Dn 7,13-14;
Ap 1,5-8;
Gv 18,33- 37
Per la festa di Cristo Re è stato scelto un brano del Vangelo di san Giovanni che parla della passione. Giovanni non descrive tanto le soffernze di un condannato, bensì mostra che Dio ha regnato dalla croce.
I soldati misero addosso a Gesù una veste rossa, prepararono una corona di rami spinosi e gliela posero sul capo: Giovanni vuole affermare che si compie effettivamente quello che avviene per derisione.
Il processo davanti a Pilato mette in luce la regalità di Gesù, regalità che solamente nella tragedia della passione, concepita da Giovanni come una ascesa di Gesù al Padre, si manifesta pienamente (Gianfranco Ravasi).
Il Vangelo riporta il dialogo tra Gesù e Ponzio Pilato, avvenuto la mattina del venerdì santo, alla vigilia della Pasqua dei Giudei (il più antico manoscritto del Nuovo Testamento, dice Salvatore Garofalo, è un frammento di papiro appartenente a un codice scritto al massimo nei primi trent’anni del secondo secolo e questo frammento di papiro riporta appunto questo dialogo).
Pilato è un pagano, per lui Gesù è un semplice provinciale accusato di arrogarsi il potere di Cesare – allora a Roma Cesare era l’imperatore Tiberio.
E Pilato chiede “tu sei il re dei Giudei?” e Gesù invece di defendersi e proclamare la sua innocenza, interroga il suo giudice cercando di illuminarlo e dice “tu dici questo da te stesso o altri te lo hanno detto a mio riguardo?” come per dire: se mi domandi se sono re secondo la tua maniera di pensare la regalità, io non lo sono - ma se mi domandi se sono re secondo l’aspettativa dei Giudei, io non posso negarlo perché per loro il Messia sarà anche re. E Pilato rispose “son forse io Giudeo? I Sommi Sacerdoti e la tua gente ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?”.
Questa è una situazione molto strana, scandalosa, ma che si ripete spesso nella storia umana. Le persone molto generose, che si impegnano per il bene degli altri, spesso vengono criticate e accusate; si cerca anche di condannarle, per impedirne l’azione che disturba i potenti, i ricchi e quelli che vogliono mantenere i loro privilegi (Albert Vanhoye).
Così Pilato, anche se con malgarbo, ha risposto a Gesù che quindi dichiara “il mio regno non è di questo mondo...” afferma con chiarezza la sua regalità ponendola al di sopra e al di fuori di qualsiasi regalità concepibile dal romano che stupito esclama: “dunque re tu sei?”, un re senza legioni, e da quando in quà un regno non appartiene a questo mondo; e alla esclamazione di Pilato “dunque re sei tu?” Gesù fa seguito “tu lo dici, io sono re, per questo sono nato e sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”.
Pilato non segue questo parlare e lo interrompe con quella frase rimasta famosa “che cosa è la verità?”.
“Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità...” la specificazione di Gesù risulta così densa di riferimento alla preesistenza, alla incarnazione.
Gesù è la verità: “egli ha dimorato in mezzo a noi pieno di grazia e di verità, Egli ha annunziato e instaurato il Regno di Dio e in sé ci ha fatto conoscere il Padre...” (Paolo VI).
Egli è venuto al mondo proprio per questo, cioè per far conoscere Dio. E tale rivelazione consiste nel comunicare la vita stessa di Dio all’umanità. Gesù rivela il Padre in quanto trasmette la vita che ha ricevuto dal Padre.
Proprio in tale comunicazione della vita divina sta la re galità di Gesù. Per questo Egli regna sulla croce e non in altro modo.
Nella sua prospettiva il re è colui che dà la propria vita perché il popolo viva. Perciò il Cristo è re, in quanto muore per il popolo: la sua regalità sta nel far vivere il popolo. Lo aveva ‘profeticamente’ spiegato Caifa ai membri del Sinedrio: “è meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (Gv 11,50).
In tal senso Gesù è re: se si vuol sapere chi è Dio bisogna inginocchiarsi davanti alla Croce (J. Moltmann).
La croce è il più profondo inchinarsi della divinità sull’uomo, e il culmine della rivelazione dell’amore misericordioso (Giovanni Paolo II).
“Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce” se sostituiamo la parola ‘verità’ con il nome personale “Gesù”, diventa più caro il concetto: colui che deriva e trae origine da Gesù, egli è in grado di ascoltarne la voce. Si tratta di un linguaggio battesimale: il cristiano ha tratto origine da Cristo. Infatti il nostro modo di pensare, in quanto cristiano, deriva dal Cristo, non è frutto del nostro istinto.
“Che cosa è la verità?” per capire bisogna ‘rinascere’ da Gesù, lasciarsi trasformare nella mentalità, per assumere il suo modo di vedere e di donare.
Rispose Gesù “il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei, ma il mio regno non è di quaggiù”.
Gesù voleva fare la volontà del Padre e stabilire il regno del Padre non per mezzo delle armi, ma per mezzo della più grande generosità, per mezzo del dono della propria vita.
Il Regno di Dio è un regno completamente diverso da quello terreno, politico. Il potere politico non è l’unico tipo di potere: c’è un potere molto più valido che non si ottiene con mezzi umani. Gesù è venuto per ricevere questo potere rendendo testimonianza alla verità: una verità che in realtà è la rivelazione dell’amore.
La verità proclamata dal Nuovo Testamento è che Dio è amore (1 Gv 4,8) e vuole stabilire nel mondo un regno di amore.
In questa situazione umiliante davanti a Pilato Gesù manifesta la sua gloria: la gloria di amare sino all’estremo, dando la propria vita per le persone amate. Questa è la rivelazione del Regno di Gesù. Questo regno della verità e dell’amore è un regno che si estende in continuazione e che alla fine costituirà un unico regno. Il Cristo che oggi adoriamo “è colui che spinge avanti la storia della salvezza e che la saprà concludere distruggendo ogni forma di male” (U. Vanni).
Il potere di Gesù non può essere rovesciato dalla forza delle armi, perché è un potere profondo che ha le sue radici nel cuore delle persone e che pone chi lo accoglie in una meravigliosa condizione di pace e di pienezza (Albert Vanhoye).