2 Cr 36,14-16. 19-23;
Ef 2,4-10;
Gv 3,14-21
Ogni anno la quarta domenica di Quaresima è detta domenica “in Laetare”; è la domenica della gioia, una tappa di riposo nel cammino della Quaresima prima della salita definitiva a Gerusalemme.
Ci aiuta a questo rallegrarsi il pensiero di santa Paola Frassinetti: “la vita è come un bel ricamo che si sta compiendo, del quale noi non vediamo che il rovescio, e perciò tutti quei fili che si intrecciano confusamente non ci lasciano scorgere la bellezza del disegno. Ma Dio vede il diritto, ed armonizza mirabilmente tutti i colori, di modo che ciò che a noi sembra molte volte un guazzabuglio, forma invece un lavoro di paradiso”.
Sembra di avere le mani vuote, di non aver fatto alcunché di grande, invece quale sarà la sorpresa quando qualcuno ci dirà che la nostra vita è stata magnifica “per voi invece, cultori del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia” (Ml 3,20).
Il Vangelo porta la parte conclusiva del colloquio notturno di Gesù con Nicodemo. Costui era fariseo e scriba, notabile e membro del Sinedrio – difese Gesù quando disse che non era lecito condannare senza prima aver ascoltato l’interessato. Per non compromettersi dinanzi ai suoi colleghi, era venuto di notte per aver un colloquio con Gesù. Solo dopo la morte di Gesù si esporrà come discepolo in piena luce, e sarà presente anche alla sepoltura di Gesù assieme a Giuseppe d’Arimatea, egli stesso porterà una mistura d’aromi. È alla ricerca della luce e ha intuito che gliela può dare il giovane Rabbì di Nazareth, l’uomo “venuto da Dio come maestro” (Gv 3,2).
Gesù parlando a Nicodemo ricordò quanto capitò al popolo eletto nella traversata del deserto: il popolo non sopportando più le fatiche del viaggio venne a lamentarsi contro Dio e contro Mosè rimpiangendo l’Egitto.
Sbucarono allora serpenti velenosi i quali mordevano la gente e tanti morivano. Essi gridavano al Signore per essere liberati – Dio allora diede ordine a Mosè di innal- zare un serpente di bronzo su un’asta, dicendo che chiunque fosse stato morso dai serpenti velenosi se avesse guardato con fede quel serpente sarebbe statoguarito. Gesù stesso interpreta l’atto come un simbolo della propria passione e morte. Ebbene Gesù avrebbe salvato il mondo inchiodato e innalzato in croce sul monte Calvario. E da lì fino alla fine del mondo Egli resterà a braccia aperte “perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
Chi alza lo sguardo al serpente di bronzo issato sul palo sarà salvo, invece chi non crede non volgerà lo sguardo a Lui, morirà per i morsi dei serpenti. Credere al suo amore è la nostra risposta all’amore di Dio per noi: “siamo cristiani non perché amiamo Dio, ma perché crediamo che Dio ci ama” (Paul Xardel).
Dobbiamo volgere lo sguardo a Gesù. Quando Pilato presentò Gesù alla folla flagellato, che porta la corona di spine e il mantello di porpora disse “Ecco l’uomo” (Gv 19,5). “Ecco” dice che è uno spettacolo più che persona quello che viene presentato alla folla – in questo contesto “l’uomo” significa un povero uomo ridotto alla condizione più deplorevole, ma intanto Pilato dicendo “Ecco l’uomo”, pone, senza volerlo, il problema dell’uomo, il problema del valore dell’essere umano, e proclama Gesù come modello dell’uomo.
L’uomo dal quale tutti avrebbero dovuto allontanarsi con disgusto era destinato ad attirare lo sguardo di ammirazione dell’umanità, come dice la profezia “volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Zc 12,10 - Gv 19,37).
La morte di Gesù in croce costituisce la prova suprema dell’amore del Padre per il mondo “ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8).
“Se vogliamo sapere chi è Dio dobbiamo inginocchiarci ai piedi della croce” (J. Moltmann).
Giovanni Paolo II: “la croce di Gesù è il più profondo inchinarsi della divinità sull’uomo, e il culmine della rivelazione dell’amore misericordioso”.
La Sindone di Torino “più che una figura è una presenza; una forza misteriosa è uscita da Lui e ha lasciato questa traccia” (Paul Claudel).
Nella Sindone è rivelatore il contrasto tra questo corpo martoriato in ogni punto e il volto che è rimasto pieno di serenità e di maestà, un volto che rivela sofferenze dominate dall’amore - trasformate dall’amore. Quando vogliamo contemplare Dio, è questa la strada che ci è tracciata: la contemplazione di una rivelazione vivente, radicata nel nostro destino di uomini: Gesù, Figlio del Dio Vivente e Figlio di Maria, immagine eterna del Padre e nostro fratello, che ha sofferto con noi - ha sofferto per noi, e ci ha aperto la via dell’intimità divina (Albert Vanhoye).
Dio aveva mandato i serpenti velenosi, anzi più letteralmente, serpenti infuocati o brucianti. Allora Mosè riceve l’invito di forgiare un serpente di bronzo bruciante e di innalzarlo sull’asta. Chi lo avesse fissato sarebbe stato salvato (Nm 21,4). Gesù innalzato sulla croce è la realtà di un Cristo bruciante, e ardente di amore, che avrebbe veramente portato la salvezza integrale – questa immagine la troviamo adombrata anche nell’invocazione al Sacro Cuore di Gesù “fornace ardente di carità”.
Il cuore di Gesù rimane troppo poco conosciuto da numerosi cristiani. La necessità di uno sforzo sempre nuovo di scoperta era già stata espressa da san Paolo: “conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza” (Ef 3,19) – egli esprime l’augurio che i cristiani “siano in grado di comprendere con tutti i santi, l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza, la profondità” (Ef 3,18) – sembra che Paolo abbia semplicemente enumerato le quattro dimensioni dell’universo, cioè Paolo vuol far capire che conoscendo l’amore di Cristo i cristiani possederanno il segreto di tutti gli avvenimenti del mondo. L’amore di Cristo per l’umanità ci procura la chiave dell’interpretazione di tutto lo sviluppo della storia umana. L’esplorazione del cuore di Cristo deve rimanere un obiettivo primario per il nostro pensiero e per la nostra vita. Questa esplorazione non è mai terminata, deve illuminare sempre più vivamente il nostro cammino (Jean Galot).
Il colpo di lancia del soldato che trafisse il fianco di Gesù dopo la morte sulla croce ha posto sotto i nostri occhi un cuore definitivamente aperto. Gesù venuto qui in terra è l’amore di Dio portato all’infinito, all’incredibile; Gesù stesso si stupiva quando disse a Nicodemo “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito”.
“Amore, per parlare di Te, sarà troppo corta l’eternità” (André Frossard). Questa umanità dovrebbe aver sete di Lui e rivolgersi a Lui per ottenere la salvezza. Ma è anzitutto Lui che ha sete di noi: “ho sete” (Gv 19,28), si comporta come un umile mendicante! Mendica il nostro amore per poter darci con più abbondanza i tesori spirituali nascosti nel suo sacrificio.