IV Domenica di Avvento - A

Published in Domenica Missionaria
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"Il Dio con noi"
Is 7,10-14;
Rm 1,1-7;
Mt 1,18-24

L’amore di Dio verso gli uomini è fedele e tenace: Dio è l’innamorato che vuole incontrare la sua innamorata, il suo popolo. Lo ha promesso a Davide, assicurandogli un discendente di cui Dio stesso “sarà padre, ed egli gli sarà figlio” (2 Sam 7,12-16). Ma quando la dinastia davidica è in pericolo, perché i re di Aram e di Israele vogliono proclamare re in Giuda il figlio di Tabael, probabilmente un arameo della corte di Damasco (Is 7,1.4-6), il re Acaz (736-713 a. C.), invece di chiedere aiuto a Dio, immola il suo primogenito agli idoli (2 Re 16,3), e poi ricerca l’alleanza dell’Assiria (2 Re 16,7). Nella prima lettura odierna (Is 7,10-14), Isaia offre al re un segno della presenza di Dio al suo fianco, ma il sovrano non ha fede nel Signore e rifiuta: nonostante il peccato dell’uomo, il profeta ribadisce la promessa di un discendente davidico che sarà il “Dio con noi”.

Paolo, nella seconda lettura (Rm 1,1-7), ricorda che quanto era stato annunciato dai profeti si è compiuto in Gesù Cristo, nostro Signore, Figlio stesso di Dio. E il Vangelo (Mt 1,18-24) ci racconta il concepimento di Gesù in maniera soprannaturale nel seno della vergine Maria, per opera dello Spirito Santo.

Nel vangelo dell’infanzia di Matteo, Giuseppe è la figura centrale e attiva. Egli è il destinatario della rivelazione che perviene a lui attraverso l’apparizione di un angelo nel sogno, modo biblico per indicare una rivelazione divina. La “tardemah”, il sonno estatico e profondo, spesso nella Bibbia è proprio il modo per esprimere un intervento soprannaturale (cfr Gen 2,21; 15,12; 20,3; 26,24; 28,10-22; 31,24; 1 Re 3,5; Gb 33,15; Mt 1,20; 2,12-13.19.22).

Il diritto matrimoniale ebraico distingueva tra il fidanzamento (“erusin”) e le nozze (“qiddushin” o “santificazione” del matrimonio), entrambi già impegnativi. Giuseppe è chiamato “giusto” perché da una parte è desideroso di osservare la legge (che obbligava il marito a sciogliere il matrimonio in caso di adulterio: Maria, infatti, era incinta) e, dall’altra, mitiga con la magnanimità il rigore della legge (evita di esporre sua moglie alla pubblica diffamazione).

Ma Giuseppe è anche “giusto” perché constatando una presenza di Dio, un’economia superiore, si ritira di fronte ad essa, senza pretese. “Giusto” ha così il senso tipico di Matteo, cioè accettazione del piano di Dio anche là dove esso sconcerta il proprio.

La nascita di Gesù è collocata all’interno del grande disegno divino della salvezza, già annunziato ai profeti e già in atto nella prima alleanza con Israele: questo è lo scopo della citazione di Isaia 7,14: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi” (Mt 1,23), che Matteo colloca a questo punto del racconto. Non per nulla il nome di Gesù rimanda al verbo ebraico “salvare”, come puntualizza l’angelo (1,21), e a lui si adatta in pienezza il titolo di Emmanuele, cioè “Dio-con-noi”. “La verginità di Maria ha anch’essa, prima di tutto, una funzione cristologica. Sulla linea della sterilità delle donne dell’antica Alleanza, essa è il segno che mette in luce l’azione divina nel piano della salvezza” (O. Da Spinetoli).

L’espressione “Dio con noi” la ritroveremo alla fine del Vangelo di Matteo: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (28,20). Gesù continua ad essere il Dio con noi. Il vangelo di Matteo non perde occasione per dirci i luoghi privilegiati della presenza del Risorto: nella comunità radunata nel suo nome (18,20), negli apostoli missionari (10,40), nei fratelli bisognosi (25,31), nella Chiesa che predica (28,20).

La presenza di Dio in mezzo a noi, realizzata con l’Incarnazione, continua oggi in vari modi, ma soprattutto nell’Eucarestia: “Tale presenza si dice <<reale>> non per esclusione…, ma per antonomasia perché è sostanziale, e in forza di essa, infatti, Cristo, Uomo - Dio, tutto intero si fa presente” (Paolo VI, Mysterium fidei).

