Immacolata Concezione della B. V. Maria

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{mosimage}Maria, la bellissima per grazia

La prima lettura ci ricorda che il peccato è una realtà drammatica: allontanandosi da Dio, l’uomo perde la sua familiarità con Lui (Gen 3,8-10), ma anche la sua armonia con la natura (Gen 3,17-19), il suo equilibrio di coppia(Gen 3,16), l’immortalità (Gen 3,22).

Di fronte a tali nefasti effetti del peccato, sorge spontanea una domanda: ma perchè Dio non ha creato l'uomo così che gli fosse impossibile peccare? Giovanni Crisostomo dice che se Dio, prevedendo la possibilità del male, non avesse creato l'uomo, si sarebbe arreso di fronte ad esso, riconoscendolo più forte di lui.

Altri teologi rispondono in chiave cristologica: “L'ineffabile grazia di Cristo ci ha dato beni migliori di quelli di cui l'invidia del demonio ci aveva privati” (Leone Magno); “Nulla si oppone al fatto che la natura umana sia stata destinata ad un fine più alto dopo il peccato... «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20). E' il canto dell'Exultet: «O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore! »” (Tommaso d'Aquino).


Notiamo subito infatti che, dopo il primo peccato, il serpente (Gen 3,14) ed il suolo (3,17) vengono maledetti, ma non l'uomo. Anzi, mentre sentenzia il castigo del peccato, Dio subito preannuncia la salvezza: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gen 3,14-15).

Nella promessa che “la stirpe” della donna “schiaccerà la testa” al serpente i Padri della Chiesa hanno sempre letto il “Protovangelo”, il primo annuncio messianico: un discendente di Eva porterà la vittoria definitiva sul male.

La seconda lettura (Ef 1,3-6.11-12) ci ricorda che da sempre Dio ci ha predestinati alla salvezza nel suo Figlio Gesù. Ma che cosa significa “predestinazione”? E’ questo un tema che coinvolge ovviamente la missionarietà della Chiesa, perché se siamo convinti che solo alcuni sono chiamati alla salvezza allora non ha più senso impegnarsi per diffondere il Vangelo. Certamente, i cristiani sono “elektòi”, “eletti”, cioè chiamati da Dio secondo un suo disegno di salvezza. “Nessuno viene a me se il Padre mio non l'attira” (Gv 6,44): la chiamata è sempre un dono! Ma Dio chiama tutti gli uomini: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4)! Per Paolo la predestinazione è un mistero di gioia. Agostino invece intende che tutti siamo “massa dannata”, e l'uomo deve sempre vivere nel timore se sarà tra i salvati oppure no.

Il vescovo Cipriano (210-258) enunciò il famoso principio: “Extra ecclesia nulla salus”: “Non è infatti possibile avere Dio come Padre se non si ha la Chiesa come madre”. Al Concilio di Firenze (1442) si arrivò a dire: “La Chiesa crede e annuncia che nessuno fuori della comunità cattolica (ndr: non solo pagani, ma anche ebrei, eretici e scismatici) potrà raggiungere la vita eterna, ma andrà nel fuoco eterno... se prima della morte non sarà ad esso unito”. Dopo il 1492, la scoperta dell'America, con la constatazione che tanti popoli non avevano mai conosciuto il Signore e che pertanto non potevano essersi tutti dannati, tale principio cominciò a sgretolarsi.

Anche i pagani sono figli di Dio: “un solo Dio e Padre di tutti, Colui che è al di sopra di tutti e mediante tutti e in tutti” (Ef 4,6). “La novità del messaggio cristiano è che Gesù è venuto, nella pienezza dei tempi (Gal 4,4), a rivelare una situazione che esisteva da sempre, ma non era conosciuta: tutti gli uomini sono figli di Dio, e non solo gli ebrei” (P. Ottaviano). Scrive Paolo: “Penso che abbiate sentito parlare del mistero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio... Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito; che i gentili cioè sono chiamati, in Gesù Cristo, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo... Per questo, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome... Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori” (Ef 3,2-17). Dio ci ha quindi salvati in Cristo da sempre e “indipendentemente dalla risposta dell'uomo” (P. Ottaviano) (Rm 16,25-27; 2 Tm 1,9-11; 1 Pt 1,10-12.19-21; 2 Pt 1,3-4): e ha salvato tutti, senza discriminazione di persone (2 Cr 19,7; At 10,34-35; Rm 2,11; Ef 6,9; Col 3,25; 1 Pt 1,17). “Il Figlio di Dio..., fatto uomo dalla Vergine, assunse in sé la natura della carne, affinché per tale intima unione il corpo di tutto il genere umano fosse in lui santificato; affinché tutti, come li volle incorporare in sé per la sua corporeità, così fossero a lui legati in ciò che in lui è invisibile” (Ilario di Poitiers). “L'unica differenza tra i cristiani e i non cristiani sta nel fatto che i cristiani sanno che le cose stanno così, mentre gli altri non lo sanno. In questa economia di salvezza che noi conosciamo, l'unica umanità esistente è quella elevata all'ordine soprannaturale, l'umanità- figlia, l'umanità conformata in Gesù Cristo” (Card. G. Saldarini).

