È la terra pagana della Decapoli e cioè della “Lega Nord” delle dieci città greco-romane che si oppongono all’ingerenza meridionale degli odiati giudei. E i superbi giudei ricambiano i pagani con il titolo di cani. Lo stesso Gesù lo ricorda alla Cananea siro-fenicia. Nulla di nuovo nella storia di ogni paese, ne siamo tutt’ora testimoni.
Un coraggioso viaggio missionario di Gesù? Sì, Gesù instancabile vagabondo, non rimane legato al suo popolo meridionale della Galilea; si spinge in zone lontane e infedeli. Marco vuole così mettere in evidenza lo Spirito di universalità di Gesù, la sua apertura a tutti gli uomini. Gli apostoli ne prendono atto.
Viaggio simbolo: la salvezza è per tutti. Ed è anche un viaggio di riposo in cerca di un po’ di solitudine e di tranquillità, lontano dalle diatribe dei farisei che si fanno sempre più insidiose.
Ma lo precede la fama di taumaturgo, di guaritore e la folla lo ricerca.
Gesù si trova costretto ad operare due grandi miracoli: la guarigione di una donna siro-fenicia e la guarigione di un sordo-muto.
Tre le componenti di questo miracolo: la solidarietà di ebrei che presentano il muto, l’umanità di Gesù che è visibilmente commosso, la divinità di Gesù che opera il miracolo
L’incontro preliminare avviene attraverso un atto di solidarietà: la mediazione della folla che lo presenta, anzi degli stessi ebrei come lo dimostra l’acclamazione finale che è tratta dal profeta Isaia:
“Fa udire i sordi, fa parlare i muti”. Una solidarietà che ci richiama la prima lettura: “Fratelli, non fate preferenze. Accogliete non solo il ricco vestito splendidamente, ma anche il povero con il vestito logoro”.
Il defunto vescovo di Molfetta, non senza critiche, ha aperto la sua casa a giovani sbandati ed emarginati. Un giorno vede sulla porta della chiesa un povero cencioso e che fa? Te lo piglia a braccetto e fa il suo ingresso tra lo stupore dei benvestiti e lo scandalo dei benpensanti.
La gente porta a Gesù un uomo non udente. La mancanza dell’udito rende difficoltoso l’esercizio della parola. Un handicap non congenito; infatti appena guarito, subito, gli è stato possibile esprimersi correttamente.
La gente ancora chiede a Gesù di imporre le mani come facevano guaritori e medicastri. E Gesù accondiscende alla mentalità corrente e si adatta alla praticaccia in voga, non certo di buon gusto: dita e saliva. E si immedesima anche alle capacità dell’handicappato; si esprime cioè con gesti. Ma ciò che dà efficacia al gesto è la parola viva di Gesù: “effata’”, parola che Marco conserva nel suono originale, l’aramaico, quasi per farci gustare la parola viva di Gesù “effata, apriti”.
Sono gesti e parole che la liturgia ha voluto riprendere nel santo battesimo, per significare che diventando cristiani riceviamo la capacità e il dovere di ascoltare la Parola di Dio e il dovere di partecipare attivamente e consapevolmente alla preghiera della Chiesa.
Oltre alla rudimentale tecnica dell’imposizione delle mani, delle dita e dello sputo, Marco evidenzia due atteggiamenti caratteristici: gli occhi verso il cielo ed il sospiro.
Un sospiro che, nota il testo originale, scuote il petto, espressione di una profonda commozione, che condivide il dolore umano. Gesù è veramente uomo.
Gli occhi verso il cielo, quasi a mettersi in comunicazione con il Padre con cui condivide la natura, la potenza e la gloria: Gesù è veramente Dio.
Sguardo e sospiro che la liturgia richiama nella celebrazione eucaristica, in cui Gesù è realmente presente in corpo, sangue, anima e divinità.
E tutto avviene in un clima di raccoglimento e di delicatezza: Gesù opera in disparte, lontano dalla folla. E poi impone il silenzio su tutto quel che è accaduto. Invito a far la carità con discrezione, senza mettersi in mostra. Così come suggerisce il sarto del Manzoni alla sua bambina: “Va qui da Maria, la vedova, e portale questa roba. Ma con buona maniera, v’è; che non paia che tu le faccia l’elemosina. E non dir niente se incontri qualcuno”.