Rm 5,1-5
Gv 16,12-15
Il mistero della Trinità ci introduce nell’intimità stessa di Dio. Dio uno e trino, o Dio trino e uno come preferiva dire san Francesco, premetteva trino a uno per sottolineare la comunione talmente profonda delle tre persone da realizzare l’unità.
Il nome di Dio è fatto di tre parole: Padre, Figlio e Spirito Santo perché Dio è una famiglia di tre persone che vive d’amore e amandosi è infinitamente felice.
Perché Dio è amore è Trinità: c’è chi ama e chi è amato. “Uno che ama colui che viene da lui, uno che ama colui da cui viene, e l’amore stesso” (sant’Agostino).
“Il Padre è l’eterna provenienza dell’amore, il Figlio l’eterna venuta, lo Spirito Santo è l’avvenire dell’amore eterno” (Jungel Eberard). Lo stesso autore dice: “raccontare l’essere di Dio non può né deve significare altro che raccontare l’amore di Dio”.
Se in se stesso Dio è amore, dobbiamo riconoscere in Lui una pluralità di persone. Infatti il vero amore è orientato verso altrui. Sorge e si sviluppa con una relazione da una persona ad un’altra persona. Il Padre nel suo amore genera il Figlio, lo Spirito procede dall’amore che unisce Padre e Figlio (il Padre si pensa nel suo Spirito, e la figura che ricava-la parola che ne ricava è il Figlio di Dio-il Verbo di Dio: nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre. Lo Spirito Santo procede dal Padre e Figlio insieme, l’amore che corre tra il Padre e il Figlio è lo Spirito Santo).
Dall’eternità le tre persone divine esistono in virtù del più perfetto amore (Jean Galot).
Questa Santissima Trinità non è chiusa in sé, irraggiungibile, ma è come una comunione di vita che di per sé tende ad espandersi e raggiungere ogni realtà attraendola nel suo amore (Gianfranco Ravasi).
È su questa attrazione amorosa che si fonda la possibilità della nostra salvezza: peccatori e deboli, non possiamo elevarci al di sopra della nostra condizione. Cristo prendendo su di sé il nostro peccato, la nostra debolezza, causa in noi la nuova personalità, ci rende figli di Dio. Proprio perché è stato realmente uomo come noi, può anche essere nostro mediatore; proprio perché è Dio al pari di Dio, la sua mediazione raggiunge lo scopo mirato (Gianfranco Ravasi).
Anche fuori di Dio nella creazione l’amore è movimento e forza: “l’eterno amore si espanse in nuovi amori” (Dante Alighieri).
“La divina bontà è la ragione di tutto” (san Tommaso). “È l’amore che fa esistere” (Maurizio Blondel). “Le opere di Dio rivelano chi Egli è in se stesso; e, inversamente, il mistero del suo essere intimo illumina l’intelligenza di tutte le sue opere” (Catechismo n. 236).
San Giustino ha questa frase: lodiamo il Creatore dell’universo per Gesù Cristo suo figlio, e lo Spirito Santo, perché ci ha dato la vita e tutti i suoi beni.
Questo mistero è incominciato a delinearsi già dai primordi del mondo: quando Dio ha creato per manifestare e comunicare la sua bontà, accanto a Lui sta la Sapienza. La Sapienza di Dio parla: il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin da allora. La Sapienza stava con Dio come archi113 tetto per costruire il mondo e si rallegrava davanti a Lui in ogni istante (Pro 8,30).
La Sapienza è qui intesa come persona, prefigura di Cristo, sapienza di Dio incarnata fra gli uomini, fonte della vita e della felicità eterna.
Assieme alla Sapienza c’è lo Spirito di Dio “e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gn 1,2), e nel creato ci fu ordine ed armonia: ogni cosa assunse il suo essere, la sua forma, il suo posto e il suo fine; e tutto fa per dar gloria a Dio.
Dalla parola di Dio sono stati creati i cieli, e dal soffio della sua bocca ogni loro schiera (Salmo 33). Abbiamo già nell’Antico Testamento una preparazione del mistero della Trinità, ma occorrerà aspettare Gesù perché questo mistero venga pienamente manifestato (Albert Vanhoye).
La relazione di amore che unisce Padre e Figlio ci aiuta a capire quanto è profondo il gesto divino dell’incarnazione del Figlio di Dio. Il Padre ha compiuto questo gesto quando ha aperto il suo cuore paterno all’umanità, mandando il suo Figlio per offrire il sacrificio destinato a salvare tutti gli uomini. Il sacrificio redentore non deve essere semplicemente definito come il sacrificio propiziatorio offerto da Cristo, ma in primo luogo come la dimostrazione suprema dell’amore del Padre che ci ha dato il suo Figlio “in questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4,10).
Sulla croce appare la Trinità: il Padre non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha dato per tutti noi, e poi lo ha resuscitato; il Figlio si è consegnato alla morte in obbedienza al Padre, e poi è risorto; lo Spirito Santo, poiché in Lui il Figlio si è offerto al Padre, e in Lui il Padre lo ha resuscitato.
La fede nella Trinità deve incarnarsi nella vita ed essere professata attraverso le relazioni di tutti i giorni; cioè dare testimonianza in favore della Trinità con una vita di relazioni limpide e generose. La vera fede nella Trinità, più che nei segni di croce, si esprime in questi gesti di amicizia che mettono in circolazione la comunione di amore del Padre, del Figlio e dello Spirito (Luigi Pozzoli).
Il cristiano che crede nella Trinità, si sforza di vivere questo mistero rigettando ogni egoismo, ogni ripiegamento su se stesso. Diventa l’immagine autentica di un Dio che è ‘comunità, relazione, comunione di persone’ (Alessandro Pronzato).
Se noi fossimo in grado di dare un piccolo annuncio di gioia verso il futuro ai nostri fratelli, alle nostre sorelle di questa generazione; se noi dessimo il senso di questa gioia attraverso una comunità che si riunisce intorno al Risorto, che è consapevole delle sue radici e che guarda al futuro senza tramonto, credo che noi riusciremmo a inculcare una profonda nostalgia di Gesù risorto nei nostri contemporanei. La domenica deve essere il giorno in cui i cristiani recuperano, come ha fatto Dio nel paradiso terrestre, la capacità di guardarsi, di contemplarsi (Francesco Cacucci).
La meditazione di questo mistero che ha affascinato tanti santi, ci invita “a costruire in noi una casa, una dimora permanente a Lui, che è Signore Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo” (san Francesco).