XXIX Domenica del tempo ordinario

Published in Domenica Missionaria
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Ai quali diede il nome di boanerghes, cioè figli del tuono



Is 53,2a.3a.10-11;
Eb 4,14-16;
Mc 10,35-45

L’evangelista Marco descrive il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, e Gesù durante questo suo viaggio per tre volte dà l’annuncio della sua passione e morte – Marco fa seguire immediatamente agli annunzi della passione, come anche a quello di oggi, un episodio di incomprensione (Mc 8,31 - 9,31 - 10,32) ma Gesù sempre prende l’occasione per nuovi chiarimenti sulla sequela autentica.

I figli di Zebedeo sorvolando quanto Gesù diceva circa le sue sofferenze puntano sull’atteso regno, si credeva che era vicino il tempo in cui Cristo avrebbe ricostruito il Regno di Israele. Giacomo e Giovanni, dunque, formulano la loro richiesta: “concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù li ammonisce “voi non sapete ciò che domandate”.

Noi sappiamo bene che a Gerusalemme Gesù non instaurerà un regno, ma al contrario subirà la morte e, proprio in quell’occasione, avrà due uomini uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, ma saranno i due ladroni crocifissi con Lui (Mc 15,27). I due, come anche gli altri apostoli, non volevano capire che Cristo avrebbe raggiunto la gloria in fondo a una via dolorosa, necessaria per Lui e per quanti intendono seguirlo (Mc 8,34). Contro la concezione dei figli di Zebedeo, ancorata ad un messianismo di rivendicazione di potere, Gesù oppone la proposta di un messianismo di immolazione e di donazione. Per questo dice loro “potete bere il calice che io berrò e ricevere il battesimo con cui sarò battezzato?”.

Nella domanda di Gesù è implicitamente annunciato il calice al momento della sua agonia nell’Orto degli Ulivi, quando Gesù sceglie di fare la volontà del Padre e di bere quel calice (Mc 14,36).

Egli, totalmente fedele alla scelta di solidarietà con l’umanità peccatrice, è disposto a bere questo calice fino all’ultima goccia: non come vuole Lui, ma come vuole il Padre! I discepoli, invece, hanno chiesto che sia fatto quello che vogliono loro.

Con l’immagine del ‘battesimo’ vuole indicare la propria partecipazione alla sorte dell’umanità e il suo coinvolgimento senza riserve nella vicenda umana segnata dal peccato e dalla morte. Egli si è immerso nella storia dell’uomo e lo ha dimostrato con il battesimo al Giordano;ora è intenzionato ad andare fino in fondo, costi quello che costi. Ha la consapevolezza che gli costerà la vita ed è disposto a dare la propria vita.

I due fidandosi del loro coraggio e della sincerità del loro amore per Gesù dicono di voler partecipare alla sorte dolorosa del loro maestro “gli dissero: lo possiamo”.

Di fronte a tale coraggiosa disponibilità Gesù dice “il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete” per confermare la loro partecipazione alla ‘grazia’ della croce, ma sedere alla sua destra o alla sua sinistra non sta a Lui concederlo. Egli riferisce tutto al Padre, Egli è l’esecutore della sua volontà; non parla di posti di onore Lui che dice “il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

Si pensava che l’uomo ha diritto alla ricompensa per la sua fedeltà alla Legge di Mosè, invece Gesù sottolinea il primato della libertà divina e della grazia che ci acconsente di fare il bene, sì che Dio quando premia la nostra personale risposta, corona i suoi stessi doni: sedere alla sua destra o alla sinistra spetta al Padre darlo, ecco il primato del Padre e l’assoluta gratuità dei premi che Egli concede in cielo.

“Non osiamo mettere le nostre mani sui doni di Dio” (san Giovanni della Croce) – abbandoniamoci filialmente alla giustizia e alla misericordia di Dio: il buon ladrone chiese per lui un ricordo quando Gesù sarebbe entrato nel suo regno, invece si sentì ricevere il paradiso. Egli dà abbondantemente “non si spera mai troppo da Dio” (santa Teresina).

In realtà, Gesù ha dato ai due discepoli più di quanto essi hanno chiesto: li ha liberati dalla loro ambizione egoistica e li ha resi partecipi del suo amore, li ha posti veramente molto vicini a sé. Essi hanno chiesto di essere con Lui nella gloria, e Gesù fa capire loro che la cosa importante è essere molto vicini a Lui nell’amore, nella generosità. Gesù ha concesso questa grazia ai due discepoli, liberandoli dal loro egoismo e introducendoli nel regno del suo amore (Albert Vanhoye).

Il Figlio di Dio, morto in croce, dovrà diventare la “buona novella” “il vangelo” da predicare a tutti gli uomini. Impresa umanamente inconcepibile, tanto che lo “scandalo” della croce di Gesù sarà sofferto molto dagli apostoli stessi, soltanto la potenza del Signore risorto poteva compiere attraverso loro tale miracolo.

L’ostinata incredulità degli apostoli (dato il contrasto aperto e sempre insuperato tra la predicazione della sua passione e morte, fatta da Gesù agli apostoli, e la loro ostinata aspettativa del suo trionfo e dei vantaggi che essi ne avrebbero ricavati) è, in certo senso, la migliore prova dell’origine divina della predicazione apostolica.

“All’udire questo gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni” – Gesù approfitta per dare una grande lezione mettendo a confronto lo spirito del mondo e quello del Vangelo: “voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano...”, ma questo non deve essere modello a loro, essi devono imparare dal loro maestro. Egli dice ai suoi discepoli in che cosa consiste la vera grandezza, il vero valore: nel mettersi a disposizione degli altri per aiutarli a vivere una vita bella, degna dell’uomo. Questo è ciò che veramente piace a Dio e corrisponde al modo di vivere di Gesù stesso. Egli infatti conclude il suo insegnamento con queste parole: il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Gesù ha esercitato il massimo grado di servizio per noi, sino a dare la propria vita in riscatto per molti. Non è possibile servire in un modo più completo e più perfetto di come ha fatto Gesù (Albert Vanhoye).

Giovanni Paolo II “la croce è il più profondo inchinarsi della divinità sull’uomo e la rivelazione definitiva dell’amore misericordioso” – la croce è il servizio universale a tutti gli uomini “la strada della croce non è ‘soffrire’ ma è prima di tutto ‘servire’” (J. Delorme).

Il dare la vita rappresenta dunque il punto più alto, l’aspetto essenziale raggiunto dal servizio del Cristo in favore degli uomini.

Egli è fratello dell’umanità malata e dolorante perché è stato provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato (Eb 4,15); ha vissuto una solidarietà completa con noi, e così ha acquistato la capacità di compatire intimamente la nostra sorte.

I figli di Zebedeo “ai quali diede il nome di boanerghes, cioè figli del tuono” probabilmente per la loro irruenza, avevano chiesto a Gesù ciò che Egli non avrebbe potuto donare: il Figlio dell’uomo è venuto per donare qualche cosa di molto più grande. Così essi hanno bevuto al calice della sofferenza di Gesù, e poi sono arrivati a condividerne la gloria.

 

Last modified on Thursday, 05 February 2015 20:12

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