Gal 2,16. 19-21
Lc 7,36 - 8,3
È un messaggio di gioia e di liberazione quello che si sprigiona da tutti i testi liturgici di questa domenica: la gioia di sentirsi liberati dal peccato, piccolo o grande che sia, che ci opprime, ci tormenta, ci chiude in noi stessi, logora le nostre energie, sta sempre lì a dimostrarci che siamo un abbozzo mal riuscito, oppure un uccello dalle ali ferite. Vorremmo volare in alto, verso il cielo, ma siamo come schiacciati verso la terra, e questo ci reca enorme tristezza, direi quasi rabbia e disperazione (Settimio Cipriani).
Il brano del Vangelo odierno è riportato solo da Luca, il cantore della misericordia di Dio. È un episodio che sembra accaduto per caso, in modo fortuito. E invece è molto importante sottolineare questo comportamento di Gesù verso la peccatrice. Con quel gesto egli rivela concretamente l’essenza stessa della sua missione. Esisteva la convinzione che la religione si fondasse sul modello di coloro che si dichiaravano giusti. Gesù, come al solito, va alla radice del problema per risolverlo realmente, precorrendo la dottrina che poi ne hanno ricavato i teologi (Giovanni Benedetti).
Questo episodio non è da confondersi con l’analogo episodio di cui è protagonista Maria sorella di Lazzaro (Gv 12,3 - Mc 14,3 - Mt 26,7).
Simone il fariseo interessato di conoscere da vicino il Nazareno esaltato dalle folle come profeta volle averlo a casa sua.
Mantenne tuttavia le distanze, forse per non compromettersi troppo; non s’era sbracciato ad accogliere l’ospite con particolari riguardi.
Gesù accolse l’invito. Egli amava stare tra la gente. Non rifiutava nessuna categoria di persone, anche quella dei farisei che certamente non simpatizzavano per Lui. “Gesù non solo ha parlato in parabole, ma in parabole ha anche operato –Ê scrive J. Jeremias – questi pasti con pubblicani sono segni profetici, i quali, più impressionanti di qualsiasi parola, annunciano in maniera che tutti possano capire: il tempo messianico è tempo di perdono”.
In oriente quando in una casa c’era la festa, chiunque poteva entrare come spettatore e partecipare della comune letizia. Ma Simone fece tutt’altro che buon viso ad una donna che si era improvvisamente presentata nella sala; si trattava di una peccatrice di quella città.
La peccatrice in silenzio entra nella casa, e senza badare a quel che diranno gli altri, scivola lungo le pareti, va verso Gesù, si interessa innanzitutto di Lui. Mostra nei suoi confronti un grande amore, perché è piena di fiducia nella sua misericordia. Questa fiducia le ispira gesti di affetto. Tutto le serve per manifestare il suo amore riconoscente a Gesù: gli bagna i piedi con le sue lacrime, glieli asciuga con i suoi capelli, li bacia, gli versa l’olio profumato che ha portato con sé.
La donna non ha detto alcuna parola, anche Gesù è rimasto in silenzio, mentre Simone non ha osato dimostrare un pensiero che gli rodeva dentro: se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice.
Gesù invece vuole incoraggiare la peccatrice e spingere Simone alla conversione. E Gesù con una breve folgo rante parabola fa capire a Simone che conosce tutta la realtà della situazione, gli dimostra che egli è un profeta che legge nei pensieri e conosce la situazione e i sentimenti della donna che in lacrime sta ai suoi piedi; per questo accetta i gesti della donna, perché egli è venuto ad annunciare e manifestare il perdono di Dio.
La donna con i suoi atteggiamenti dice qualcosa sull’identità di Gesù che il fariseo sembra non cogliere: egli è colui che deve essere amato, con il quale si deve cercare un rapporto di intimità e comunione.
Gesù cerca di aprirgli la mente e di aiutarlo a scoprire chi è veramente Lui ponendo a confronto il modo di agire che ha avuto la donna e quello tenuto da lui, il padrone di casa. Il Signore ribadisce che ella ha espresso in modo sovrabbondante il suo amore per Lui, mentre il fariseo non è che egli abbia mancato ai doveri dell’ospitalità, perché i gesti elencati non vi rientravano necessariamente, ma ha mancato di manifestare il suo affetto e il suo amore per il maestro. Simone non ama il Signore, l’ha ricevuto in casa e niente più, non comprende il mistero della sua persona.
Riferendosi alla donna Gesù dice: “le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato”. Gesù parla di perdono prima ancora di parlare di peccati; parla di misericordia, prima ancora di parlare di giustizia. Più uno ama più è perdonato, più uno è perdonato più ama. Amore e perdono si incontrano, e, in un certo senso, si identificano.
Gesù ha davanti peccatori che si credono giusti e non sentono il bisogno di essere da Lui salvati; e la donna che piange per i suoi peccati, per questo Gesù l’accoglie, la salva, la pone a modello dinanzi ai presenti compreso il fariseo Simone.
Gesù non accetta la fase alternativa: giusti o peccatori. Per Gesù esiste solo l’alternativa: pentiti o non pentiti dei propri peccati, perché tutti gli uomini sono peccato ri. Arriva perfino ad affermare che l’amore di Dio non dipende dal cuore dell’uomo, ma dal perdono che Dio gli concede: “invece quello a cui si perdona poco, ama poco”; più peccati gli sono perdonati, e più grande sarà l’amore del perdonato, come risposta all’amore che l’ha salvato.
Chi è vuoto di sé è sempre colmato della misericordia di colui che è il misericordioso (la sua misericordia di generazione in generazione su coloro che lo temono; esalta gli umili; riempie di beni gli affamati).
A questo proposito si può riportare l’affermazione di alcuni santi: sant’Alfonso Maria de’ Liguori “nell’abisso del mio niente”; santa Teresa de los Andes “nel mio criminale nulla”; santa Margherita Maria Alacoque “nel mio niente di peccato”; santa Teresina “vuole che io lo ami perché mi ha rimesso non già molto, bensì tutto. Non ha atteso che io lo amassi molto, ma ha voluto che io sappia come egli mi ha amata di un amore di ineffabile previdenza affinché ora io ami Lui alla follia”.
Come dice san Giovanni “in questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi ed ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4,10).
San Paolo “... mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me” (Gal 2,20).
Se uno è ciò che supremamente ama, un cristiano è colui che soprattutto ama Gesù Cristo che per primo lo ha amato.