ALCUNI MITI E RACCONTI AFRICANI

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RACCONTO DEGLI EKONGA-BATOA SULLA CREAZIONE

Elima (la forza vitale attiva e personale) creò gli stagni, i corsi d’acqua e le foreste, e vi fece comparire gli animali che le popolano attualmente. Raccolse argilla umida e fece due statue, una di un uomo e una di una donna. Vi soffiò la vita e ordinò: “Parlate!”. Poi cominciò l’educazione dei primi antenati. Insegnò loro i nomi delle bestie e delle piante, mostrò come fabbricare una capanna e accendere un fuoco, come cercare frutti e tuberi commestibili. Regalò loro un arco e delle frecce, e una zucca come contenitore per l’acqua. Gli antenati non videro Elima, lo sentirono soltanto. Egli raccomandò loro di fare il bene e di evitare il male: il furto, la menzogna, la frode, l’omicidio, l’adulterio, la calunnia, la disobbedienza a genitori e capi-clan. Quando li lasciò, i primi uomini accesero il fuoco e partirono per la caccia.

  • Si potrebbero notare moltissimi punti importanti in questo racconto (la divinità vista come forza e già personalizzata, l’uso del “soffio di vita”, l’insegnamento di Dio, l’impossibilità di vederlo, i comandamenti), ma qui è interessante rilevare che secondo questo popolo fu Dio a insegnare agli uomini tutto ciò di cui avevano bisogno, mentre per altri popoli (pigmei) Dio se ne andò dal mondo prima che l’uomo fosse autonomo da Lui, costringendolo in un certo senso a usare l’ingegno per sopravvivere: non è forse proprio quello che è avvenuto nella lunga storia dell’evoluzione umana ?

  MITO DEI PIGMEI

All’inizio del tempo Dio (cioè l’Essere Supremo) fece un certo numero di uomini e donne. Egli viveva fra loro, procurando loro tutto ciò di cui avevano bisogno: la legna, l’acqua, gli animali, ecc. Una donna era incaricata di portargli acqua e legna, ma non doveva mai alzare gli occhi per vederlo. Un triste giorno, vinta dalla curiosità, mentre deponeva la brocca al di là della porta semiaperta, gettò un timido sguardo. Nella penombra vide il braccio di Dio coperto di braccialetti, provò una gran gioia, ma non durò molto, perché Dio aveva notato la sua indiscrezione. Molto irritato da questa trasgressione umana, se ne andò e abbandonò tutti alla loro sorte. Tutto ciò che egli aveva donato un tempo agli uomini, cominciò a mancare. Alcuni di loro, con le loro mogli, se ne andarono nella foresta. Ebbero l’idea di curvare un legno verde e di legare le estremità con una liana, inventando così l’arco. Le donne impararono a intrecciare rami a forma di cupola e rivestirli di foglie, inventando così la capanna. Con la loro ingegnosità provvidero ai propri bisogni e seppero approfittare al massimo delle risorse della foresta. Questa è l’origine della razza dei pigmei.

  • Dio ha creato per l’uomo la natura e le sue risorse, ma è l’uomo che ha dovuto usare il suo ingegno per costruire utensili e quindi inventare la tecnologia. Nota interessante: la donna fu “vinta dalla curiosità”. Il divino, il trascendente, il “totalmente altro” suscita insieme fascino, perché lo si vorrebbe poter conoscere, e timore (a volte persino un vero terrore reverenziale), perché la sua potenza oltrepassa qualsiasi visione e immaginazione umana.

  Ecco un altro mito interessante sulle origini dell’uomo:

MITO GIZIGA (Camerun settentrionale)

Un tempo il cielo era vicino alla terra. Bumbulvun viveva in mezzo agli uomini. Era anzi talmente vicino che essi potevano spostarsi solo con la schiena curva. Ma in cambio non dovevano preoccuparsi del loro sostentamento: bastava allungare la mano, strappare dei pezzi di cielo e mangiarli. Un giorno la giovane figlia del capo, che aveva un brutto carattere e faceva sempre il contrario degli altri, invece di prendere pezzi di cielo, cominciò a guardare per terra e a raccogliere i grani che trovava. Si fece un pestello e un mortaio per schiacciare i grani. Così inginocchiata, ogni volta che alzava il pestello, questo colpiva il cielo e Dio. Disturbata nel suo lavoro, la giovane disse al cielo: “Bumbulvun, non puoi allontanarti un po’?”. Il cielo si allontanò e la giovane poté alzarsi in piedi. Continuò il suo lavoro e man mano che schiacciava grani alzava il pestello sempre un po’ più in alto. Implorava il cielo, ed esso si allontanava ancora un po’. Allora cominciò a lanciare il pestello in aria. Alla terza implorazione il cielo, indignato, se ne andò lontano, là dove si trova ora. Da allora gli uomini camminano eretti. Non mangiano più pezzi di cielo, ma miglio. Ma Bumbulvun non si mostrò più agli uomini come faceva un tempo, quando tutte le sere veniva a risolvere le loro contese; ora gli uomini sono rimasti soli con le loro contese: è la guerra!

  ·   A parte la nota sulla grande efficacia, e a volte anche delicatezza, proprie di questi miti africani (da notare la confidenza, il rapporto molto intimo con Dio), bisogna rilevare anche qui la presenza dell’elemento “ingegno” come fattore primario (e straordinario) di evoluzione: l’uomo da assistito diviene autonomo e capace di libero arbitrio. Ma quale prezzo comporta questa conquista! La guerra, il male, vengono dall’uomo, e senza l’aiuto di Dio non c’è via di scampo, non c’è soluzione. (Interessante anche, e curiosa, la nota “da allora gli uomini camminano eretti”: un altro racconto che centra in pieno il nocciolo dell’evoluzione umana!).