“Il corpo Eucaristico è… il corpo del Bambino nel presepio, il corpo che soffre la passione sulla croce…, il corpo risorto e glorificato. E quando si dice <<corpo>>, bisogna intendere l’umanità integrale. Dopo la resurrezione e l’ascensione, questa umanità di Dio congloba il mondo intero e lo trasfigura segretamente. Invero già il corpo storico di Gesù, pur lasciandosi, per follia d’amore, contenere da un punto nello spazio, in un breve momento del tempo, conteneva in realtà lo spazio e il tempo, perché non era il corpo di un individuo decaduto, che frantuma la natura umana per appropriarsela, ma il corpo di una Persona divina che assumeva questa natura, e tutto l’universo, per offrirli… Ciò che l’Eucarestia ci comunica è codesta umanità e codesta creazione” (O. Clément). E’ il Gesù che ha assunto pienamente l’umanità in Maria che incontriamo nel mistero eucaristico: non esiste un Cristo eucaristico diverso dal Cristo storico.

Ma se importante è la Presenza di Gesù nell’Eucarestia, altrettanto lo è la sua Presenza nella Parola. “Non vi è nulla nella Scrittura che non faccia risuonare Cristo” (S. Agostino); perchè “le Scritture sono Lui” (Ireneo di Lione). Per questo così si esprime il Concilio Ecumenico Vaticano II: “Il Sacro Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli... ad apprendere <<la sublime scienza di Gesù Cristo>> (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. <<L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo>> (S. Girolamo)” (Dei Verbum, n. 25). Dice Girolamo: “Noi mangiamo la carne e il sangue di Cristo nell’Eucarestia, ma anche nella lettura delle Scritture... Io ritengo l’Evangelo corpo di Cristo”; e Ignazio di Antiochia: “Noi dobbiamo accostarci alla Scrittura come alla carne di Cristo”; e Massimo: “Il Verbo per mezzo di ogni parola scritta nella Bibbia diventa carne”; e Cesario d’Arles: “Chi ascolta in modo non attento sarà colpevole quanto colui che avrà lasciato cadere negligentemente per terra il Corpo del Signore”. Per questo i Padri parlano di “spezzare la Parola” così come si spezza il Pane eucaristico.

Un’altra presenza costante di Dio è nei poveri. Qualunque cosa fatta o non fatta ai poveri è fatta o non fatta a Dio. Questa misteriosa immedesimazione è proposta con forza come metro nei rapporti sociali: “Chi opprime il povero offende il suo Creatore, chi ha pietà del misero lo onora” (Pr 14,31); “chi deride il povero offende il suo Creatore” (Pr 17,5). Nel Nuovo Testamento viene ribadito che il Signore si identifica con l’affamato, l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me...; ogni volta che non avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25,31-46). A Saulo che va a perseguitare i cristiani di Damasco, Gesù dice: “Perché mi perseguiti? ” (At 9,4), identificandosi personalmente con gli oppressi. Conclude Giovanni: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1 Gv 4,20-21).

Mirabile è la pagina che Agostino, il santo vescovo di Ippona, scrive, commentando il diniego del giovane ricco a dare i suoi beni ai poveri: “Forse se il Signore avesse chiesto espressamente al giovane ricco di affidare a lui, Maestro buono, direttamente, i propri averi, avrebbe anche accettato...; ma ha sentito l’invito a dare ai poveri... e così è rimasto perplesso, confuso. Nessuno esiti a dare ai poveri; nessuno pensi che a ricevere sia colui di cui vede la mano. In realtà riceve colui che ha dato ordine di donare”. Dice Clemente Alessandrino: “Se qualcuno ti appare povero o cencioso o brutto o malato..., non ritrarti indietro...; dentro a questo corpo abitano in segreto il Padre e il Figlio suo che per noi è morto e con noi è risorto”. Quando il grande filosofo francese Blaise Pascal (1623-1662) fu in punto di morte - ci racconta la sorella Gilberte nella “Vita di Pascal”-, non riuscendo più a comunicarsi a causa della patologia da cui era affetto, chiese che gli fosse portato innanzi un povero, per venerare in lui Cristo stesso.

I poveri “per i cristiani sono il segno sacramentale di Gesù, il Servo del Signore che si è spogliato della sua dignità divina fino a essere uno schiavo ed è sceso nella sofferenza e nella morte vergognosa e ingiusta rimettendo la sua causa a colui che giudica con giustizia e che l'ha rialzato da morte” (E. Bianchi). I poveri sono quindi il sacramento vivente di Cristo, l'icona oggi della sua Passione e della sua Croce. Ed è nei poveri che si incontra Gesù sulle strade della vita.

“E' stando con i poveri e lasciandoci convertire da loro che si può sentire, nel frastuono del consumismo, dell'arrivismo, della competizione, la voce di Dio che parla nella voce e nella carne degli scartati dalla nostra economia. Dio sta dove nessuno penserebbe di trovarlo: nella passione dei poveri; e in loro e con loro vuole costruire il suo Regno” (A. Agnelli).

Last modified on Thursday, 05 February 2015 20:12
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