DOMENICA XX DEL TEMPO ORDINARIO

Published in Domenica Missionaria


Cè un battesimo che devo ricevere

 


Ger 38,4-6. 8-10
Eb 12,1-4
Lc 12,49-57

La settimana scorsa il Vangelo diceva ai discepoli di essere vigilanti, operosi e fedeli per quando verrà il loro Signore, questa domenica invece mostra Gesù stesso in attesa appassionata della sua ora definitiva, l’ora della donazione suprema nella passione, morte e risurrezione.
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “sono venuto...” indica la missione di Gesù e la consapevolezza che egli aveva di essere stato inviato dal Padre; pertanto le parole seguenti caratterizzano la sua opera come Messia. Luca, più di ogni altro evangelista, è colui che entra nel mondo interiore di Gesù per coglierne il sentire più intimo di fronte al futuro.
Il Vangelo di oggi manifesta la coscienza di Gesù di fronte alla passione: “sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere e come sono angosciato finché non sia compiuto!”. C’è una sorta di pensiero fisso nella mente di Gesù: tutto converge verso la Pasqua.
Allora questo fuoco e questo battesimo designano la Passione di Gesù, che è un fuoco che divora, purifica, divampa, ed è un battesimo, una immersione nelle acque profonde della sofferanza e morte; ed esprime il desiderio intenso di Gesù di portare a compimento la salvezza. Tutta la vita di Gesù fu un andare deciso e coerente verso la sua ora, che è anche l’ora del Padre. 
Aveva sempre davanti questo programma: patire, morire e risorgere per compiere la volontà del Padre e la nostra salvezza.
Possiamo così scorgere come la passione abbia attraversato la vita e i sentimenti di Gesù; ogni suo atto fu donazione d’amore. In conclusione, i due versetti che abbiamo sottolineato esprimono il desiderio intenso di Gesù di portare a compimento la salvezza, che passerà però per la croce, e di vederla estesa a tutti gli uomini come una grande fiamma alimentata dallo Spirito (Settimio Cipriani).

L’impegno totale nella testimonianza cristiana può essere considerato un dato portante nell’interpretazione delle letture di questa domenica (Gianfranco Ravasi).
Ciò è visibile nettamente nella figura di Geremia, il profeta sofferente e perseguitato. Egli vedrà l’inarrestabile cammino della sua nazione verso la distruzione operata da Nabucodonosor nel 586 a.C., la sua voce si spegnerà nella solitudine. Geremia, un poeta divenuto profeta, resterà la coscienza inascoltata e calpestata di un popolo.
Geremia, con le infinite sofferenze che hanno accompagnato la sua vita e l’indomito coraggio con cui si è opposto “come un muro di bronzo contro tutto il paese” (Ger 1,18) è diventato una figura profetica di Cristo, delle sue sofferenze, della sua forza di ‘segno di contraddizione’.
Già il vecchio Simeone tenendo in braccio il Bambino Gesù parlò a Maria sua madre: “egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,34).
Il vero profeta non trova facile accoglienza presso la gente, perché la sua parola è scomoda, persino bruciante. Come quella di Gesù, colpisce gli inerti, i soddisfatti, gli illusi, li scuote dai loro sogni e dai loro miti. Ed è per questo che si tenta di cancellarla, come nell’episodio narrato dalla prima lettura.  “Me infelice, madre mia, che mi hai partorito oggetto di litigio e di contrasto per tutto il paese!” dirà candidamente in un momento di abbandono e di sfiducia il nostro profeta (Ger 15,10).
In realtà Dio si preoccupa di Geremia, e sarà tirato fuori dalla cisterna. Tertulliano scriveva: non saprei immaginare nulla di casuale da parte di Dio, perché non c’è nulla che Dio non abbia disposto.

Anche il tema della fedeltà e della costanza nella prova è messo in luce dalla seconda lettura.
San Paolo “corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti” (Eb 12,1). Lo stadio è già gremito di altri atleti, sono i testimoni della fede che ‘in gran numero’ hanno già affrontato la loro prova. C’è anche una metaideale da raggiungere ed è il Cristo verso cui teniamo fissi gli occhi. Egli infatti è l’unico e vero modello della corsa della vita perché l’ha affrontata dando tutto se stesso fino alla morte di croce. “Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio” da dove può salvare l’umanità (Gianfranco Ravasi). E conclude “non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato”.
“Tenendo fisso lo sguardo su Gesù...” Santa Teresa: “la visione di Cristo mi lasciò impressa la sua incomparabile bellezza, che a tutt’oggi ho ancora vivida in me. Mi bastava gettare mentalmente lo sguardo sull’immagine che di lui portavo scolpita nell’anima, per sentirmi pienamente libera e sciolta da ogni impaccio... Non v’è né conoscenza né soddisfazione di alcun genere che risulti ancora apprezzabile di fronte al piacere di udire anche solo una parola pronunciata da quella bocca divina...”.

“Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione”. Cristo divide, non perché vuole l’inimicizia, ma perché distinge e separa il vero dal falso, il male dal bene, l’egoismo dall’amore. Una situazione di lotta necessaria contro il peccato e contro il male.
Cristo ha portato divisione e scandalo tra i suoi stessi concittadini annunciando un messaggio radicale ed esigente (Lc 4).
Inquieta gli stessi rapporti familiari; non è in discussione il dovere della carità familiare, ma questa è rinnovata su principi nuovi. Il tempo di Cristo è un tempo di decisione anche per gli affetti umani più profondi, che devono portare il segno della conversione e della novità del Signore.
Noi dobbiamo essere pronti ad affrontare le divisioni, senza mancare alla carità. Gesù ha pregato per quelli che lo crocefiggevano. Ci sono circostanze umane così sfavorevoli, che non sembra possibile avere la pace, ma Gesù, con il suo amore, ci dà una meravigliosa serenità, anche in esse (Albert Vanhoye).

Finora Gesù si è rivolto ai discepoli, ora alla folla: “diceva ancora alle folle: quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: viene la pioggia e così accade... Ipocriti! sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?...”. Gesù accusa quelli della sua generazione di aver fiuto nel saper leggere le previsioni del tempo, ma di non averne altrettanto nel saper ‘giudicare questo tempo’ cioè quello che si svolge sotto i loro occhi, il tempo del Messia che offre a tutti la salvezza. Il tempo di Gesù non è passato, egli è risorto e vivo; e viviamo nella pienezza dei tempi da lui inaugurata. Dobbiamo riconoscere Gesù presente nel mondo con il suo Regno, nella sua Chiesa. Ci aiuta a stimare il tempo presente con il suo lavoro quotidiano quanto diceva santa Teresina “all’estasi io preferisco la monotonia della vita quotidiana”.
Dobbiamo saperci esporre al fuoco dell’amore che Gesù ci ha portato.
Last modified on Thursday, 05 February 2015 20:12

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