Is 40, 1-5.9-11
Sal 84
2Pt 3,8-14
Mc 1, 1-8
«Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion;
alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme.
Alza la voce, non temere;
annunzia alle città di Giuda:
“Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore viene con potenza”» (Isaia)
Vengono in mente persone bruciate dal desiderio di “fare di tutto” perché Gesù e il suo vangelo siano annunciati a tutti, in ogni modo. Questo Avvento avvia già l’anno liturgico del 2006, nel quale si ricorderà il cinquecentesimo anniversario della nascita del grande missionario Francesco Saverio, che voleva correre ovunque, evangelizzare, percorrere le università dell’Europa per “gridare” come spendere al meglio la propria vita, portando l’annuncio del vangelo in ogni parte del mondo. Questo richiamo è risuonato spesso anche sulla bocca e sulla penna di Giovanni Paolo II, avvertendo che la Missione ad gentes è ancora agli inizi, «il numero di coloro che ignorano Cristo… è in continuo aumento». Per cui i cristiani che hanno dal Signore il compito di portare a tutta l’umanità, in ogni parte del mondo, l’annunzio che è amata dal Padre e per per essa ha inviato il suo Figlio, non possono starsene tranquilli (cf. RM 3, 40).
Noi posiamo affrettare o ritardare «il giorno del Signore» (II lett.), cioè il compimento della salvezza, l’avvento del regno di Dio, il radicamento sulla terra degli ideali di giustizia e pace, misericordia e verità (salmo). I muri da noi innalzati impediscono l’affermarsi della fraternità, l’estinzione dell’odio, il disarmo della vendetta con il perdono, la trasformazione delle armi in pacifici strumenti di lavoro. Le tortuosità oscurano la trasparenza nelle relazioni interpersonali, danno spazio alla menzogna, ostacolano l’affermazione della verità.
Non bastano esortazioni e comandi a suscitare questo impegno. Deve partire da convinzioni interiori, soprattutto dall’incontro con Cristo, dall’amore appassionato per lui. Gesù e il vangelo sono una cosa sola. Non c’è uno senza l’altro. Quest’anno ci viene presentato il vangelo di Marco, di cui oggi è proclamato l’inizio, che usualmente viene tradotto così: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio», che si dovrebbe esprimere in modo più appropriato con: «Inizio del Vangelo che è Gesù Cristo». Vangelo non è un libro, non è biografia o racconto, ma un «lieto annunzio», una «buona notizia». E la bella notizia è Gesù. Il Regno di Dio è lui. «La forza e il segreto dell’efficacia della sua azione sta nella sua totale identificazione col messaggio che annunzia» (RM 13). Quando è così, si “grida” il vangelo con la propria vita, e con una efficacia unica.
Giovanni Battista testimonia oggi questa urgenza. L’attrazione che egli ha esercitato, più che dalle parole e dal suo aspetto austero, deriva dalla sua piena identificazione con il compito che gli è stato affidato: preparare la strada, l’ambiente, un popolo ben disposto ad accogliere Cristo. Non è lui l’Inviato, come alcuni erano tentati di credere, ma il messaggero di uno che verrà dopo di lui. Non è lui l’atteso, lo sposo che tutti aspettano, ma il suo amico che ne prepara l’arrivo. Non rivolge quindi l’attenzione a se stesso, non raccoglie discepoli per sè, tutto è in funzione dell’Inviato del Padre, Gesù. Pur conservando una sua forte, caratteristica personalità, egli si è spogliato di sè per diventare soltanto “voce”, ma una voce che grida con la sua testimonianza di vita, messaggero di colui di cui annuncia la venuta. In lui si intravedono i caratteri del missionario, al quale Gesù stesso raccomanda di avere una sola preoccupazione: annunciare il regno, lasciando tutti: «borsa, bisaccia, sandali…», patria, casa, parenti (cf. Lc 10, 4).
Per tutti vale l’invito a raddrizzare i sentieri, nel proprio ambito di azione, nella propria scelta vocazionale, per facilitare a se stessi e a chiunque con si viene a contatto l’incontro con il Signore oggi.
P. Gottardo Pasqualetti, imc