È il libro della Sapienza che ci introduce alle letture di questa domenica con la domanda: “Chi può conoscere le intenzioni, la volontà di Dio?” Già abbiamo le nostre difficoltà a vivere una vita minimamente “sensata e saggia” qui sulla terra, dice l’autore del testo, è ancora più difficile elevarci quindi al livello di Dio, della sua volontà e dei suoi progetti. Secondo l’Antico Testamento però questo dilemma è superabile attraverso il dono appunto della Sapienza. È la Sapienza, emanazione di Dio, che conduce quasi per mano l’umanità ad incontrare, conoscere e fare propria la volontà di Dio. Secondo il credente dell’Antico Testamento questo è un dono da ricercare, da chiedere e da conservare gelosamente perché “l’uomo saggio” riceve stima da Dio e dagli uomini.
Per noi cristiani la Sapienza non è più e solo un’indefinita emanazione di Dio ma ha preso carne in Gesù. È lui la Sapienza rivelata, che svela all’uomo la realtà di Dio superando ogni altra rivelazione. In Gesù con chiarezza riusciamo a vedere e a toccare con mano la volontà e il progetto di Dio sull’umanità. E allora più questo Gesù lo conosciamo, più riesce a parlare alla nostra vita, più la sua presenza si dilata nella nostra realtà e più noi siamo da lui “messi dentro” la realtà e la sapienza di Dio.
Nasce qui una domanda di fondo: come seguire allora Gesù? Come essere suoi discepoli? Come conoscere il Padre seguendo le orme di Gesù? Il brano di Luca di questa domenica ci indica una serie di atteggiamenti che definiscono appunto il vero discepolo.
C’è una massa di gente che segue Gesù, ci dice il brano odierno. Ognuno di loro poteva avere la sua ragione per farlo: chi probabilmente era interessato alla novità del suo insegnamento, chi voleva vedere miracoli, chi magari voleva ottenere qualcosa per se stesso.... Sono atteggiamenti che si ripetono nel tempo. Ma Gesù a tutti prospetta lo statuto particolare e specifico del vero discepolo che lo distingue dal resto della folla. Cerchiamo di capirne i contenuti:
A) Il vero iscepolo è l’uomo libero.
Ma libero da che cosa?
- Dai legami di sangue e di parentela prima di tutto. (Nel mondo occidentale questo può dire poco o niente ma nella maggioranza delle culture semi o tradizionali sappiamo quanto la famiglia, il clan conti per la propria identità e sopravvivenza....)
- Ma il discepolo è anche libero da se stesso, dai propri mondi ristretti, dalle proprie progettualità, dall’attaccamento alla propria vita....
- Infine il discepolo deve sentirsi libero anche dalle cose, dice con chiarezza il v 33.
Quindi il discepolato ha il suo punto di inizio in un grande atteggiamento di libertà interiore ed esteriore.
Ma questo non basta. Gesù aggiunge un ulteriore qualità:
B) E chi non porta la sua croce e non viene dietro di me.... Quindi la libertà del discepolo è funzionale al seguire le orme del maestro, pronti cioè a dare la vita come lui. Libero da tutto per essere tutto di Cristo, questo è il vero discepolo.
Da queste parole di Gesù si intuisce come essere discepoli richieda una radicalità grande. Certo la tentazione nostra è di sminuire, cercare scorciatoie, favorire atteggiamenti minimalisti, giustificare compromessi. Per mille e una ragione tendiamo cioè ad innacquare il tutto. Ma le parole di Gesù sembrano chiare.
C’è anche una evidente tentazione nella comunità cristiana di applicare questo statuto del discepolo a gruppi particolari: religiosi, persone consacrate o altre. Di fatto Gesù parlava alla folla dove ci saranno state si delle persone più direttamente collegate con attività religiose ma la maggioranza era gente del popolo, gente comune. Quindi queste parole sono per tutti quelli che si dicono cristiani e quindi discepoli del Signore.
La difficoltà di essere fedeli a questo programma è fin troppo evidente. Gesù con due semplici parabole, quella di chi vuole costruire una torre e del re che parte per la guerra, mette in guardia tutti. Se essere discepoli del Signore è cosa tutt’altro che facile è bene riflettere un attimo sulle qualità richieste per non costruire sulla sabbia, per non agire con facile entusiasmo e per non essere sopraffatti dalle prime difficoltà che si incontrano.
Guai a noi se ci fermassimo però solo alle difficoltà. Le ricadute positive della vita del discepolo sono grandi e ben visibili: una persona libera e liberata, che vive la vita di ogni giorno come tante altre persone di questo mondo, ma che dentro ha una ricchezza grande, sa guardare alle cose in profondità quasi come con gli occhi di Dio, ha prospettive lunghe che non annegano nel contingente, ha sempre una parola di saggezza da offrire, con la forza della fede sa superare i limiti di ogni condizione umana. Basterebbe guardare alla vita dei santi per renderci conto di tutto questo. (Per noi missionari della Consolata un esempio è il nostro fondatore, il b. Giuseppe Allamano!!).
Un’ultima breve parola sul brano della lettera a Filemone nella quale Paolo, prigioniero a Roma, annunzia il ritorno dello schiavo fuggiasco Onesimo convertito da Paolo stesso. L’invito è di accoglierlo non più come schiavo ma come fratello. Paolo non solo fonda comunità ma ne segue le vicende quotidiane anche a distanza con una attenzione tutta paterna. I singoli membri poi non restano fuori dalla sua preoccupazione. È bello questo atteggiamento che guarda all’insieme senza dimenticare il particolare. È un atteggiamento da far crescere nelle nostre comunità cristiane (ma anche religiose), sopratutto quelle più toccate dalla “modernità”. La gente oggi sembra cercare parole e risposte personalizzate che sappiano parlare e dire qualcosa alla loro vita. Se non le trova nella Chiesa, cercherà altrove...
Sap 9, 13-18;
Sal 89;
Fm 9b-10. 12-17;
Lc 14, 25-33