Attorno alla Parola - VI Domenica di Pasqua

Published in Domenica Missionaria
{mosimage}Commentare questo brano di vangelo è come sfilare una perla da una preziosa collana. E questa collana è il discorso dell’addio di Gesù nell’ultima cena. Il discorso di addio va dal tredicesimo al diciassettesimo capitolo del vangelo di Giovanni e costituisce una trilogia composta da tre parti: il testamento di Gesù, la comunità dei credenti, la preghiera sacerdotale.

Ci sono della parole che salgono dal cuore in un momento indimenticabile. Sono le parole di una persona cara che sta per morire e rimangono scolpite per sempre nella memoria di chi resta: il testamento.

Così è l’addio di Gesù. Giovanni ha poggiato il capo sul cuore di Gesù e ha raccolto come in uno scrigno quelle ultime parole di consolazione.


Il brano di oggi è inserito nel capitolo quattordicesimo, cuore del testamento di Gesù, sigillato dal Padre e dallo Spirito santo. Un capitolo in sintonia con il nostro carisma perché è chiamato anche capitolo della consolazione. Il capitolo si apre e si chiude con parole che invitano alla serenità e alla gioia. “Non vi lascerò orfani. Il Padre mio vi manderà il Consolatore”.

“E Giuda uscì dal cenacolo: era notte”. Non più trattenuto dalla presenza del traditore, l’anima di Gesà sembra esplodere in una piena effusione d’amore e di tenerezza. Non turbatevi, non vi lascerò orfani; vi lascio tre doni: l’amore del Padre, la presenza dello spirito santo, la mia pace.

Abbiate fede il Padre vi ama. Se uno mi ama il Padre mio lo amerà e rimarremo presso di lui”. Rimanere, una parola ricorrente in Giovanni e che esprime una grane intimità con la Santissima Trinità.

Per ben diciotto volte l’appellativo “Padre” ricorre nel capitolo della consolazione. La paternità di Dio, la nostra familiarità con lui è così autorizzata e valorizzata dalla parola stessa di Gesù che invita ad invocarlo con le sue stesse parole: Quando pregherete, pregherete così: Padre nostro, anzi Abbà, babbo nostro.

La liturgia ha accolto l’invito di Gesù e la preghiera eucaristica è tutta e unicamente rivolta al Padre: Padre santo, Padre buono, Padre misericordioso… e conclude, obbediente all’insegnamento di Gesù con la sua stessa invocazione: Padre nostro.

“Non vi lascerò orfani”. La sola evocazione di questo termine, orfani, con tutte le conseguenze che porta, basta a creare il clima che ci fa sentire maggiormente la necessità di uno che sia al nostro fianco. E nel discorso, per ben cinque volte Gesù ripete la promessa dello Spirito santo. “Ed io pregherò il Padre ed Egli vi manderà un altro Consolatore, lo Spirito santo”. Consolatore, Paraclito, ad-vocaus, termine greco – latino che vuol indicare chi ci è vicino perché chiamato ed era la figura forense dell’avvocato difensore, colui che rincuora e rassicura. Vi manderà un Consolatore che rimarrà con voi, dimorerà presso i voi, sarà con voi sempre. Presso – con – in, un susseguirsi di espressioni in un crescendo di intensità: accoglienza, amicizia, intimità.

Sulla scia della preghiera di Gesù, la preghiera eucaristica per due volte prega il Padre: ti preghiamo manda il tuo Spirito su questi doni; a noi che ci comunichiamo, dona la pienezza dello Spirito santo.

Commenta il Fondatore: “Nostro Signore fondò la Chiesa e poi la rimise allo Spirito santo che l’assiste, la vivifica, la conserva. Voglio che vi dichiariate e dimostriate figli dello spirito”. E le Costituzioni ne danno la motivazione teologica: “Siamo nati perché il Fondatore è stato fedele all’azione dello Spirito santo”.

“Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace”. Un sacerdote congolese, Pierre Chubaka, nel 1997, ne ha fatto il tema della sua tesi: “La paix de Jésus”. Un’analisi contestuale e letteraria del versetto 14,27 di Giovanni, che ricerca il significato profondo della “mia pace”, presentata come il dono di Gesù Messia. La “mia pace” è il segno della messianicità del Cristo annunciato dal profeta Isaia (53,5). Gesù ridona quella pace con Dio, bruciata da un popolo infedele ai tempi di Geremia (Ger 16,5). La pace è quindi una delle attività salvifiche di Cristo; dona sicurezza ed elimina la paura: non abbiate paura, il dono della pace è una promessa del discorso d’addio che trova la sua realizzazione nelle tre apparizioni pasquali: la remissione dei peccati, segno e frutto della pace pasquale; la pace di Gesù resa efficace grazie allo spirito santo; il dono della pace come patrimonio e impegno dell’apostolo di Gesù.

Tre aspetti che la liturgia eucaristica riprende per ben sette volte: all’inizio per la confessione; al termine con l’invio ad andare in missione e portare la pace. Ma è soprattutto nei riti della comunione che il dono della pace è messo in evidenza nell’augurio del sacerdote e nello scambio reciproco di tale pace. Gesto purtroppo banalizzato, trascurato nei giorni feriali e trasformato nell’assemblea domenicale in via-vai di saluti fuori luogo e fuori tempo. Per questo si precisa che dovrebbe essere uno scambio di pace con ci è al proprio fianco. Una corrente spirituale che, di fedele in fedele, pervade tutta l’assemblea, senza discriminazione di persone e distinzioni di giorni.

L’amore del Padre, la presenza dello Spirito santo, la pace di Gesù, i tre doni della consolazione che l’eucaristia ravviva di giorno in giorno. Tre doni che ritroviamo in Maria Santissima, Madre, Consolatrice e regina della pace.
Last modified on Saturday, 07 February 2015 21:54

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