Pr 31,10-13.19-20.30-31;
Sal 127; 1
Ts 5,1-6;
Mt 25,14- 30
Ogni volta che leggiamo questo Vangelo, sebbene notissimo e molto spesso utilizzato nei cammini di catechesi, ad un primo impatto si rimane sconcertati, di fronte a quello che sembra a tutti gli effetti un “'elogio del capitalismo e della produttività" da una parte e come la teorizzazione della ricompensa e del castigo da parte di un Dio "duro" e terribile dall’altra.
Ma in realtà il significato profondo è ben diverso e occorre ricercarlo con una lettura più profonda, che vada al di là dell’apparenza.
Nel "rendiconto" dei primi due servi tutto scorre senza intoppi. Essi meritano elogio e premio da parte del padrone che, "dopo molto tempo", ritorna dal viaggio. Ma è a questo punto che la linearità del racconto subisce un brusco arresto. Il comportamento del terzo servo segna non solo una variante, ma una interruzione, una radicale differenza, una svolta.
Egli, a differenza degli altri servitori, per paura, va a nascondere il suo talento sotto terra (v. 25)
E’ questo il momento chiave della parabola, il cuore del messaggio che Gesù vuole trasmetterci: la paura che paralizza.
Qui non si allude a quella "sorella paura" che, per nulla patologica, è una normale compagna di ciascuno/a di noi nel viaggio della vita. Chi non ha paura di perdere gli amici più cari? Chi non ha paura di perdere la persona amata? Chi, di fronte alle attuali difficoltà economiche, alle crisi di tante aziende, non ha paura di perdere il lavoro? O chi, davanti al rischio dei cambiamenti climatici e alle minacce del terrorismo, non teme per il futuro dei propri figli? Esistono paure molto ragionevoli e altre addirittura sagge e costruttive, perché ci rendono capaci di decidere per il bene.
Ma qui si accenna a quella paura che paralizza, blocca la fantasia e la creatività, che impedisce quei tentativi che vanno oltre la routine o il già conosciuto, che proibisce i rischi connessi al "sogno" del regno di Dio.
Se noi non ci spingiamo mai oltre il già detto e il già esperimentato, ci neghiamo le "pagine" più belle della vita personale e collettiva. Chi non tenta strade nuove finisce con il rinchiudere la propria esistenza in una "sicura fortezza" piena di certezze scadute e di monotonia.
Oggi, sul terreno della pace e della giustizia, nelle scelte dei consumi e della sobrietà, sui temi della difesa dell'ambiente, o dell’integrazione e dell’accoglienza, le risposte del passato non bastano più. Occorre tentare strade nuove, correre il rischio dell'invenzione, procedere con coraggio, con esperienze nuove. Non è forse questo uno dei compiti della Missione e dei Missionari: andare avanti e aprire strade nuove?
Per questo non sono degli ingenui sognatori quei milioni di uomini e di donne che negano ogni legittimità alla guerra, affermando che esistono sempre alternative praticabili alla via delle armi. Senza le lotte di milioni di neri che hanno messo in gioco la loro vita, sarebbe stato possibile oggi che uno di loro diventasse presidente degli Stati Uniti?
L’elenco degli “imprudenti”, per grazia di Dio, è lungo e senza di essi oggi non avremmo tante delle libertà e dei diritti che vengono ormai ritenuti imprescindibili.
“Ho avuto paura”: ecco ciò che paralizza, ciò che blocca la crescita, ciò che rende infeconda la vita, ciò che ci fa sentire impari, incapaci, inferiori agli altri.
Gesù amava le nature coraggiose che, non appena hanno qualcosa in mano, vanno e prendono un’iniziativa, quelli che si dicono: “A che scopo vivo? Non certo per restare immobile a vedere che cosa succede!”. E’ vero che uno può fallire. Ma chi si limita a temere il fallimento, fallisce di sicuro. Non fa niente. Uno può fare un calcolo sbagliato, e può fare una cosa sbagliata, è vero. Ma chi vuole fare tutto giusto, non fa mai una cosa giusta, e chi ha come principio quello di salvaguardarsi dal perdere una possibilità o dallo stare sul cavallo sbagliato, non guadagnerà mai niente.
Si tratta di vedere la propria ricchezza e di viverla nel modo più intenso possibile, nel modo più fantasioso che sia consentito, con un cuore ricco al limite dell’immaginabile. Tutto dovremmo osare e rischiare, perché la nostra vita è grande e destinata a essere feconda. Se non facessimo così dovremmo andarci letteralmente a sotterrare. Non avremmo mai fatto qualcosa di sbagliato e non avremmo mai vissuto.
Quale coraggio ci vuole per lasciare tutto e dedicarsi ai poveri consacrando la propria vita al Signore? O quale audacia richiede mettere in gioco tutte le proprie certezze, lasciare il lavoro, la casa, il benessere quotidiano, e con la famiglia partire “ad gentes” in terre lontane, povere, magari pericolose. Eppure Dio ci dona la grazia di avere davanti agli occhi l’esempio di tanti Missionari, religiosi e laici, che ogni giorno ci dimostrano come questo sia possibile.
Ringraziamo per questo grande regalo e, come loro, impariamo tutti a sconfiggere le nostre paure e far fruttificare i talenti che abbiamo, qui, nell’ordinarietà di tutti i giorni, come ai confini più lontani del mondo.