La Dichiarazione universale dei diritti umani risale al 1948. La realtà è però diversa dalla teoria. Oggi più che mai.

«Siete dalla parte giusta della storia», si sono sentiti dire gli universitari americani per la loro difesa della causa palestinese. Parole pronunciate dall’ayatollah Khamenei, guida suprema della teocrazia iraniana che lo scorso 30 maggio – tramite X – si è rivolto direttamente a loro. Il complimento si è immediatamente trasformato in un palese imbarazzo visto che proveniva da un grande violatore dei diritti umani, leader di un Paese dove non esiste libertà.

Il fatto ha riproposto all’attenzione pubblica internazionale molti interrogativi. Uno di essi può trovare una sintesi nella seguente domanda: al di là delle dichiarazioni teoriche (la principale è quella del 1948), nella realtà esiste una definizione universale dei diritti umani?

In un momento storico come l’attuale, caratterizzato da divisioni e guerre, la risposta è «no, non esiste». Ogni stato – sia esso una democrazia o una dittatura – è convinto di rispettare i diritti umani, convinzione che spesso assume aspetti grotteschi. Prendiamo, ad esempio, la Cina di Xi.

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Il complimento dell’ayatollah Kamenei, guida suprema della teocrazia iraniana, agli studenti statunitensi.

Lo scorso marzo un dipartimento del Comitato centrale del Partito comunista cinese ha organizzato – anche se pare impossibile – il terzo Forum internazionale sulla democrazia, come ha raccontato anche il «China Daily», il principale quotidiano in lingua inglese di Pechino. La democrazia – è stato detto durante il Forum – può assumere forme diverse a causa delle diverse situazioni dei paesi. Per parte sua, la Cina è un campione di democrazia. Infatti, afferma l’articolo, «pratica la “democrazia popolare integrale”, che consiste nel rendere la democrazia presente in tutti gli aspetti» (economia, politica, cultura, società, ecologia).

Difficile capire come la democrazia declinata alla cinese spieghi la mancanza di libertà in Tibet o nello Xinjiang o la repressione in atto a Hong Kong o tutto il potere concentrato nelle mani del Partito comunista e del suo leader Xi Jin Ping. Meglio allora – avrà pensato il presidente cinese – giocare d’attacco. A maggio è, quindi, uscito «The Report on Human Rights Violations in the United States in 2023», un rapporto sulle violazioni dei diritti umani negli Usa stilato dallo State council information office (Scio), l’ufficio informazioni del consiglio di stato cinese.

«La situazione dei diritti umani negli Stati Uniti – si legge nell’incipit – ha continuato a peggiorare nel 2023. Negli Stati Uniti, i diritti umani stanno diventando sempre più polarizzati. Mentre una minoranza al potere detiene il dominio politico, economico e sociale, la maggioranza della gente comune è sempre più emarginata e i suoi diritti e le sue libertà fondamentali vengono ignorati. Uno sconcertante 76% degli americani ritiene che la propria nazione vada nella direzione sbagliata».

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John Lee, ex poliziotto, è il «chief executive» che Pechino ha messo alla guida di Hong Kong. (Foto GovHK)

Negli Usa i problemi certamente non mancano, ma che i diritti umani vengano ignorati è pura propaganda di Pechino per distrarre l’opinione pubblica dai problemi cinesi. A fine maggio, a Hong Kong, 14 esponenti del locale movimento per la democrazia sono stati condannati in base alla legge sulla sicurezza nazionale (nota come «Articolo 23 della Legge fondamentale»), imposta da Pechino e firmata lo scorso 23 marzo dal governatore John Lee (un ex poliziotto, vincitore di un’«elezione» in cui era il solo candidato). Probabilmente la triste esperienza di Hong Kong fa sì che anche gli abitanti di Taiwan guardino con terrore a una eventuale riunificazione con la Cina.

A ulteriore riprova della distanza esistente tra la seconda potenza mondiale e il modello democratico, c’è la Conferenza internazionale per la pace in Ucraina, prevista a Bürgenstock (Canton Nidvaldo, Svizzera) per il 15 e 16 giugno. Nonostante sia stata invitata, la Cina non vi parteciperà, prendendo a pretesto l’assenza della Russia ma confermando – una volta di più – di stare dalla parte dell’aggressore e, in generale, dei sistemi anti democratici. Da ultimo, lo scorso 4 giugno è stato il 35.mo anniversario della repressione di piazza Tiananmen (4 giugno 1989), che a Pechino è passato sotto il silenzio più assordante. E chi se ne importa dei diritti umani.

