Attorno alla Parola: XVIII domenica – Anno B

Published in Domenica Missionaria
{mosimage}Continua la riflessione sul capitolo VI di Giovanni, il capitolo del pane di vita.

Si è discusso lungo su questo capitolo e se ne discute ancora sotto vari aspetti: biblico, cristologico, liturgico, eucaristico.

Il lavoro redazionale di Giovanni è complesso ma unitario. La struttura letteraria, abile concatenazione ad incastro, si può grosso modo distinguere in tre parti.

La narrazione della moltiplicazione dei pani che avviene sulla parte orientale del lago, davanti a più di cinque mila persone. È la prefigurazione biblica dell’eucaristia. Il discorso sul pane di vita, rivolto ad una folla ristretta in Cafarnao e concluso nella sinagoga, presenta il mistero di Gesù e il mistero eucaristico. Ed in fine la reazione dei discepoli, la cosiddetta crisi galilaica.


Il giorno dopo il miracolo vi fu chi volle ritornare a Batsaida in cerca di Gesù, ma il maestro si era veramente eclissato. Non era più la grande massa; non accorreva una grande flottiglia; riempite due o tre barche, mossero alla ricerca e lo trovarono sull’altra sponda, a Cafarnao. Ignorando la miracolosa traversata, chiedono a Gesù non “come” ma “quando” vi era giunto.

Cercare: uno dei verbi più cari a Giovanni e carichi di significato. Chi cercate? Sono le prime parole di Gesù rivolte ai discepoli. Chi cerchi? Sono le prime parole rivolte dal Risorto a Maria che piange.

Gesù accolse il gruppetto con una doccia fredda e buttò loro in faccia i rimprovero per la loro ricerca parziale ed egoista. Volle mettere in chiaro le cose, sottraendosi al loro equivoco entusiasmo.

“Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato e vi siete saziati”. Ecco perché Giovanni non ama parlare di miracoli, e la narrazione dei suoi miracoli viene detta: il libro dei sette segni. Il miracolo rischia di diventare un punto esclamativo che blocca l’uomo semplicemente nell’ammirazione, nell’entusiasmo superficiale. Il segno invece costituisce un punto interrogativo, che costringe a cogliere il messaggio segreto e porsi le domande fondamentali sulla persona e sulla missione di Gesù. Ecco perché Giovanni pone abitualmente tra la presentazione del segno e la sua corretta interpretazione un discorso di Cristo.

Così la liturgia non cerca la spettacolarità, i gesti ad effetto, i sentimentalismi. Il rinnovamento ha reso i segni più semplici, più trasparenti, capaci di aiutarci nella vera ricerca di Gesù e del suo mistero. Studiare i gesti per intenderne e vivere lo spirito nella fedeltà allo spirito, come vogliono le Costituzioni e il Padre Fondatore. Un gesto fatto solo perché rubricato, ma distratto e bistrattato, con una recitazione monotona e stanca, non può schiudere il mistero. E non stimola alla ricerca di Gesù, non ne stuzzica la fame: Signore, dacci di questo pane.

Si possono rintracciare tre reazioni diverse davanti ai segni. L’accecamento volontario di chi rifiuta di vederli, di prenderne atto. La miopia di chi si ferma alla materialità del segno e non sa guardare nella direzione suggerita dal segno. Dice un proverbio cinese: se tu indichi cin un dito il cielo allo stupido, lo stupido guarda il tuo dito. La penetrazione che va oltre il segno e scopre il segreto dell’identità personale di Gesù.

Voi mi cercate, ma non avete capito che cosa il segno del pane suggeriva a proposito della mia persona e della mia missione. Gesù non è un facitore di miracoli, ma egli stesso, nella sua persona, è il segno della salvezza.
“impegnatevi non per il cibo che perisce, ma per il cibo che dura per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà”.

Il discorso si snoda tra domande e risposte, quasi ad ondate successive, fino alla grande e completa auto rivelazione di Gesù: Io sono il pane della vita, il pane “vero”. Questo aggettivo, a differenza delle lingue moderne, in Giovanni assume un significato profondo: ogni evento biblico è tipo e acquista un significato definitivo in Gesù. È cibo la manna, ma è tipo di Gesù, il vero pane. Anche la manna venne dal cielo, ma è il Padre mio che oggi dà il pane del cielo, quello vero.

Sì, i padri hanno mangiato la manna del cielo, ma il vero pane di Dio è colui che viene dal cielo e dà la vita al mondo.

Non siamo ancora al discorso eucaristico propriamente detto, ma già Gesù si presenta nella sua origine divina, fonte di vita eterna, fonte di vita eterna: chi crede in me, non avrà più fame.

Signore, dacci sempre di questo pane. È anche la domanda del nostro pane quotidiano, precisa il Catechismo, che, preso alla lettera, quotidiano va inteso pane sovra sostanziale: chiede oggi il pane della vita, senza il quale non abbiamo in noi la vita, parola di vita a cui dobbiamo credere.

Nel deserto gli ebrei mussitabant, mormoravano: fossimo morti in Egitto presso la pentola, mangiando a sazietà. E il signore misericordioso mandò loro manna e quaglie. Nel nostro attuale deserto, fatto di privazioni e solitudine, sempre in crescendo, forse anche noi pensiamo con nostalgia all’operoso e gratificante servizio alle genti, e mentre accettiamo l’umiliante servizio di chi ci aiuta esclamiamo: fossimo morti sulla breccia, durante i grandi lavori apostolici! Ma il Padre ci vuole nel deserto, fiduciosi in Lui.

E anche a noi dona il conforto della parola e del pane della vita, sostegni necessari nel nostro pellegrinaggio terreno.

Quando Giuseppe Verdi si recò a visitare l’erigenda casa di riposo per gli artisti, domandò: Dov’è l’Oratorio? E alle obiezioni rispose: No, no, l’Oratorio ci vuole, sono vecchi, hanno bisogno di pregare. E nella casa di riposo da lui voluta e finanziata fu eretta al centro la casa della preghiera con il tabernacolo.

Con Giuseppe, Maria ricerca ansiosamente Gesù e, trovatolo nel tempio, custodiva gelosamente il ricordo di tutti questi fatti, meditandoli in cuor suo.
Last modified on Saturday, 07 February 2015 21:54

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