Una fede piccola diventa grande con la carità
Ab 1,2-3. 2,2-4. Il Profeta lamenta l’abbandono di Dio. Yahvè risponde che “il giusto vivrà della sua fede”. Direi che il giusto sa vivere se il riferimento è la fede, se guarda con la fede.
2 Tm 1,6-8.13-14. Timoteo è invitato a ravvivare il dono ricevuto per il servizio in comunità.
Lc 17,5-10. Gli Apostoli si sentivano incomodi perché volevano una fede che automaticamente li rendesse idonei alla grandezza di Gesù. La risposta indica una fede come visione per vedere come Gesù agisce per amore e avvia alla diaconia con infinita carità.
Dice la Bibbia che un amico è un tesoro e noi diciamo che gli amici servono quando siamo nei guai. Ci domina il senso della utilità. Il lavoro, la formazione, la casa, le amicizie, i favori debbono rendere. Sono necessità che diventano palesi anche quando si sfruttano piccole cose gratuite: un abbraccio, un sorriso, un saluto cordiale. Il problema comincia quando il criterio di utilità si vuole applicarlo nel terreno della fede e allora arriva una specie di delusione perchè la fede non rende vantaggi, non è redditizia e qualora succeda capiamo che non è fede. Almeno nel senso materiale e economico. La fede diventa redditizia per altri benefici e altri valori. Gesù parla di persecuzione, di croce e i suoi servi non possono reclamare niente. Anzi dopo aver fatto quello che dovevano debbono solo ritirarsi in santa pace e dire: siamo servi inutili. Possiamo concludere subito che la fede è un impegno, non è un titolo. La fede è un servizio, non è una dignità da ostentare. Se dico che ho fede è solo per informare cosa sono disposto a fare altrimenti non nominarla la fede. Purtroppo facciamo fatica a convincerci e pensiamo che con qualcosina di più potremmo ottenere buoni risultati o almeno, un trattamento favorevole. Se poi cerchiamo alleanze di qualche santo miracoloso siamo disposti a tutto a cambio di qualche favore. Certamente la fede è redditizia ma per gli altri per la chiesa “Corpo di Cristo”, per i poveri, i piccoli, i feriti, i maltrattati, gli ammalati. Dichiarare di aver fede è come affermare di essere volontario per un lavoro gratuito e non riconosciuto. Ecco perché dopo che gli apostoli chiedono: “aumenta la nostra fede”, Gesù fa il discorso del servitore, che in greco si chiama “schiavo”. E in effetti chi si dedica a un ammalato inguaribile diventa come uno schiavo che consegna vita e morte propria, nelle mani di chi è servito. Maria Santissima, l’annuncio dell’Angelo, lo crede e risponde: “qui c’è la schiava del Signore si faccia secondo la tua parola”. Con la fede ci avviciniamo al Signore non per il cammino di quello che possiamo ottenere da lui, ma per il cammino di quello che possiamo dare e mettere a sua disposizione, per il servizio che lui vuole.
Il tema della fede mi fa pensare molto e ad essere sincero mi mette anche a disagio. Se non avessi la fede come sarei? Alcuni pensano che non avere fede vuol dire non andare più a Messa, non ricevere i sacramenti, non confessarsi più, non pregare, non frequentare la chiesa, non avere devozioni. Allora che differenza si deve notare tra avere fede e non averla? Diceva Sant’Agostino: se la fede diventa incerta la carità diventa fiacca. Basta un briciolo di fede per voler bene con gratuità, continuare a condividere la vita e tendere la mano a chi ci sta accanto, anche se non ci sono risposte.