in Asia, ma non solo lí, possiamo farla solo in punta di piedi. La missione non ha bisogno di pompe, applausi, protagonismi ma si fa nell’unità quotidiana cercando di costruire il vangelo pezzo per pezzo con le persone che il Signore mette sul nostro cammino.

La prima volta che sono andato in Mongolia, a visitare i nostri confratelli e le nostre consorelle, eravamo con Giorgio nel cuore della Mongolia nella prima parrocchia lontana dalla capitale. La domenica abbiamo celebrato la messa con quindici cristiani e qualche curioso che ci sbirciava da fuori e poi dopo ci siamo incontrati con questi cristiani e abbiamo preso qualcosa assieme.

Quello che mi ha segnato per anni e lo porto ancora nel cuore, è che mi sono seduto vicino a un giovane di approssimativamente diciott’anni che vedevo veramente contento, sprizzava gioia da tutte le parti. Con l’aiuto di un missionario che mi ha tradotto mi sono sentito di chiedergli
– Ma perché sei così contento?
La risposta che lui ha dato è stata la più bella che si possa dare e fino ad ora non ne ho trovate altre
– Io voglio essere cristiano perché essere cristiano mi da la gioia di vivere.

C’è tutto; questo giovane ragazzo ha capito tutto! Essere cristiani in mezzo a tutti gli altri che non lo sono, appartenendo a un piccolo gruppo come sono i cristiani della Mongolia, e manifestare la gioia che si vive incontrando a Cristo, per me è la cosa più bella.

Questo ha caratterizzato i nostri grandi: Allamano e Camisassa ed è per quello che dopo cent’anni oggi ricordiamo ancora il Camisassa. Sono delle persone che hanno fondato la loro vita si Gesù Cristo; hanno cercato solo di vivere il vangelo e di fare la volontà di Dio. La volontà di Dio li ha portati a stare 42 anni in questo santuario in amicizia, in compagnia e in collaborazione stretta e insieme hanno realizzato questo grande sogno: la creazione dei due grandi Istituti Missionari della Consolata. 

Il Camisassa era un uomo di grande intelligenza e non era solo l’uomo concreto che sapeva fare i lavori manuali e materiali. Era un uomo di visione, il primo nella teologia, esperto in diritto canonico e civile, un’autorità riconosciuta nella Torino di quel tempo... eppure era di una umiltà tale che quando parlavi con lui diceva “guardate l’Allamano, è lui il maestro, io accompagno soltanto” e quando andavi dall’Allamano lui diceva “andate dal Camisassa”... i due giocavano a ping-pong non in una falsa umiltà ma nella vera umiltà di chi capisce che senza l’altro non fa niente; che ha bisogno dell’altro per costruire qualcosa che valga la pena. Non per essere protagonista ma per costruire sempre nel nome del Signore.

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Ci sono della frasi che noi missionari e missionarie conosciamo ma permettetemi di recuperarle perché sono troppo belle. Dice l’Allamano: “tutte le sere passavano in questo mio studio (nel santuario) diverse ore, qui è nato il progetto dell’Istituto, qui si parlava di andare in Africa, insomma, tutto si combinava qui. Se non avessi avuto al mio fianco il canonico Camisassa non avrei fatto quello che ho fatto”. Questa era una amicizia profonda fondata sulla sincerità, oggi che è così difficile essere sinceri. 

L’Allamano diceva: “ci siamo promessi di dirci sempre tutto in verità” e questo ha fatto si che la loro amicizia durasse nel tempo, per ben 42 anni. Quello che noi abbiamo cominciato a chiamare, usando termini un po’ più abbelliti , “promozione fraterna” loro l’hanno sempre fatta senza chiamarla in quel modo e ci hanno insegnato che solo aiutandoci a vicenda si può costruire qualcosa di valido. 

Gesù Cristo è il fondamento ma dietro il loro comune impegno c’era anche una umanità vera, non fittizia o fatta di immagine, e che porta a dirsi le cose in verità, per costruire e camminare insieme, per vivere in Comunione. Sono tutti valori che il Papa Francesco e la chiesa attuale ci sta proponendo in questo cammino di sinodalità, dove ognuno è chiamato ad essere protagonista là dove ognuno sta. È una chiesa nuova che ha il vangelo al centro e dove Gesù Cristo è quello che conta, non tutto il resto.

Celebrare per noi il centenario della morte del Camisassa è prima di tutto un momento di grande commozione e fraternità perché ci aiuta a recuperare l’amicizia, la correzione, il camminare insieme, la comunione ma poi è anche un momento di revisione per vedere come i nostri Istituti stanno tentando di portare avanti gli orientamenti, il progetto e i sogni che l’Allamano e il Camisassa, in questo santuario, hanno covato nel loro cuore dialogando e pregando insieme.

I nostri istituti sono ancora fedeli a quest’opera originaria? Anche se facciamo fatica da qualche parte io risponderei a questa domanda con un sí. Con semplicità e con umiltà dobbiamo dire che stiamo camminando anche se il tempo magari ti logora un pochino.  Con verità possiamo dire che Il Signore continua a benedire questi Istituti perché siamo fondati e formati da dei grandi che ricordiamo in questo santuario.

Il mondo è fondato su pilastri e questi pilastri sono i santi, le persone buone, le persone vere che nella vita di ogni giorno costruiscono la storia. Noi ricordiamo l’Allamano, il Camisassa e tanti fratelli e sorelle che sono morti dando la vita per la missione. 

Che bello che in questa eucaristia inviamo a Suor Francesca in Mongolia. Gesù ci ha voluti missionari; l’Allamano e il Camisassa sono stati missionari; noi continuiamo a inviare missionari: questa missione è una missione vera, autentica, di Istituto, di comunione. Le difficoltà non mancheranno perché fanno parte della vita, ma quello che conta è l’amore al Signore e quell’autenticità di vita che abbiamo imparato dai nostri grandi.

Continuiamo ad ascoltare le parole dell’Allamano sul Camisassa: “Se abbiamo fatto qualcosa di buono è appunto perché eravamo tanto diversi. Se fossimo stati uguali non avremmo visto i difetti l’uno dell’altro e avremmo fatto molti sbagli di più”. Noi parliamo tanto di interculturalità e diversità, ma che fatica che facciamo spesso per accettarla, questi già allora la vivevano.

Poi ancora: “Tocca a me fare i suoi elogi: era sempre intento a sacrificarsi pur di risparmiare me; aveva l’arte di nascondersi e possedeva la vera umiltà. Egli viveva per voi e per le missioni”. Oggi, quando tutti vogliono apparire, vediamo che nascondendosi, come fece il Camisassa, si continua a vivere per cent’anni nella storia di un Istituto. 

L’Allamano, dando l’annuncio della morte del Camisassa, dice una cosa importante che può anche aiutarci nella nostra vita: “fino all’ultima ora, pur essendo ammalato, il Camisassa continuava a pensare, a pregare e a parlare degli Istituti”. Il suo amore è tutto descritto in questi tre verbi. 

Oggi questi Istituti che loro due hanno pensato e sognato insieme esistono ancora e mandano ancora delle persone. Che bella questa continuità, che bella questa catena d’amore che va avanti, perché la storia non la fanno i grandi e i potenti, non la fanno neanche i cattivi anche se poi subiamo le conseguenze delle loro azioni, ma la fanno i buoni, quelli che rimangono per l’eternità perché il loro ricordo rimane per sempre. 

*Stefano Camerlengo è Superiore Generale dei Missionari della Consolata. Testo dell'omelia tenuta nel Santuario della Consolata in occasione della celebrazione del centenario della morte del canonico Camisassa. 

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