1. Gesù in mezzo a noi
Il giorno stesso della Risurrezione, Gesù mantiene una delle sue più importanti e consolanti promesse: “Quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Gesù Risorto rassicura i propri discepoli che d’ora in avanti non saranno mai più soli. Basta anche un piccolo numero di essi, riuniti nella preghiera o nell’ascolto della Parola, per assicurare questa presenza viva di Gesù. È una consolante certezza che rende viva la nostra fede: basta volerlo ed è così!
Gesù appare ai discepoli radunati nel Cenacolo e li saluta col classico “Shalom!”. Non tanto il saluto, quanto la sua persona infonde loro pace, gioia, serenità, coraggio e vittoria sulle paure passate. Altrettanto dovrebbe avvenire ogniqualvolta i credenti si radunano nel nome del Risorto. Se ciò non avviene significa che forse non siamo ancora strettamente uniti “nel suo nome”.
Perché non cominciamo ogni nostra eucaristia, ogni nostro incontro di fratelli, col richiamarci l’importanza di tenere viva la presenza del Risorto? Gesù ha tanto da darci se solo avessimo la fede sufficiente da assicurare la sua presenza tra noi…
2. Come il Padre ha mandato me, così anch’io invio voi
Il Figlio, compiuta la sua missione, si rende presente ai fratelli affinché, ricevendo il dono dello Spirito Santo, si facciano portatori dell’amore del Padre suo e loro a tutto il mondo. Gesù ha “compiuto” la sua ora, ora tocca ai discepoli e alla Chiesa, vivere la propria. È l’ora della missione.
La missione che Gesù affida ai suoi non è qualsiasi missione, ma la stessa che Lui ha vissuto, quella che ha realizzato lavando i piedi ai discepoli e dando la sua vita al mondo: “Io vi ho dato un esempio, perché facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13, 15) e poi, più avanti: “Vi do un comandamento nuovo: amatevi come io vi ho amato! Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se vi amate gli uni gli altri” (13, 34-35). Chi è mandato, è chiamato a fare esattamente come ha fatto lui: lavare i piedi, compiere le sue opere, realizzare il destino del chicco di grano che cade in terra per realizzare vita nuova.
L’invio rende gli inviati simili a colui che invia: “chi accoglie uno che è mandato da me, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie il Padre che mi ha mandato” (13, 20). Gesù sa che i suoi discepoli non sono “superuomini”. Continuano ad essere fragili, deboli, forse anche paurosi. Però ora, dopo la Risurrezione, noi abbiamo Lui con noi, assieme al suo Spirito e così possiamo esclamare con l’apostolo Paolo: “Io mi vanto volentieri delle mie debolezze, perché la potenza di Cristo agisca in me” (2Cor 12, 9).
3. Un cuor solo e un’anima sola
La prima lettura, tratta dal Libro degli Atti (4, 32-35), ci descrive, a grandi tratti, la fisionomia della prima comunità cristiana, quella che è nata dalla Risurrezione del Signore e dalla discesa dello Spirito Santo. Erano una “moltitudine”, eppure avevano “un cuore solo e un’anima sola”: vale a dire che essi erano uniti nell’amore, non in maniera episodica, marginale. Cuore e anima indicano il centro vero e proprio della persona umana, la parte più interna dell’uomo, l’io personale che si esprime nella vita. Questa fondamentale comunione e fusione di animi, avrebbe condotto poi anche la comunione dei beni.
“Ogni cosa era fra loro comune”: è la conseguenza della comunione interiore, del sentirsi un solo corpo. Questa koinonia è dono dello Spirito ed è fondata sulla comune fede nella risurrezione. Non si tratta solo di condividere con altri i beni materiali, ma di rendere più perfetta la comunione fraterna e l’ideale della carità.
I primi capitoli degli Atti degli Apostoli illustrano poi i motivi che rendevano possibile l’unità della prima comunità e rivelano il segreto del suo dinamismo missionario (Cfr. Atti 2, 42-47):
- Era comunità animata dallo Spirito Santo;
- Erano attenti all’insegnamento degli Apostoli;
- Celebravano assieme l’Eucaristia;
- Erano assidui alla preghiera comune.
At 2, 32-35;
1 Gv 5, 1-6
Gv 20, 19-31