Marco prende lo spunto dall’esorcista estraneo alla comunità apostolica, che suscita l’invidia delle pretese degli apostoli, invitando alla tolleranza. L’invidia, mi diceva sovente, in dialetto, mio papà, è una febbre che è mai morta, e determina nella vita comunitaria disagio, amarezza. Per questo il vangelo si conclude con un accenno alla carità che come il sale dà sapore e gusto alla vita comunitaria, conservandone la serenità.
“Abbiate sale in voi! Conservate la pace!”, lo evidenzia Paolo scrivendo ai Colossesi, “che i vostri atteggiamenti siano sempre benevoli, conditi di sale, con l’arte di rispondere a ciascuno nel migliore dei modi, con gentilezza e intelligenza” (4,5).
In questo testacoda di tolleranza e di pace, ecco inserirsi la parola “scandalo”. Il vocabolo greco, scandalo, non ha per sé quella risonanza negativa che assume oggi di pericolo spirituale, di turbamento, di peccato. Scandalo era per i greci il sasso, l’ostacolo, il trabocchetto, la trappola. Per gli ebrei, scandalo era un qualcosa che metteva in pericolo la salvezza. Per Gesù, scandalo è tutto ciò che incrina la sicurezza dei piccoli, dei deboli e li distoglie dalla loro fede, e impedisce l’accesso al regno dei cieli. E lo scandalo divenne vergogna, ristretto ad amicizie equivoche, a qualche libro proibito. Classico il detto di Dante: galeotto fu il libro e chi lo scrisse.
Ma nella società odierna, lo scandalo è balzato alla ribalta, spavaldo, esaltato dai mezzi di comunicazione. Stampato, illustrato, tele visionato, s’insinua facilmente in qualsiasi ambiente e tra le pareti domestiche, e con qualche piccolo taglio superano la censura ed entrano in qualsiasi fascia oraria. L’atmosfera che ci avvolge si satura di veleni: frivolezze, indecenze, violenza, pornografia, e cade ogni tabù, anche perché tutto può essere ora visto nel segreto della propria camera o ufficio.
“Corrompere ed essere corrotti, questa è vita”, proclamava il poeta della Roma pagana. “È bello e affascinante essere protagonisti dello scandalo”, lo affermavano pochi anni fa i divi dei film pornografici, mentre oggi sembra esser la prassi di chi vuol essere tra le notizie del giorno…
E milioni di bambini e di adolescenti sono oggi soggetti passivi e attivi di scandalo per la droga, la pornografia, la criminalità. Le conseguenze prospettate da Gesù per chi dà scandalo sono spaventose e lo fa con tre immagini che incidono fortemente sulla fantasia: la mola asinaria che fa da macina, l’assemblea dei menomati, la Geenna, valle del fuoco.
La mola asinaria, grossa pietra mossa dall’asino per macinare. A forma di campana, forata al centro e legata al collo del condannato ne assicuravano l’annegamento. Ed è a questa crudele immagine che Gesù ricorre per dissuadere chi attenta alla fragilità della gioventù. Quanti cammini di fede, quante coscienze si sono oscurate di fronte alla dissacrazione dei mass media, osservava il Card. Martini.
Ma la minaccia dell’asino non ci tocca più di tanto, anzi la condividiamo perché diretta ai provocatori dello scandalo, a chi violenta il mondo della gioventù, rompendone la gioia di vivere e avviando verso la violenza.
La prospettiva della Geenna però ci tocca dal vivo. Lo scandalo fa parte del nostro essere, della nostra fragilità. La Geenna, la valle dell’Hinnon, la valle dell’inferno era un avvallamento che scorreva a sudovest di Gerusalemme. Anticamente vi erano offerti sacrifici umani, fanciulli e fanciulle gettati nelle braccia infuocate del bronzeo dio Molok. Un uso bollato dalla voce dei profeti e perciò gli ebrei ne fecero una discarica per i rifiuti e per i cadaveri insepolti. Il vangelo cita Isaia: “il loro verme non muore e il suo fuoco non si estinguerà”. La valle diventa così per evoluzione semantica il luogo della pena escatologica e del tormento eterno. Geenna è simbolo di giudizio e di dannazione.
“Se il tuo piede, se la tua mano, se il tuo occhio ti è di scandalo… taglia, tronca, getta e mano e piede e occhio… e così entrerai nel regno”. Certo il linguaggio è duro, ma per fortuna l’invito alla triplice mutilazione è metaforico, altrimenti avremmo una immensa assemblea di menomati: monchi, zoppi, guerci. Tuttavia è pur sempre un linguaggio di una serietà eccezionale. È un invito a tagliare netto con qualsiasi occasione di peccato, qualsiasi compromesso con il male, costi quel che costi, anche la mutilazione. I martiri lo testimoniano.
La triplice mutilazione di membra così importanti ne sono un simbolo incisivo. L’occhio che sbircia, la mano che si allunga, il piede che sbanda, stanno ad indicare che ogni cristiano, ogni religioso, ogni sacerdote, può venire colto dal peccato che parte dall’intimo.
La Parola del Signore ci chiama alla rinuncia quotidiana radicale, al taglio immediato anche se doloroso. Forse per questo il vangelo dello scandalo si conclude con l’immagine dell’olocausto. Nell’olocausto la vittima veniva cosparsa di sale misto a grani tritati e oliati per essere interamente bruciata, senza nulla trattenere ne condividere. Sacrificio totale, completamente offerto a Dio, sulla scia del sacrificio eucaristico. Solo così entreremo nel regno dei cieli.