Aspettiamo la morte perchè la vita sia più vita?
Ez 37,12-14. Nessuno vuole che usciamo dai sepolcri. Una volta ben chiusi scriviamo anche RIP riposa in pace. L’idea di Dio non è questa. Continuamente per bocca dei profeti continua a ripetere un invito a uscire dai sepolcri.
Rm 8,8-11. Non siamo ostaggi della carne che perisce, ma siamo eredi di una vita spirituale. Il primo frutto dello Spirito Santo è la risurrezione. Tutto quello che si è compiuto per Gesù Cristo si realizza anche per noi.
Gv 11,1-45. Il ritorno alla vita di Lazzaro ci prepara al mistero pasquale. Il nemico è identificato, è la morte di cui Cristo è vincitore. Il vangelo di oggi nutre la nostra speranza. Ma può darsi che ci lasci ugualmente un poco perplessi, per quello che ci tocca ancora vivere: angoscia, dolori che sono lacerazioni. La fede assicura che Cristo ci precede e ci accompagna.
Oggi Gesù ci invita a uscire dalle nostre tombe e procedere nella vita e con vita. Per varie ragioni ci consideriamo gente morta: che nessuno nota, né ascolta, né fa valere. Gesù proclama che il primo valore è la vita e inventa la risurrezione perché la vita sia più vita. Risorgere non è tornare alla vita di prima ma passare a un’altra vita divina e meravigliosa. Se la prima parola è vita, l’ultima non è morte. E vivere non diventa un morire poco a poco ogni giorno che passa. Tutto il contrario. La prima parola che ci da Gesù è vita e l’ultima è risurrezione. Questo lo cambia tutto. Vivere è entrare in un crescendo di vita e ogni giorno vivere un poco di più fino ad arrivare alla risurrezione, entrata alla vita senza fine. Nel Vangelo troviamo sempre molta tristezza quando si parla di morte: anche il cuore di Gesù si commuove e freme se muoiono gli amici e i bambini. La malattia esiste perchè la nostra vita passa di fragilità in fragilità. La morte diventa ingiusta perché lo finisce tutto. Comprendiamo che è molto peggio quando uno muore nell’anima, nella volontà, nei sogni, nella speranza. Che triste dover dire: non posso vivere perché sono solo, perché sono ammalato, nessuno mi vuole bene, nessuno ha bisogno di me, non ho appoggio. Dal Vangelo si capisce un’altra ragione. Tutte le volte che si parla di morte la risposta fa includere la parola ‘’fede’’. Nel Vangelo oggi la parola ‘’fede’’ si dice sette volte. Vuol dire che dovremmo aggiungere un’altra ragione e dire: non posso vivere perché non ho fede. Sono ostaggio della mia carne ammalata, perché non faccio valere lo Spirito che ha il proprio mondo, la propria vita, valori propri, felicità propria. Non sono parole, è un altro mondo, altra dimensione, altra visione.
Uno muore perché muore per se stesso. Con Gesù arriva un ‘altra possibilità: Romani 14, 7-9. ‘’Nessuno muore per se stesso e nessuno vive per se stesso…nella vita e nella morte siamo del Signore’’. Morire per il Signore vuol dire anche cercare di sapere dove. Nella dimensione del Vangelo, morire per un Cristo di carne, ammalato, povero, abbandonato non vuole mai dire perdere la vita, tutto il contrario. Esiste un linguaggio diverso e se lo impariamo avremo la possibilità di organizzare meglio la nostra esistenza. Marta parla di morte e Gesù parla di fede. Marta parla di morte che duole, di un amico potente capace di fare miracoli straordinari ma lontano che non arriva. E questo apre ferite. Per Marta sono parole finali: è andata così e non c’è rimedio. Per Gesù l’ultima parola è ‘’risurrezione’’ perché la prima parola è fede.