(forma breve Mt 27, 1-54)
La domenica delle Palme o della Passione, inaugura la settimana santa. Se, da una parte è caratterizzata dall'umiliazione del “Figlio di Dio” d'altra, non nasconde che siamo alla vigilia di una glorificazione senza tramonto di cui l'ingresso trionfale in Gerusalemme è un segno.
Dai testi biblici Is 50, 4-7; Fil 2, 6-11, che riceve la sua impronta kerigmatica dal vangelo di Matteo Mt 26, 14-27. Vi sono delineati tutti gli elementi del mistero pasquale del “servo di Jahve”. Egli infatti non ha resistito, non ha indietreggiato. Ma ha presentato il suo dorso alle percosse, le sue guance agli strappi; egli non ha nascosto la sua faccia alle ignominie e agli sputi (Is 50, 4-7); Egli spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo (…); umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce perciò Dio l'ha esaltato (Fil 2,6-11). Cosi, il Figlio di Dio, per attualizzare il piano di salvezza voluto dal Padre ha scelto la via dell’umiltà e dell’annientamento attraverso l’obbedienza assoluta e perfetta alla Volontà del Padre.
La narrazione della Passione secondo Matteo intende mettere in evidenza il compimento delle Scritture, cioè presentare l'intero avvenimento della Passione come realizzazione delle profezie vetero-testamentarie. Il continuo riferimento alla Scrittura non è soltanto per esplicitare la portata misteriosa del soffrire e morire di Gesù, ma anche e soprattutto affermare che in Gesù si attuano un piano e una volontà divina. In quest’ ottica, la Passione non ha niente di accidentale, ogni minimo particolare era stato previsto e rientra nel disegno di Dio per la salvezza del mondo.
Sebbene se compisse in Gesù un piano e una volontà divina manifestati attraverso le Parole della Bibbia, per Matteo, Gesù va incontro alla sua passione e morte con piena coscienza di causa e in totale libertà: così dice agli discepoli: “uno di voi mi tradirà”; a Pietro: “mi rinnegherai tre volte” “Ecco, colui che mi tradisce si avvicina”... “Padre, non come voglio io, ma come vuoi tu”... La libertà di Gesù è la sua stessa obbedienza filiale al Padre. Niente, nemmeno il dolore e la morte, possono contrastare e bloccare la libertà-obbedienza di Gesù, il quale non trae argomento dal dolore e dalla morte per contestare o negare la bontà e l'assoluta affidabilità del Padre celeste (GOBBIN).
È in quest’ ottica del compimento delle Scritture che si può capire il titoli con i quali è interpellato o riconosciuto Gesù: “Figlio di Dio”.
“Figlio di Dio”: Questo è titolo che Matteo, nella sua narrazione, ricorda più volte (27, 40.43.54). Matteo, infatti, sottolinea che la passione di Gesù è la passione del “Figlio di Dio”. Colui che soffre e muore è l'innocente Figlio di Dio fatto uomo. Egli soffre e muore non per propri peccati, non per una volontà vendicativa di Dio, ma per la sua libera e amante solidarietà con l'umanità peccatrice.
Il Figlio di Dio, si è messo dalla nostra parte di peccatori, prendendo su di sé il peso dell'ingiustizia, della violenza, della cattiveria umana, fino a morire inchiodato a una croce. Per questo motivo il suo martirio è pegno di guarigione per gli altri. È questo “Figlio di Dio” chi si è fatto servo povero e sofferente di cui ci parla Isaia. È colui che ha presentato “il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che gli strappavano la barba (…); la faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50, 5,7); è colui che attraverso la sua fedeltà nella condiziona umiliata e dolorosa sarà costituito da Dio e riconosciuto come Signore e Giudice universale.
La passione e morte di Gesù, che dobbiamo leggere e meditare in questi giorni, è un cammino di libertà amante di Gesù obbediente al Padre, ma sempre nella solidarietà con l'uomo peccatore. Essa ci rivela l'amore di Gesù verso l'umanità peccatrice. E ad esempio di Gesù, noi dobbiamo essere capaci di spogliazione e di sacrificio per amore degli altri. Dobbiamo donarci. Un donarci che comporta sempre prescindere da noi stessi e rinunciare in un certo qual modo alle sicurezze di cui siamo affezionati senza che ne risentiamo. Anche noi sulla scia del Figlio di Dio, servo sofferente per l'umanità, non possiamo esimerci dal sacrificio da accettarsi con risolutezza e fiducia quando questo si imponga nelle svariate esperienze del dolore o della rinuncia e da interpretarsi come attiva partecipazione al carattere espiativo della croce di Cristo.