1 Re 19,4-8;
Ef 4,30 - 5,2;
Gv 6,41-51
La gente mormora perché ha detto “io sono il pane disceso dal cielo” – deducano che non può essere disceso dal cielo perché lo conoscono come uno “normale” cresciuto normalmente in una famiglia comune. Eppure i segni che Gesù compie devono servire proprio a questo: a mostrare che le pretese da Lui avanzate sono fondate ed Egli è veramente l’inviato di Dio.
Egli è l’unico che ha visto Dio (Gv 1,18) ed è l’unico in grado di rivelare Dio, cioè di comunicarne la vita al mondo – perciò si definisce come “il pane della vita” e “il pane vivo disceso dal cielo” – e la condizione per accedere a questo pane è credere, non in modo generico, bensì indica la relazione di fiducia nei confronti di Gesù, riconoscendolo come l’autentico figlio del Padre.
La manna fu un modo con cui Dio rivelò la sua intenzione di nutrire in profondità le aspirazioni dell’uomo – (Sap 16,20) “hai sfamato il tuo popolo con il cibo degli angeli – dal cielo hai offerto loro un pane pronto senza fatica, piena di ogni delizia e gradito ad ogni gusto. Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i tuoi figli, si adattava al gusto di chi ne mangiava, si trasformava in ciò che ognuno desiderava”.
La manna quindi fu un segno che deve essere interpretato e compreso – Giovanni intende compiere proprio un atto di interpretazione teologica: “il pane che discende dal cielo non è la manna in sé ma ciò che la manna significava. Dunque il nutrimento che Dio dona all’umanità e non più al solo Israele, è un altro tipo di pane ed è suo figlio in persona, il pane viene identificato con la carne stessa del Cristo.
Il profeta Elia, che difendeva la vera fede nel Dio di Israele, è costretto a fuggire perché cercato a morte dalla regina Gezabele sostenitrice del culto a Baal. Durante questa fuga di centinaia di chilometri che coprono a ritroso il viaggio degli ebrei dall’Egitto alla terra promessa, il profeta nel deserto stanco e affamato si fermò sotto un ginepro desideroso solo di morire. Ma Dio non lascia solo il suo coraggioso araldo e invia un angelo che gli offre il pane da mangiare e l’acqua da bere, e con la forza di questo cibo riprende il cammino giungendo fino al Sinai, dove lì Dio gli appare e lo ritempra alla lotta.
In questo nutrimento la Chiesa, spontaneamente, ha ravvisato la prefigurazione dell’eucaristia.
Elia con quel pane camminò quaranta giorni e quaranta notti fino al monte del Signore – il popolo ebreo con la manna fu alimentato nei quarat’anni di deserto verso la terra promessa – anche noi dobbiamo mangiare il pane eucaristico per arrivare a Dio.
Ecco allora si capisce quando Gesù diceva “io sono il pane vivo disceso dal cielo” – Gesù sapeva che c’è bisogno di amore, per questo parla si se stesso come pane, cioè come amore che fa vivere. Gesù, immagine perfetta del Padre, si presenta come pane, ed anche noi a cui è detto “fatevi imitatori di Dio” (Ef 5,1) dobbiamo essere pane gli uni per gli altri (al funerale di don Primo Mazzolari un parrocchiano disse: “ci bastava guardarlo, vederlo passare, per noi era pane”).
Ci sono delle persone che sono segno della tenerezza di Dio – si possono paragonare all’angelo che ha portato il pane ad Elia: gli angeli sono figure luminose, come è intriso di luce il pane – persone che non criticano, non condannano, amano soltanto, e amando infondono coraggio e bene a tutti, come dice san Paolo nella seconda lettera di oggi (Ef 4,32) – non c’è elogio più bello: “è buono come il pane”.
Nel Vangelo Gesù si presenta come il pane vivo disceso dal cielo – dice “se uno mangia di questo pane vivra in eterno”.
Questo pane ha nutrito anche fisicamente alcuni santi (Teresa Newmann visse trentasei anni solo di comunione – la beata Alessandrina Maria da Costa gli ultimi tredici anni di vita). Ma ovviamente è un nutrimento per la vita spirituale, per la vita eterna.
Afferma Gesù “i vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti: questo è il pane che discende dal cielo perché chi ne mangia non muoia”.
Dobbiamo accogliere questo cibo di vita eterna, cibo di vita spirituale, che contiene tutta la forza dell’amore di Cristo, perché Egli ce lo ha dato nel momento del suo massimo amore per noi, nel momento delle sue più grandi difficoltà e della sua più grande vittoria su di esse (Albert Vanhoye).
Gesù è il pane della vita venuto a sbaragliare tutta la potenza della morte che regna nel mondo. C’era nel paradiso terrestre l’albero della vita, simbolo dell’immortalità che avrebbe goduto l’uomo se non avesse peccato, ma poi ci fu la condanna – ma Gesù il pane della vita con la promessa eucaristica segna l’abolizione di questa condanna su un piano incomparabilmente più alto di quello della vita del corpo – Pio IX “...perché l’uomo non avesse a perire e perché tutto ciò che era per crollare in Adamo fosse più felicemente innalzato in Gesù”.
Con Cristo e in Cristo si sono aperte tutte le sorgenti della vita per l’umanità intera perché il primitivo piano di Dio non venisse sabotato dal peccato dell’uomo. Dio infatti ha creato l’uomo per l’immortalità, per una vita che la morte fisica non può compromettere, e non intende rinunciare al disegno del suo misterioso e invincibile amore.
“Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
San Giovanni dice: “il verbo si è fatto carne e abitò fra noi” e quando parla dell’eucaristia insiste che la carne di Gesù nell’eucaristia è quella che assunse quando nacque da Maria vergine – anche sant’Ignazio di Antiochia e san Giovanni Crisostomo dicono che il corpo di Gesù incarnato, morto e risorto e il corpo di Gesù nell’eucaristia è il medesimo.
Paolo VI: “Gesù usando della sua potenza si è rivestito di queste apparenze per affermare nel modo più espressivo ed evidente che Egli vuol essere alimento interiore moltiplicato per tutti. Ha voluto parlarci per via di segni per farci comprendere che Egli è il pane, che Egli cioè è il cibo disponibile e insostituibile dell’umanità redenta. Come non si può vivere senza il pane materiale così non si può vivere spiritualmente senza Cristo. Egli è necessario, Egli è la vita, Egli è pronto per ciascuno di noi – Egli vuol essere il principio interiore della nostra soprannaturale esistenza terrena per essere il datore della nostra pienezza nella vita futura”.
Santa Teresa d’Avila diceva che questo gran re di gloria per ciò si è travestito con le specie di pane nel sacramento, ed ha coperto la sua maestà, per dare a noi animo di accostarci con più confidenza al suo cuore divino.