* Paolo Moiola è giornalista, rivista Missioni Consolata. Pubblicato  originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it

A partire dal 2014 è stata condotta una campagna di demolizione delle croci dalle chiese cristiane, in primo luogo nel Zhejiang. Alle autorità cinesi non piace vedere le croci toccare il cielo del loro Paese: la croce è un simbolo religioso e cristiano che essi considerano contraddittorio per la loro ideologia atea. Eppure, la croce ha giocato un ruolo speciale nella storia della Chiesa in Cina.

A Pechino, nel luglio 1605, padre Matteo Ricci ricevette un visitatore cinese ebreo dall’Henan, di nome Ai Tian (艾田), che lo informò della presenza di una comunità ebraica attorno alla sinagoga di Kaifeng, nell’Henan.

Egli fu anche informato della presenza di “stranieri adoratori della croce” a Kaifeng, a Linjin (晉) nello Shanxi e da altre parti che, a causa della persecuzione, gradualmente sparivano e le loro chiese venivano trasformate in templi Guandi.

Essi erano conosciuti come la Chiesa della Croce (十字教). Padre Ricci fu informato anche da altri missionari operanti nell’impero Cinese, che gli Adoratori della Croce segnavano tutto il loro cibo e le loro bevande con il simbolo della croce e addirittura dipingevano lo stesso segno sulla fronte dei bambini per proteggerli dalla malasorte[1]. Questa usanza era diffusa anche nel sud della Cina, specialmente nel Sichuan e tra le minoranza etniche del Guizhou[2].

Era credenza comune al di fuori della Cina, nel XVI e XVII secolo, che i cinesi venerassero la croce anche senza saperne il motivo. Ma la croce cristiana ha avuto una rapporto speciale con i cattolici cinesi.

Un documento raro e interessante è stato pubblicato e largamente diffuso in Cina. Nel 1722 è stato inviato dai missionari gesuiti del Zhejiang al loro superiore generale a Roma, padre Michele Tamburini. Intitolato “Quattro volte un miracolo è accaduto nello Shandong e nel Zhejiang” (山東浙江四次發現聖跡), è stato scritto su un sottile foglio di seta e conservato con cura al Collegio romano. Il miracolo comprende quattro apparizioni della croce nel cielo cinese, tra gli anni 1718 e 1722. Il documento descrive in breve gli eventi.

La prima volta la croce è apparsa il 20 agosto 1718 (57mo anno dell’imperatore Kangxi) tra le settima e la nona ora della sera nella città di Jinan, nello Shandong. Essa stava su una nube luminosa, mentre una striscia di fuoco ha attraversato il cielo da est a ovest, lasciando dietro di sé numerose stelle splendenti. Dopo aver raggiunto la fine del percorso, il fuoco, le stelle, e la croce sono svanite, seguite da un forte tuono. L’intera città ha potuto contemplare l’evento.

La seconda apparizione è accaduta nella stessa città l’8 settembre 1718, alla sera, tra le sette e le nove, ma in dimensioni più grandi e in una luce splendente, circondata da stelle e da una corona di nuvole. Per un quarto d’ora [la croce] si è mossa da sud a nord, e per un altro quarto d’ora da est a ovest.

Il 31 dicembre 1719 (58mo anno di Kangxi) è avvenuta la terza apparizione, alle 7 di sera sul tetto di paglia di una cappella costruita dalla famiglia Lu, nel villaggio di Jinjiaqiao, nel distretto Yuyao della città di Shaoxing nel Zhejiang (金家桥,余姚,绍兴,浙江): una croce bianca e splendente di luce con nuvole e stelle intorno. Essa è rimasta per più di un quarto d’ora ed è stata vista da 11 cattolici e da una folla di non credenti.