  MITO ILA (Zambia)

Una donna, che viveva felice fra i suoi parenti, un giorno perse il padre, poi, poco dopo, la madre. Non era passato un mese che le morì il marito e poi, uno dopo l’altro, tutti i figli. Si ritrovò sola, prostrata dal dolore davanti a quelle tombe chiuse e mute. Allora, al limite della sopportazione, partì alla ricerca di Leza per chiedergliene conto. Attraversando una fitta foresta ebbe un’idea: “Costruirò una torre così alta da permettermi di salire fino a Leza!”. Cominciò ad abbattere alberi e costruire una torre enorme. Ci volle molto tempo: le stagioni passavano e i tronchi posti in basso imputridivano, e il tutto crollò proprio nel momento in cui stava raggiungendo il cielo. Allora riprese il viaggio e andò verso l’orizzonte, alla ricerca del punto in cui la terra finisce. Incontrò molti villaggi e sentì sempre la stessa domanda: “Donna, dove vai, e perché?” – “Vado a cercare Dio, per chiedergli conto di tutte le mie sventure: ho avuto un padre, ed è morto; ho avuto una madre ed è morta; ho avuto un marito ed è morto; ho avuto dei figli e sono morti!”. Ogni volta la gente scuoteva la testa: “E cosa c’è di straordinario in tutto questo? Tutti noi soffriamo degli stessi mali”. La donna infine comprese che ciò che considerava una cattiveria di Dio a suo riguardo, altro non era che la sorte di tutta l’umanità. Così si rassegnò a seguire la sorte normale senza rivoltarsi.

  • Elementi comuni a molte altre religioni sono per esempio: il desiderio dell’uomo di capire il perché di avvenimenti tragici come la morte, la convinzione di essere l’unica persona perseguitata dal dolore quando invece esso è condizione comune a tutti gli uomini, il tentativo di dare la scalata al cielo per raggiungere Dio e l’inevitabile fallimento di questa ricerca (Dio è irraggiungibile). La saggezza di fondo di questo racconto indica chiaramente che esso costituisce un vero e proprio mito (nell’accezione discussa da Masi nel primo saggio): ne sono prova l’elaborazione del dato divino, l’insegnamento morale di fondo, l’universalità del messaggio.

  Ecco un altro mito molto simile a quello precedente nella sostanza, ma ovviamente distinto e unico per certe caratterizzazioni proprie di un popolo diverso:

  MITO CHAGGA (Kenya)

Un uomo che aveva perso tutti i figli concepì in cuor suo un gran risentimento contro Dio, così si fece costruire un arco capace di raggiungere il cielo e le migliori frecce per uccidere Dio. Poi si mise in cammino verso il sorgere del sole. Una volta giunto là, attese il sorgere del sole. Si sentì il rumore di una gran folla e molte voci: “Aprite le porte! Lasciate passare il Re!”. L’uomo vide una moltitudine di persone luminose, ebbe paura e si nascose. Il corteo passò e al centro c’era “Colui che brilla”. D’un tratto il corteo si fermò e quelle persone sentirono un odore spaventoso, che faceva pensare alla presenza di un abitante della terra. Alla fine scoprirono l’uomo e lo condussero da Dio. Questi gli chiese: “Che cosa vuoi?”, e l’uomo rispose: “Il dolore mi ha spinto a fuggire lontano dalla mia capanna”. “Ma perché quest’arco e queste frecce?” – “Oh, forse pensavo di andare a caccia…” – “Non volevi forse uccidermi? Ebbene, fallo!”. L’uomo esitò e disse: “E’ a causa dei figli che tu mi hai sottratto”. Dio rispose: “Se vuoi i tuoi figli, puoi prenderli. Guarda, sono lì dietro di te”. L’uomo si voltò e li vide; erano così radiosi e brillanti che riuscì a malapena a riconoscerli. Allora disse a Dio: “No! Tienili tu. Presso di te stanno molto meglio!”.

  • Simile nella forma e nel contenuto al mito precedente, questo mito chagga esprime con estrema delicatezza e semplicità il senso tutto umano di capire il perché degli eventi, e il bisogno eterno di credere in una vita post-mortem più bella e piena di quella terrena (anche qui siamo già in un pensiero religioso compiuto, poiché nel pensiero magico primitivo sembra non esistere la distinzione fra queste “due vite”, in uno stato confuso di ritorni e mescolamenti delle entità nel mondo). Da notare la “violenza”, l’immediatezza delle prime righe: quando non sappiamo con chi prendercela, perché non vediamo la causa di un evento tragico e inspiegabile, ricorriamo a Dio addossandogli una colpa inesistente (la morte è un fatto naturale, anche se per l’uomo di difficilissima comprensione, senza “l’aiuto” offerto dall’esistenza di una sfera divina). L’uomo africano è pienamente conscio di questo aspetto, e così come nelle religioni più “moderne” (in senso temporale), cerca di trovare l’unica soluzione possibile nel mondo dell’invisibile e del “totalmente altro” (altro nelle forme: i defunti non si presentano come persone normali; altro nei contenuti: i defunti appaiono felici e in uno stato di “pienezza”, portando al massimo grado la vita).
Last modified on Monday, 13 December 2021 11:39
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