Attorno alla Parola: II domenica Avvento – anno A

Published in Domenica Missionaria
{mosimage}Tra le figure che la liturgia ci pone innanzi per preparare l’incontro con Gesù, emerge gigantesca e suggestiva la figura di Giovanni detto il Battista e il precursore. “In quei giorni apparve Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea”. Un preciso riferimento storico, una somma di informazioni precise e minuziose lo inseriscono in una solida impalcatura storica. Flavio Giuseppe, storico giudeo – romano, scrive nelle sue antichità giudaiche: Era uomo dabbene, il quale esortava i giudei alla pratica della virtù, alla giustizia gli uni verso gli altri, alla pietà verso Dio, per ricevere il battesimo che serviva non a farsi perdonare le colpe, ma a purificare l’anima mediante la giustizia.

“Che cosa siete andati a vedere nel deserto?”, domanda Gesù. Una canna sbattuta dal vento? Che cosa siete dunque andati a vedere? Un uomo vestito di morbide vesti? Uno che abita nei palazzi dei re? In verità vi dico, fra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista. È sorprendente che Gesù, così scarno e avaro di riconoscimenti pubblici per la stessa sua madre, abbia tessuto un elogio così grandioso del suo precursore.


Quale il segreto della vera grandezza del Battista, la motivazione di questo elogio? Ma la missione gli era stata assegnata prima di nascere; non era stato lui a sceglierla: la vocazione, l’elezione, la missione è dono di Dio.

Annunciare il vangelo non è motivo di vanto: è un dovere, è risposta a un mandato. La vera grandezza di Giovanni non è quindi quella di essere cugino di Gesù, né di essere il suo precursore, ma la sua grandezza è la dedizione totale, incondizionata ed eroica, alla missione che Dio gli ha affidato. Cristo lo avvicina al profeta Elia; è l’uomo più adatto per farci incontrare il Cristo, per la passione con cui si è dedicato alla sua missione, per l’umiltà e la gioia con cui egli annuncia il Messia.

La Parola di Dio scese su Giovanni, “voce che grida nel deserto”, “voce” anonima che i vangeli identificano con il Battista. Personaggio ispido, solitario, selvatico, rozzo. Eppure ascoltato, stimato, temuto, appare come colui che scuote la tranquillità delle coscienze. Avverte il senso del peccato e lo combatte a costo della prigione e della morte. Sconvolgente il messaggio: convertitevi! Consolante la sua testimonianza: Ecco l’agnello di Dio! A questa duplice missione egli dedicò la vita e non esitò a denunziare le colpe ad ogni categoria: popolo, soldati, clero, religiosi ed anche ai potenti che gli spiccarono la testa.

È questa la sua vera grandezza: aver compiuta la propria missione senza peli sulla lingua e senza timore.

Il Battista è l’uomo del deserto. Per l’uomo d’oggi il deserto non è di moda ed anche a noi pesa, ci angustia: coepit taedere… Nel deserto si ritira Gesù, il Messia, come pure Paolo e Antonio, l’eremita egiziano. Nel deserto si ritirano coloro che vogliono affrontare una missione. I grandi spiriti si sono formati nel deserto, nel silenzio. Diceva Paolo VI: “Noi siamo continuamente provocati ad una attenzione esteriore. Occorre che ognuno di noi trovi qualche momento di silenzio, di ascolto interiore, dove trovare la voce di Dio che viene ora e nell’ora”. Anche la liturgia esige spazi di silenzio. Il sacro silenzio: silenzio attivo però, in cui riflettere contemplare, pregare. Silenzio necessario per interiorizzare e personalizzare l’ascolto della Parola. La preghiera eucaristica ha creato sette spazi di silenzio: alcuni durante la liturgia della Parola, due che incastonano la Comunione e uno immediatamente dopo, come suggeriva il Fondatore. Spazi di silenzio che ritroviamo anche nella Liturgia delle Ore.

“Silentium tibi laus”. Così commenta S. Anselmo nel “prosloghion” di venerdì scorso: “Eia nunc, homuncio, orsù dunque, piccolo uomo, fuggi un poco le tue occupazioni, nasconditi, sottraiti un momento ai tumultuosi affanni; vaca aliquantulum Deo e riposa un po’ in Lui”.

Sulla scia dell’uomo del deserto, vestito di peli di cammello e il cui cibo sono le locuste e miele selvatico, ci si impone un po’ di verifica personale e comunitaria.

Il voto di povertà spoglia noi di ogni proprietà e vuole una testimonianza di povertà. Ma, come suggerisce l’orazione, uno sforzo di riflessione va fatto per valutare anche i beni sociali che oggi ci sono offerti e che irrompono nei nostri ovattati conventi: vitto, alloggio, comodità, mass media… Confrontarli con il Cristo povero e con tanti poveri cristi della società che ci circonda.

Una volta la rinuncia esterna favoriva il distacco interiore. Oggigiorno la situazione è capovolta e il religioso potrebbe facilmente sottrarsi a quella povertà reale di cui ha fatto voto.

È tanto comodo, osserva il fondatore, fare il voto di povertà e non sentirne gli effetti! Siamo contenti del necessario e anche di mancare talora del necessario, non pretendiamo ad ogni maluccio lo specialista. Non siamo ricchi ammalati ma frati poveri. Pensiamo ai sacrifici dei nostri benefattori.

Guardiamo a Maria e Giuseppe in viaggio, alla paupertas necessariorum di Betlemme di Gesù.
Last modified on Saturday, 07 February 2015 21:54

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