XXV Domenica del Tempo Ordinario

Published in Domenica Missionaria
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Scontro di mentalità


Sap 2,12.17-20;

Gc 3,16-4,3;
Mc 9,30-37

Nel contesto del viaggio verso Gerusalemme, secondo il Vangelo di san Marco, Gesù annuncia per ben tre volte la sua passione, oggi si è a quella della seconda volta. A mano a mano che Gesù si rivela come il Messia atteso (per esempio quando scaccia i demoni, o fa altri segni) si rivela anche come Messia destinato alla sofferenza. È una pedagogia con la quale il Signore corregge le false attese dei suoi contemporanei (aspettavano un Messia potente e politico) e prepara i discepoli alla sua passione.

Le parole di Gesù sul suo destino di croce sono accompagnate da chiarimenti fondamentali sulla natura del Regno di Dio perché la via percorsa da Gesù è anche quella del cammino dei seguaci di Gesù; le istruzioni, i chiarimenti che Gesù dà ai discepoli lungo la via per Gerusalemme assumono così il valore di istruzioni per la vita cristiana.

San Marco che ama riportare le reazioni degli ascoltatori dice “essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni”.

Avevano timore, evidentemente, che la spiegazione fosse tale da infrangere i loro sogni e le loro speranze che andavano in ben altra direzione. Gli apostoli erano vicini a Gesù ma erano lontani dal capire questo suo amore, fino a quando con docilità e umiltà entreranno nei suoi pensieri e nei suoi piani divini, rinunciando a se stessi – ma poi capiranno tutto, per sé e per gli altri.

Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro “il figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini...”. Prendendo questa espressione “figlio dell’uomo” dal libro di Daniele (7,13) Gesù parla di sé come una persona divina e celeste, attribuendosi un ruolo di grande prestigio e di potere sovrumano – eppure annuncia per sé un destino di disprezzo e di morte, proprio questo è il grande messaggio che Gesù vuole trasmettere ai suoi discepoli: la sua potenza divina passa attraverso la sofferenza della croce e la sua identificazione con il figlio dell’uomo è strettamente congiunta alla figura del servo sofferente.

“...sta per essere consegnato nelle mani degli uomini”: questo verbo al passivo dice che c’è uno che lo consegna – è possibile che il verbo “consegnare” al passivo, sottintenda alla maniera ebraica un intervento di Dio, il cui nome viene taciuto per rispetto; in tal caso l’iniziativa dell’offerta di Cristo è del Padre, di cui il Figlio è venuto a compiere la volontà d’amore: “Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada, il Signore fece ricadere su di Lui le iniquità di noi tutti” (Is 53,6).

“Se Dio non rifiuta di sacrificare ciò che ha di più caro, il proprio Figlio, si deve comprendere che Egli non risparmia se stesso, che si spoglia per noi del proprio essere e della propria vita, che dà se stesso a noi mentre ci dà suo Figlio” (J. Moingt).

San Giovanni ha scritto “in questo sta l’amore: non che noi abbiamo amato Dio ma è Lui che ha amato noi e ha dato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4,10).

Nello stesso tempo la genericità dei destinatari, coloro ai quali sarà consegnato, suggerisce l’idea di un futuro di vita che Dio riserva ai giusti, la possibilità di un riscatto anche dopo la morte. Il cammino della comunità cristiana, quindi, ha un tracciato spesso oscuro ma al termine ha sempre la certezza dell’aiuto e del sostegno del Signore: “nell’andare se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con giubilo, portando i suoi covoni” (Sal 125,6) – “per voi invece, cultori del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia” (Ml 3,26).

Ma gli apostoli si mostrano assenti anche a questo secondo annunzio della passione e morte del Signore. Marco ci dice il perché: era nell’aria la legge della precedenza, legge che avrebbe regolato la precedenza dei vari membri della comunità all’arrivo del Messia; c’era dunque da discutere lungo la strada, senza farsi sentire dal maestro. Mentre il Maestro aveva presentato la propria “donazione” fino alla morte, i discepoli avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.

Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, probabilmente nella casa di Pietro, centro del ministero di Gesù in Galilea – il Maestro li interroga: “di che cosa stavate discutendo lungo la via?”. La sua non è una domanda, ma un’accusa. È al corrente dell’accesa disputa nella quale, durante il viaggio, tutti si sono lasciati coinvolgere. Gesù, dopo aver interrogato i suoi sull’oggetto della loro discussione, si sedette assumendo la posizione del maestro nell’atto di un importante insegnamento “se uno vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”.

Con le sue parole Gesù designa la sua stessa identità estendendola a chiunque lo voglia seguire.

Quando un giorno santa Teresa de los Andes disse a Gesù “quanto mi costa farmi ultima in tutto, Gesù mi ha detto che Egli stava sempre all’ultimo posto”.

Egli per amore ha preso l’ultimo posto e si è fatto servo di tutti: ha contestato il peccato vivendo in mezzo ai peccatori e facendosi peccato per noi; ha condannato i carnefici subendo Egli stesso il supplizio e perdonando agli uccisori; ha distrutto la morte entrando violentemente tra i morti.

La croce è il servizio universale a tutti gli uomini “la strada della croce non è ‘soffrire’ ma è prima di tutto ‘servire’” (J. Delorme).

Il dare la vita rappresenta dunque il punto più alto raggiunto dal servizio del Cristo in favore degli uomini.

“La croce è il più profondo inchinarsi della divinità sull’uomo e il culmine della manifestazione dell’amore misericordioso” (Giovanni Paolo II).

L’esigenza dell’ultimo posto e del servizio è ripetuto cinque volte nei Vangeli (Mc 10,44 - Mt 20,26 - Mt 23,11 - Lc 22,27 - Gv 13,14).

“Se uno vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” ci porta a questo: la vita propria si mette a vantaggio di tutti - risplende in noi l’immagine e la somiglianza di Dio.

Poi compiendo un gesto profetico prese un bambino e lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro “chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato” così ci fa capire che il servizio consiste nell’accogliere le persone e soprattuto gli umili, i bambini. Gesù mostra un rispetto immenso per i bambini, tanto da identificarsi con loro. La Chiesa intende accogliere il Signore accogliendo i bambini, mettendosi a servizio della loro vita e della loro formazione.

“Chi accoglie me non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato” non è possibile accogliere una persona più importante del Padre – cercare di accogliere Dio non significa andare verso le altezze e gli onori ma andare verso il basso e verso gli umili (Albert Vanhoye).
Last modified on Thursday, 05 February 2015 20:12

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