Una ricerca attuale anche per noi, sommersi dai 1750 articoli del codice, dai 1750 della liturgia, dai 1500 precetti del catechismo ed anche dai 162 articoli delle nostre Costituzioni, integrati dai 250 del Direttorio, più i direttori regionali, particolari e i vari progetti di vita… “Maestro, qual è il più grande di tutti?”.
La risposta, osserva Gesù, è già nella bibbia e in due contesti distinti. Il primo, l’amor di Dio, in un contesto più significativo nella preghiera giornaliera, lo “shema Israel”: Ascolta Israele, amerai… il secondo, l’amore del prossimo è un po’ più occulto nel libro del Levitino.
Ma la novità di Gesù sta nel presentarli strettamente uniti con tre particolari accentuazioni. Insieme costituiscono il massimo dei comandamenti. La somiglianza li pone sullo stesso piedestallo: simili non ontologicamente, ma per urgenza e importanza. E il fondo teologico è proprio di Matteo: Tutta la legge e i profeti, cioè tutta la volontà di Dio, si aggancia a questi due fondamenti.
Tutto ruota attorno al perno assiale costituito dall’amore di Dio e dall’amore del prossimo, il cui metro è l’amore di se stessi. È opzione di fondo, cardine della vita cristiana che dà coesione e unità a tutta la legge: senza di essa nessuna prescrizione ha ragion d’essere.
Se in Luca la risposta è un preambolo per la parabola del buon samaritano, del farsi prossimo, in Matteo la risposta è preambolo della passione, in cui Gesù esprime tutto il suo amore al Padre nel dare la vita per i fratelli: cosummatum.
La liturgia del buon samaritano ci porterebbe a riflettere sulle semplici e concrete indicazioni del Fondatore sulla carità fraterna, sullo spirito di famiglia, sullo spirito di corpo, sulla vita comunitaria. Il catechismo, pur unificando i due aspetti, dedica l’art. 100 al primo amore e il 250 a quello del prossimo. Matteo invece evidenzia come punto focale della proposta di Gesù la fusione, la osmosi dei due amori, sintesi della legge e dei profeti. Giocando d’azzardo, oserei dire che obiettivo è l’unione ipostatica dell’amore in due nature, umana e divina.
L’originalità quindi enfatizzata con la frase finale, propria di Matteo, sta nella relazione intima tra base mistica, Dio, e base etica, il prossimo. Urgenti ed importanti entrambi, impegnano la totalità della persona, ossia con tutto me stesso e come me stesso.
Aprendo il capitolo sulla carità, il Fondatore dice: “L’amor di Dio e del prossimo sono due virtù così unite che possono dirsi un solo amore. Chi ama il prossimo, lo ama in dio e per Dio. L’amore di Dio deva partire da Dio e ritornare a Dio”.
L’amore del prossimo è rivelatore definitivo e perfetto dell’amore di Dio, prova di autenticità. Dice Giovanni: “Come puoi dire di amare Dio che non vedi, se non ami il fratello che vedi? Qualsiasi precetto, afferma Paolo, si ricapitola in un sol detto: Pienezza della legge è l’amore. Afferma Agostino: L’amore di Dio è il primo che viene comandato, l’amore del prossimo il primo che viene praticato. Una priorità dunque non di principio ma di esecuzione. Ama il prossimo e guarda dentro di te la fonte da cui scaturisce l’amore: ivi vedrai Dio.
Come possiamo, eppure capita, fissare e vedere Gesù nelle misere speci eucaristiche, rapidamente disciolte negli acidi del nostro stomaco e non degnare di uno sguardo Gesù vivente nel fratello prossimo? Come ascoltare Dio presente nella parola stampata ed essere sordi a Dio presente nella parola del fratello? “Se mi ami, dice San Colombano, è perché io sono l’immagine del dio vivente”.
Grande rilievo dato dal rinnovamento liturgico all’invocazione dello Spirito santo che di tutti noi, già riuniti in Cristo, fa un solo corpo e una sola anima. Così come nel cenacolo è capitato per gli apostoli e Maria, modello primitivo della comunità.
Diamo perciò rilievo al momento significativo della frazione del pane e della immistione del frammento nel calice, simbolo della nostra unione e fusione nell’amore del Padre.
Celebrando l’eucaristia viviamo il memoriale dell’amore di Cristo per il Padre che si esprime nell’amore al prossimo.