XXIV Domenica del Tempo Ordinario

Published in Domenica Missionaria
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Gesù: una interrogazione sempre aperta



Is 50,5-9a;

Gc 2,14-18;
Mc 8,27-35

In questa domenica la liturgia ci presenta un episodio evangelico molto importante. L’episodio è ambientato nei pressi di Cesarea di Filippo, la città che Filippo, figlio di Erode il Grande, aveva fondato in onore di Cesare Augusto – all’estremo nord di Israele, alle pendici del monte Ermon, presso la più grande sorgente del fiume Giordano. Gesù lascia le città e i villaggi lungo il lago di Galilea e si porta verso quella regione abitata in maggioranza da pagani. Gesù rivolge una prima domanda ai suoi apostoli “la gente chi dice chi io sia?” Per poi arrivare alla seconda “e voi chi dite chi io sia?” Le risposte attribuite alla gente fanno di Gesù un uomo del passato: “tu sei Giovanni Battista, tu sei Elia o uno dei profeti” – sebbene queste stime fossero grandi tuttavia erano ben lontane dal capire chi era Gesù.

La risposta di Pietro è diversa: “tu sei il Cristo”, Pietro riconosce che Gesù è il Messia, il re promesso della stirpe di Davide, il re che doveva essere Figlio di Dio, Dio infatti aveva promesso per bocca del profeta Natan: “io gli sarò Padre ed Egli mi sarà Figlio” (2 Sam 7,14).

Pietro aiutato dall’ispirazione divina ha risposto giusto, ma né lui né gli altri apostoli, infatti, sanno precisamente che cosa significhi essere il Cristo; anch’essi, secondo le opinioni correnti, si aspettavano un Messia potente e politico – ecco perché Gesù a questo punto impone il silenzio, quasi a dire che per conoscere la sua vera identità bisognava camminare ancora a lungo con Lui. La risposta vera su Gesù sarà possibile al monte Calvario. Intanto però Gesù cominciò a rivelare il senso nascosto della sua vita: “e incominciò ad insegnare loro che il figlio dell’uomo doveva molto soffrire...”.

“Figlio dell’uomo” è un’espressione che Gesù usa spesso per designare se stesso. È un titolo che non ha nulla di trionfalistico, ma che vuole semplicemente significare un uomo chiamato ad una missione, senza quelle risonanze militari suscitate dal titolo di Messia (Albert Vanhoye).

Gesù afferma che il figlio dell’uomo dovrà molto soffrire, essere riprovato dagli anziani e dai sommi sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare. Gesù è come una goccia di rugiada appesa ad un fiore, rispecchia tutta la volta azzurra del cielo, così la volontà di Gesù racchiude tutto il volere del Padre. Gesù dice il sì perfetto al Padre, sì che Dio cercava dal giorno della disobbedienza del peccato originale. Egli è il servo di Jawhé obbediente e sofferente come aveva predetto il profeta Isaia – il suo dolore era radice di salvezza e di pace per Israele e per il mondo. Ancora Gesù è come un vaso di alabastro contenente un nardo preziosissimo, viene rotto questo vaso perché il profumo di questo balsamo si innalzi a Dio Padre, profumo dell’amore, “Cristo ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5,2).

La logica umana non può che rimanere sconvolta di fronte ad una simile prospettiva e difatti Pietro, a nome di tutti, reagisce. Il verbo “rimproverare” è qui ripetuto due volte: Pietro rimprovera Gesù, Gesù rimprovera Pietro. Stanno di fronte due modi di pensare opposti: pensare secondo Dio o pensare secondo gli uomini.

La risposta di Gesù a Pietro che vuole distoglierlo dal suo cammino è dura “lungi da me satana...” si comporta da satana, cioè da ostacolatore – ma Gesù non intende allontanare da sé Pietro, ma riportarlo sul retto cammino; le sue parole significano: “vieni dietro a me, sta con me mentre vado a donare la vita”.

I pensieri di Dio non sono come quelli degli uomini, come dice il profeta Isaia (55,8). Nel caso di Gesù i pensieri di Dio vanno nel senso di diver affrontare una passione dolorosa e umiliante. Ma questa passione avrà effetti molto positivi, di salvezza per tutti gli uomini; effetti che non possono essere ottenuti per mezzo di un trionfo militare, con la forza della armi (Albert Vanhoye).

Dopo aver rimproverato Pietro, Gesù convoca la folla, Marco la introduce in scena, sebbene in precedenza non s’è fatto alcun cenno, per una ragione teologica: in questa folla egli vede personificata la moltitudine dei cristiani delle sue comunità. Vuole porli di fronte alle condizioni poste da Gesù a chiunque intenda seguirlo: “se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Ogni volta che Gesù annuncia la sua morte e risurrezione, segue sempre una dichiarazione parallela sul discepolo. Il ritratto del discepolo deve avere riflessi i lineamenti del maestro.

Gesù rivela l’identità Sua e anche l’identità dei suoi discepoli: è uno che richiede di ritrovare noi stessi mentre cerchiamo Lui. Sotto l’istanza dell’amore per il Padre e per noi uomini Gesù ha percorso il suo cammino di Messia sofferente fino alla croce. La stessa istanza dell’amore per Dio e per i fratelli, deve muovere il cuore e la vita di quanti vogliono essere discepoli di Gesù Cristo, il crocifisso risorto (Giovanni Marchesi).

In forza della nostra solidarietà con Cristo dobbiamo percorrere la via da Lui battuta, partecipare alle sue sofferenze, essere crocifissi con Lui per essere con Lui glorificati (Alfredo Marranzini) – “ciascuno ha il proprio apporto da dare alla redenzione che, seppure avvenuta una volta per sempre, ha bisogno di questa misteriosa integrazione” (Giovanni Paolo II). Nell’imitare il Cristo dovremmo tenere realisticamente presente la sua passione e morte “completando quello che, nel nostro corpo, manca ai patimenti di Cristo” (Col 1,24), pur non evitando anche una partecipazione mistica alla sua glorificazione.

Poi dà una regola generale: “chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo la salverà”. Per capire questo principio importante di Gesù, dobbiamo ricordare che la vocazione dell’uomo è una vocazione all’amore: Dio che è amore, ci ha creati per comunicarci il suo amore e renderci capaci di vivere nell’amore. Pertanto, la felicità dell’uomo non si trova nell’egoismo, ma nell’amore.

Chi vuol salvare la propria vita, la perde, perché si mette sulla via dell’egoismo, e non può trovare in essa la vera gioia. Invece chi accetta di perdere la propria vita per causa di Gesù e del suo Vangelo, la salva, perché si mette decisamente sulla via dell’amore e così raggiunge la gioia perfetta e definitiva (Albert Vanhoye).

“Chi vorrà salvare la propria vita la perderà... – è come se si dicesse al contadino: se tu serbi il tuo grano lo perdi, se invece lo semini lo rinnovi” (san Gregorio Magno).

Quando Gesù si perse nel Tempio l’amore materno gli fece questo rimprovero: “perché ci hai fatto questo? Tuo padre ed io addolorati ti cercavamo!” ma il Gesù (dodicenne dagli occhi semplici, puri e chiari secondo santa Caterina da Genova) nel suo amore divino le replica che prima è Dio e poi le creature, la sua volontà precede quella di tutti. Anche lei doveva fare lo sforzo di capire Gesù, di seguire Gesù, diventandone la prima e perfetta discepola secondo le esigenze di questa sequela che Lui stesso ha detto: “chi non prende la propria croce e non mi segue non può essere mio discepolo”.
Last modified on Thursday, 05 February 2015 20:12

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