Occorre dunque distinguere tra predestinazione alla vita eterna, che è per tutti: ciascuno è libero di accettare o respingere, nel suo profondo, questa chiamata: “Ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso” (Rm 4,12). E predestinazione alla fede cristiana esplicita, che è riservata ad alcuni: ad altri il messaggio non giunge o non arriva in maniera credibile. Qui non possiamo sindacare noi, miseri “vasi d'argilla”, il parere del “Vasaio” (Rm 9,14-24)...

Il battesimo quindi non ci “fa” figli di Dio, ma è il “segno” (tale è il significato di “sacramento”), la proclamazione che siamo figli di Dio. Certo, l'uomo può accogliere o rifiutare il dono di Dio: ma questo resta sempre a sua disposizione, in ogni momento. Il Battesimo quindi non è per la salvezza, ma per la missione, per “rendere conto della speranza che è in noi” (1 Pt 3,15).

Il racconto lucano dell’annunciazione (Lc 1,26-38) è un “midrash”, cioè una riflessione sapienziale che affonda le sue radici in vari modelli anticotestamentari (i racconti di vocazione, il genere apocalittico di Daniele ai capp. 8-10, il tema della Nube – Spirito – Presenza di Dio, gli annunci profetici della salvezza alla figlia di Sion…).

Maria è l’incarnazione dell’Israele antico che deve “rallegrarsi” (il “Chàire” greco deve tradursi non tanto come un saluto, “Ave”, ma come “Gaude!”, “Gioisci!”), perché è giunto il Messia. Ella è la “kecharitòmene”, non la “piena di grazia” (sarebbe stato: “plerès charitòs”, come in At 6,8, riferito a Stefano), ma la “graziata”, resa favorevole ed amabile, oggetto della misericordia di Dio, salvata per amore. Maria è Israele scelto per benevolenza (Os 11,1.3-4), l’eletto reso bello per dono divino (Ez 16,8-14; Os 2,21-22). Questa bellezza di cui è colmata per grazia ci richiama la figura di Eva, la prima delle “madri” di Israele, che i rabbini, parafrasando Gen 2,22, descrivevano come splendida, agghindata di meraviglie da Dio per essere presentata ad Adamo. Questa bellezza, perduta con il peccato, era rimasta riflessa in Sara la bellissima, in Abisag la Sulamita di Davide (1 Re 1,4), nella madre dei Maccabei, ma ritorna pienamente nell’Israele fedele che nel giardino del Sinai accoglie nell’obbedienza la Torah: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo” (Es 19,8): in tale occasione il popolo che, secondo la tradizione ebraica, era di minorati fisici, perché oppressi dalla schiavitù, diventa la Sposa bella e senza macchia del Cantico dei Cantici, baciata da Dio con il dono della Legge (Ct 1,2).

Maria, dirà Giustino già nel II secolo, è la nuova Eva, che con il suo: “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38) è fatta bellissima: e ai piedi dell’albero della Croce che dà vita, sarà costituita “madre” dei discepoli da suo Figlio. Ma è anche il nuovo Israele, baciato dai baci di Dio, la Sposa del Cantico, lei che a Cana ripeterà il “sì” dell’Israele obbediente: “Fate quello che lui vi dirà” (Gv 2,5). Ed è figura della Chiesa, che nasce dall’obbedienza, è fatta bella dalla sequela, è la Sposa di Cristo, coperta dall’“ombra – nube – Presenza” stessa di Dio; modello di ogni credente, lei che, madre del “Servo di IHWH” (Is 53,5) si fa anch’essa “serva del Signore” (Lc 1,38), per seguirlo sulla via della Croce e del martirio (Lc 2,35).

Oggi ci riuniamo per celebrare l’Eucarestia: “Maria ha esercitato la sua fede eucaristica prima ancora che l'Eucaristia fosse istituita, per il fatto stesso di aver offerto il suo grembo verginale per l'incarnazione del Verbo di Dio… C'è pertanto un'analogia profonda tra il «Fiat» pronunciato da Maria alle parole dell'Angelo, e l'«Amen» che ogni fedele pronuncia quando riceve il corpo del Signore…. Mettiamoci in ascolto di Maria Santissima… Guardando a lei conosciamo la forza trasformante che l'Eucaristia possiede. In lei vediamo il mondo rinnovato nell'amore” (Ecclesia de Eucharestia). E comprendiamo che solo nell’obbediente sequela del Signore trasformeremo il mondo in quella bellezza che oggi contempliamo rifulgere in Maria.


Gn 3,9-15.20;
Sal 97;
Ef 1,3-6.11-12;
Lc 1,26-38
Last modified on Thursday, 05 February 2015 20:12
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