La paralisi impedisce di agire, camminare, parlare; è simbolo di ciò che immobilizza e non fa andare incontro a Dio e ai fratelli, toglie il coraggio di proclamare la verità, trattiene dal fare il bene e dall’impegno per la giustizia, la difesa di chi è oppresso e calunniato. Il miracolo compiuto da Gesù prova che dal peccato dalle molte sfaccettature egli può e vuole liberare. Ha il potere di farlo perché è stato mandato nel mondo per operare una riconciliazione universale. Nel nuovo testamento ritorna come un ritornello l’assicurazione che «egli è la nostra pace», colui che ha abbattuto i muri di separazione fra popolo e popolo, ha distrutto l’inimicizia. «Egli è venuto per annunziare la pace ai vicini e ai lontani», cioè a tutti (cf. Ef 2, 14-18). Lo ha proclamato e lo ha fatto. Ha detto al Padre quel “sì” di obbedienza che in nessun altro Dio ha trovato. Un “sì” che colma l’abisso di divisione che si è creato con la disobbedienza di Adamo, del popolo eletto nelle sue in fedeltà all’alleanza, dell’umanità, di ognuno di noi: «in lui hai ricostruito l’alleanza distrutta dalla disobbedienza del peccato» (pref. dom. VII).
Dio vuole la comunione con tutti e fra tutti. Gesù ha portata compimento questa volontà di riconciliazione con la morte e risurrezione: «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia» (1Pt 2,25). Infatti, «col sangue versato sulla croce pacificò il cielo e la terra… ed è causa di salvezza eterna per coloro che ascoltano la sua parola» (pref. comune I).
Non solamente in occasioni come quella narrata dal vangelo di oggi, ma tutta la vita di Gesù è un continuo e incessante appello a convertirsi a Dio per essere liberati dal peccato. E ne ha dato prova accogliendo i peccatori, riconciliandoli con il Padre e invitandoli a guardare avanti, alla possibilità di rinnovare la propria vita: «Va, e non peccate più» dice all’adultera che egli sottrae alla lapidazione. E Paolo conferma: «dimentico del passato, mi protendo verso l’avvenire». Da ogni caduta egli ci rialza e invita a riprendere il cammino. Il suo perdono non è una semplice cancellazione della colpa, è una nuova creazione, come insinua lo stesso Isaia: «Non ricordate più le cose passate… Ecco io faccio una cosa nuova». Ci riapre una strada, ci offre una nuova possibilità.
Perdonati, ci si deve comportare nello stesso modo nei nostri rapporti: perdonare senza fare calcoli e senza eccezioni, ma con larghezza d’animo e con la comprensione di Dio. Diceva S. Tersa che ci stanchiamo prima noi di peccate che lui di perdonare! E dal suo perdono deriva pure l’impegno di contribuire a creare ambienti di riconciliazione in cui con il dialogo, la preghiera, la celebrazione dei sacramenti, si stabiliscono nuovi rapporti, superando tensioni, odi, propositi di vendetta. Come il paralitico portato da altri a Gesù, ci sosteniamo e aiutiamo a vicenda. In un mondo di violenza, lacerato da lotte e discordie, con l’aiuto dello Spirito Santo, si devono trovare le vie perchè «i nemici si aprano al dialogo, gli avversari si stringano la mano e i popoli si incontrino nella concordia». Così, «la ricerca sincera della pace estingue le contese, l’amore vince l’odio e la vendetta è disarmata dal perdono» (PE della riconciliazione II). Questo è il “cammino” e l’impegno del cristiano. Impariamo da iniziative delle Chiese di altri continenti. Tribolate da situazioni di guerriglia, divisioni e discriminazioni, come un Sud Africa o in Colombia, hanno saputo impostare programmi di riconciliazione e di superare pericoli e tentativi di violenza.
Is 43, 18-19.21-22.24-25
Salmo 40
2Cor 1, 18-22
Mc 2, 1-12