La quarta volta la croce è apparsa il 23 giugno 1722 (61mo anno di Kangxi) alle sette di sera a Hangzhou, capitale del Zhejiang (杭州,浙江). Era una croce bianca dalle braccia piuttosto lunghe, molto luminosa nel cielo. L’evento è durato mezz’ora e poi è gradualmente scomparso. L’intera città ha visto il fenomeno.

C’è stata una quinta apparizione il 15 giugno 1725 che, sfortunatamente, è stata documentata solo da una lettera di un gesuita, p. Ladislaw Orosz, che scrisse a Roma, ma senza dettagli. Il 4 agosto lui scrisse ad un confratello: “Qui a Roma ci è stato detto che un nuovo miracolo celeste è accaduto recentemente nell’impero cinese. Il 15 giugno 1725, una croce luminescente è stata vista nel cielo, mentre sorgeva da un calice, dalla cui apertura tre chiodi venivano fuori…”[3].

Molto probabilmente il significato delle apparizioni era di ricordare ai cattolici cinesi del lungo periodo di persecuzione che stava per arrivare e di prepararli a condividere la croce del Signore della loro fede, come molti di loro hanno fatto durante i secoli successivi.

Ma la croce è apparsa anche per proteggere la comunità cattolica nell’autunno del 1929 nella provincia dell’Henan, quando di notte una croce luminosa è stata vista sopra l’entrata principale di un villaggio, a 45 chilometri a sud di Tanghe, nell’Henan (唐河,河南), costringendo alla fuga i banditi che si preparavano all’assalto[4].

Alle periferie di Taiyaun, nello Shanxi (oggi distretto di Xinghualing 杏花岭区) nel villaggio di Changgou (长沟), è accaduto un miracolo il 10 marzo 1965, come riportato da un articolo di Wang Meixiu (王美秀)[5], membro dell’Accademia cinese delle Scienza sociali.

Dei contadini del vicino villaggio di Dijiazhuang (狄家庄), Wang Jicheng, Wang Wuben e Liu Deming (王继成、王务本、刘德明), erano usciti per concimare i campi. Ad un certo momento Liu Deming ha alzato la testa e visto, 10 metri sopra la rupe della baia a nord, una striscia orizzontale come di sabbia e una verticale come di pioggia, alta come una persona umana, tutta splendente.

Egli ha chiesto ai suoi due amici di guardare e tutti e tre hanno concordato che quella era una croce splendente. Essi sono tornati al villaggio per informare la gente che è corsa ad osservare il fenomeno. Hanno trasformato il luogo in una meta di pellegrinaggio e un terreno per attività religiose: pregare, cantare e camminare la via crucis.

La notizia si è diffusa velocemente e molte persone, anche dalle province vicine, si sono radunate lì per adorare. Essi hanno registrato anche altri eventi inusuali. Questo ha accresciuto i timori dell’autorità locale che prima, durante le “Quattro campagne di repressione” (四清) aveva chiuso la chiesa locale e cacciato il sacerdote.

Considerando questi e altri eventi storici (per esempio la croce splendente apparsa all’imperatore romano Costantino e che il suo esercito vide prima della battaglia di ponte Milvio del 312 d.C. con il messaggio “in questo segno tu vincerai”) uno pensa a come l’attuale campagna delle autorità cinesi, volta a demolire le croci per eliminare la presenza di questo importante simbolo cristiano, possa impedire la sua possibile apparizione in qualche luogo che essi non possono immaginare.

Gesù, che ha scelto la croce come suo trono, è il Signore del paradiso e tutto il cielo (come anche tutta la terra) è sempre a sua disposizione. (ST)

 

[1] Pasquale D’ELIA, Fonti Ricciane, vol. II, no. 724  (Roma: La Libreria dello Stato, 1949), p. 319-321.

[2] Henri BERNARD, La Découverte de Nestoriens Mongols aux Ordos et l’Histoire ancienne du Christianismr en Extreme-Orient (Haute Etudes, Tientsin, 1935), pp. 34-37.

 

[3] “Antiche Apparizioni di Croci e le sorti del Cristianesimo in Cina”, in La Civiltà Cattolica, 1920, pp. 51-56. 

[4] AG-PIME, XVII, 25, pp. 1369-1370.

[5] 1965年“太原天主教闹事”事件来龙去脉 (中国社会科学院世界宗教研究所:王美秀研究员).

 

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