Is 61,1-2a.10-11
1 Ts 5,16-24;
Gv 1,6-8. 19-28
Giovanni Battista si innalza come figura gigantesca nel Vangelo di Giovanni perché egli è l’inviato di Dio e quindi viene introdotto nel piano eterno riguardante la manifestazione del Verbo. Giovanni è la lucerna che arde e risplende per rendere testimonianza alla luce – la testimonianza del Battista verte sul mistero stesso della persona di Cristo e vuole proclamare che Gesù è il Messia e il Figlio di Dio.
L’annuncio del Battista è il primo balenio del Vangelo – apre la stagione del Vangelo (le prime generazioni dei cristiani andavano ripetendo “Gesù Cristo Figlio di Dio e Salvatore” e usavano come simbolo il pesce ικθυ ).
I Giudei, cioè le autorità religiose del tempo, mandano sacerdoti e Leviti ad esaminare il Battista. Alla prima domanda “tu chi sei?” risponde che non è il Messia, né Elia, né il profeta promesso da Mosé al popolo di Israele (Dt 18,15) – vuole solo negare di essere Lui il compimento delle attese di Israele. Egli dice che non è Elia – il grande profeta Elia, araldo della fede, nella prima metà del secolo IX a.C., dopo Salomone, la cui scomparsa era nella Bibbia ammantata di mistero, perché fu rapito al cielo su un carro di fuoco (2 Re 2,11); si pensava che sarebbe ritornato Elia in persona ad annunciare e preparare il Regno messianico – Giovanni ha lo spirito e la potenza di Elia, ma dice apertamente che egli non è Elia.
Così pure “non è il profeta” un profeta annunziato da Mosé (Dt 18,18), profeta che poi si identifica in Cristo.
Non soddisfatti della negazione, sacerdoti e Leviti ripetono la domanda a Giovanni “ma allora chi sei?” – dice che “egli è la voce” che annuncia l’era messianica, voce che grida a tutti di preparare la via. La grandezza personale di Giovanni sta nella ferma coscienza dei propri limiti e nella fedeltà alla propria missione.
Non vuole che Gesù rimanga “uno sconosciuto”, ma presenza e potenza di universale rinnovamento e salvezza nella lotta tra la luce e le tenebre, che avrà fine con l’aurora del giorno eterno.
Coloro che sono stati inviati al Battista, secondo il racconto di Giovanni, avevano questa convinzione: “se non sei colui che dobbiamo attendere, perché mai ti metti a battezzare?” (cioè, perché compi un gesto che è più grande di te?), Giovanni risponde ridimensionando la portata del suo battesimo e annunciando la presenza del Messia “io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo”. Il Battista non sottolinea soltanto la superiorità di Gesù, ma anche la sua presenza nascosta e sconosciuta – dice che l’atteso è presente, è in mezzo a voi, ma non sono io: io sono solo una voce, mio compito è dirvi che Egli è in mezzo a voi.
Il tema della testimonianza ritorna più volte nel Vangelo secondo Giovanni – Gesù chiama sul banco dei testimoni Giovanni Battista, le opere che il Padre gli ha dato da compiere, il Padre stesso e le Scritture (Gv 5,36) – anche i discepoli e lo Spirito Santo sono convocati a rendere testimonianza in suo favore (Gv 15,26).
L’intero Vangelo, anzi, è considerato da Giovanni evangelista come una testimonianza di Gesù, che ha come scopo la fede di chi lo ascolta: “questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera” (Gv 21,24). In questo contesto è significativo che Giovanni Battista venga presentato non tanto come battezzatore, ma come testimone, come colui che è mandato da Dio per rendere testimonianza alla luce con lo scopo di condurre tutti alla fede.
Giovanni è chiamato a testimoniare quando ancora Gesù non è visibile, non si è rivelato “in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”.
Il Battista è il primo testimone di Gesù, colui che ne avverte la presenza ancora prima di riconoscerlo – solo il giorno dopo che i sacerdoti e i Leviti andarono da lui a interrogarlo, Giovanni Lo vide, Lo riconobbe, Lo indicò (Gv 1,29) – in questo gli assomiglia molto la Chiesa, che rassicura il mondo sul fatto che il Signore c’è, è in mezzo a noi; eppure non gode ancora della visione piena del suo volto, né della comunione perfetta con Lui. Anche questo è rendere testimonianza.
Prima Giovanni aveva riconosciuto l’amore che appariva in Gesù, chiamandolo “l’Agnello di Dio” – adesso, poneva in luce questo amore chiamandolo “lo Sposo” (Gv 3,29), colui che veniva a colmare di gioia l’umanità con il suo amore divino. E quando Gesù incominciò a predicare “l’amico esulta alla voce dello sposo, ora la mia gioia è al colmo”, essere amico di Gesù è la sua gioia e con questa gioia nel cuore soffrirà il carcere e il martirio.
Giovanni Battista ci invita ad essere come Lui, degli amici dello Sposo.
Giovanni trasmetteva la gioia e la speranza della imminente apparizione del Signore. Questa terza domenica di Avvento è detta la domenica “gaudete”: rallegratevi.
Paolo VI nell’Anno Santo del 1975 ha scritto una enciclica sulla gioia “la gioia cristiana è la partecipazione spirituale alla gioia insondabile insieme divina e umana, che è nel cuore di Gesù Cristo glorificato”. San Francesco d’Assisi “la gioia spirituale è necessaria all’anima quanto lo è per il corpo il sangue”.
Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza e gli preparò il cuore perché potesse gustare la verità e la gioia. Dio è gioia infinita – Dio è amore e in Lui tutto è gioia. Gesù è la gioia del mondo, è venuto per la gioia di tutto l’uomo: anima e corpo – la gioia di Gesù che è morto e risorto e che ha mandato lo Spirito Santo non finirà mai. La Madonna è la causa della nostra gioia. È vicino il giorno dodici dicembre in cui si ricorda l’apparizione della Madonna a Guadalupe, al veggente diceva “guardami perché io sono tua madre”, e il veggente così la descriveva “ha il calore di una madre, il suo volto è tutto amore, e ha gli occhi colmi di pietà”.
Santa Teresina, morta a ventiquattro anni, quando ebbe uno sbocco di sangue proprio un Venerdì Santo, si trovò contenta perché ciò le preannunciava l’arrivo dello Sposo. Diceva “non credete che io navighi nelle consolazioni, oh no! La mia consolazione sta nel non averne sulla terra”. Nei dolori si paragonava ad un uccellino immerso nella nebbia ma ugualmente contento perché sapeva che al di là della nebbia c’era il sole. Diceva “non usiamo il bel termine “vita” per le cose che passano, ma per quelle che rimangono, per questo la vita non conosce tristezza, ma gioia”.
Chesterton “il gigantesco segreto della vita cristiana è la gioia”.