La preghiera vale se diventa misericordiosa
Sir 35,12-14.16-18. Dio ascolta quando nessuno è disposto a dare considerazione, per assicurare giustizia e speranza.
2 Tm 4,6-8.16-18. Certamente conta il lavoro, l’impegno ma quello che mai deve mancare è la presenza del Signore.
Lc 18,9-14. Il fariseo ha una fede sbagliata: pensa di aver dato qualcosa a Dio, nega ogni compassione e si perdona da solo. Il pubblicano non crede di avere dei diritti, chiede solo compassione. Allora diventa simpatico, giusto e ascoltato.
Per la categoria religiosa dominante il fariseo aveva tante qualità: osservante della legge, praticante nei minimi dettagli. Pubblicamente faceva onore alla fede, ma non aveva carità. Viene in mente la prima lettera ai Corinzi capitolo tredici: quand’ anche avessi e facessi questo, quello e quell’altro, se mi manca l’amore di Dio non sono niente. Il grande fariseo uscì dal tempio molto ridimensionato in piccolo. Rimase sequestrato dalla sua arroganza e totalmente sgonfiato. La parabola, dice il Vangelo, è rivolta ai discepoli, alcuni dei quali, come i farisei, "erano convinti di essere giusti con Dio anche se disprezzavano gli altri”. La realtà che vedo mi fa capire che abbiamo diviso i comportamenti: verso Dio, un modo; verso gli altri, un altro. Hanno costruito una etica religiosa di riguardo con offerte ai Santi e a Dio e una moralità di compassione per i miseri e la povera gente. Un bel progetto magari assicura luminosità pubblica. Perfino nell’antico testamento, almeno secondo quanto dicono i Profeti, Dio insisteva che non voleva sacrifici ma misericordia; e San Giacomo arriva ad affermare che la vera religione è aiutare le vedove e gli orfani. In che melodia ci mettiamo? Il messaggio della parabola è sorprendente, poiché sovverte l'ordine stabilito dal sistema religioso vigente: chi non ha carità è certamente escluso. L'errore del fariseo è quello di credersi giusto anche se non è buono con gli altri. Questa parabola proclama pertanto la misericordia come valore fondamentale del Regno di Dio. La parabola ci mette in crisi. Il fariseo era convinto di essere un benefattore perché a Dio pagava tutto il dovuto secondo la legge, quindi era a posto e non c’era bisogno di altro. Anzi si sentiva autorizzato a disprezzare, diciamo odiare, la gente che non faceva come lui. Era entrato nel tempio per lodare Dio e ringraziarlo di averlo salvato, perfezionato, costruito proprio bene. Era arrivato nel recinto della preghiera per dare a Dio la giusta lode. Ma non viene ascoltato perché la sua gloria diventa boria.
La parabola ci anima a sentire antipatia per un fariseo ridicolo e simpatia per un peccatore pentito. Il pubblicano chiedeva perdono e il fariseo offriva incenso. Il fariseo voleva amare Dio da solo. Il pubblicano chiedeva di essere amato da Dio, disposto a ricevere l’amore divino. Mi fa venire in mente un insegnamento formidabile di San Giovanni, prima lettera, capitolo quarto, versetto 10 e 11. “In questo sta l’amore: non noi abbiamo amato Dio, ma egli ha amato noi e ha inviato il suo figlio come propiziazione per i nostri peccati. Carissimi se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri”.