Si hanno dei meccanismi perversi che impediscono agli uni di guadagnare il necessario per vivere e procurano agli altri un guadagno esagerato e disonesto.
E come domenica scorsa iniziamo con la parola del profeta Amos, un mandriano. Inviato da Dio in Samaria, due anni prima di una strage, è colpito dal comportamento spensierato ed egoista dei ricchi.
L’impeto sferzante della sua parola (prima lettura) è diretto ai dirigenti politici e religiosi. Vari sono gli abusi denunciati da Amos: il ricco mobilio che adorna i palazzi (letti intarsiati di avorio), i sontuosi divani su cui si sdraiano per mangiare e bere in larghe coppe, il frastuono di musiche e danze (richiamandosi ipocritamente a Davide), i profumi e gli unguenti raffinati provenienti dalla lontana Arabia.
La sferzata finale del profeta è lugubre: “perciò andrete in esilio, in testa ai deportati”. Ed infatti 38 anni più tardi l’orgia dei bontemponi è tragicamente conclusa.
Luca, sebbene in toni più pacati, riprende l’insegnamento del profeta con una parabola tutta e solo sua. La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro. Anche qui vestiti di tessuto prezioso, bisso e porpora, e lauti, spensierati conviti.
Due nomi stanno ad indicare due mondi e due mentalità, due modi diversi di concepire la vita. Anzi, al povero, Gesù dà anche un nome simbolico: Eleazar, Dio aiuta. Al ricco affibbia solo un soprannome: epulone. Epula vuol dire banchetto. Al ricco epulone tutto è sopravanzato; il povero, nemmeno può sfamarsi delle briciole che cadono dalla mensa. Impotente non riesce nemmeno a scacciare i cani, animali spregiati per gli ebrei.
Sdraiato sul divano, spensierato più che egoista, l’epulone non si accorge nemmeno del poveraccio che sta davanti alla sua porta.
E anche Gesù, come Amos, conclude la sua parabola presentando il ricco tra i tormenti e bramoso anche solo di una goccia d’acqua.
Nell’al di là, dunque, si presenta un rovesciamento delle situazioni presenti. Ma è un male essere ricchi ed è forse un merito essere poveri?
Cerchiamo di ben capire il pensiero di Gesù sulla ricchezza e il suo uso. Gesù non condanna i ricchi. Anzi, contava amici tra i ricchi: Lazzaro, Zaccheo, Giuseppe d’Arimateo e anche un gruppo di donne che lo finanziavano.
San Gregorio Magno osserva: “Questo ricco non è rimproverato per aver rubato, ma per non aver dato del suo. Non si dice che abbia oppresso qualcuno o estorto con inganno. Nessuno quindi si ritenga sicuro con il dire: io non ho rapito roba altrui, ma mi godo giustamente ciò che mi appartiene”. Quel ricco non fu punito per aver rubato, ma per non essersi accorto del povero che stava proprio davanti alla sua porta… Non si chiede di privarsi del necessario, ma –quod superest- di quello che sulla nostra tavola è in sovrabbondanza.
C’è sempre un povero Lazzaro alle nostre porte o sulle nostre sponde o al di là del mare nostro, un povero che non ha casa, né patria, né lavoro, né medicine.
E anche accanto a noi c’è sovente un Lazzaro senza amicizia, senza consolazione, senza una mano fraterna. Ce ne accorgiamo?
Nessuno è talmente ricco da non avere bisogno di nulla, nessuno è talmente povero da non avere qualcosa da donare.