L’insegnamento e l’opera di Fra Junipero Serra

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Padre Arturo Alcantara Arcos ha relazionato nell’ambito del Consiglio Nazionale Italiano nel Complesso della Madonna del Divino Amore sull’attività e l’impegno di Fra Junipero Serra. Un intervento preziosissimo per tutti i serrani e non solo, che ha aiutato a comprendere con grande freschezza e precisione come ancora oggi non solo il Serra International come club service a sostegno delle vocazioni sacerdotali ma diverse missioni nel mondo, almeno ventuno, continuino accuratamente il loro lavoro sulle orme del frate francescano che ha convertito la California. Ringraziamo di cuore Padre Arturo Alcantara Arcos per averci inviato il suo questo prezioso resoconto dal titolo “Junipero Serra nell’opera di Fra Francisco Palou” che pubblichiamo integralmente di seguito.

Ringraziamenti e introduzione

Desidero ringraziare cordialmente la Presidente Nazionale, la professoressa Maria Luisa Coppola per le sue gentili parole di presentazione. Con la Professoressa Coppola mi unisce un’amicizia che dura ormai da molti anni, che in realtà è una triplice amicizia dove il terzo amico, quello che ci accomuna e ci congiunge è il beato Junípero Serra.

Con il beato Serra sono indissolubilmente legato per diverse ragioni. Da una parte per la terra che ci ha visto nascere, perché entrambi siamo nati in Spagna e poi per la terra che egli scelse come luogo di missione, l’antica Nuova Spagna, l’odierno Messico che è la mia nazione.

Inoltre per una felice coincidenza sono stato ordinato presbitero la vigilia della solennità di Cristo Re dell’universo nell’anno 2007. Si tratta di una festa mobile per cui vi è un leggero slittamento ogni anno e quindi la solennità non si celebra nello stesso giorno di anno in anno bensì con leggere varianti di alcuni giorni. Nel 2007 la vigilia cadde nel giorno 24 novembre, giorno della nascita di Junípero Serra e giorno importantissimo per i serrani in tutto il mondo. Così posso dire che sono stato ordinato come un sacerdote serrano.

Alcuni mesi fa la professoressa Coppola mi ha chiesto di tenere la presente relazione quale riflessione spirituale e vocazionale a partire dalle opere scritte sul beato Serra. Per farlo ho preso come fonte l’opera che rimane la biografia più importante che possediamo del beato cioè quella scritta da fra Francisco Palou, suo alunno e poi suo compagno nelle missioni apostoliche. Si tratta di un’opera poco conosciuta in Italia, infatti non è disponibile in lingua italiana, ma è facilmente reperibile sia in inglese che in spagnolo. In quest’ultima lingua esiste anche qualche versione leggibile su internet in maniera gratuita.

L’opera di Palou

L’opera di fra Francisco Palou è la più importante per conoscere la vita di Junípero Serra perché si tratta di un frate suo conterraneo che è stato prima suo discepolo e poi suo compagno nelle attività apostoliche.

Francisco Palou è nato stessa isola di Maiorca circa nel 1722 e morì tra il 1789 e il 1790. Entrò a far parte dell’ordine francescano a Palma e poi studiò sotto la guida di fra Junípero Serra. Anche lui diede ai superiori la sua disponibilità per partire per le missioni del nord della Nuova Spagna per cui entrò a far parte del Collegio di san Fernando di Città del Messico forse già nel 1740.

Fra Francisco Palou lavorò insieme a fra Junípero nelle missioni di Sierra Gorda, Queretaro in Messico fino al 1759 quando fu chiamato a lavorare nella regione di San Sabàs nel Texas. Il collegio di san Fernando però non amministrò le missioni texane per molto tempo ancora per cui poco dopo Padre Palou fece ritorno a Città del Messico dove rimase fino al 1767. In quell’anno Padre Serra insieme a Padre Palou e ad altri quattordici francescani fu inviato alle missioni della Bassa California ovvero all’attuale penisola dello stesso nome in Messico e nel 1769 partì per le missioni della allora Alta California oggi conosciuta solamente come California ovvero l’attuale Stato omonimo dell’Unione Americana.

Nel 1784 Padre Palou, ancora missionario nell’Alta California fu chiamato alla missione di san Carlos per amministrare gli ultimi sacramenti al suo amico e maestro il beato Junípero Serra. Durante il suo soggiorno nella missione di san Carlos scrisse la vita di Padre Serra che fu pubblicata nel 1787 a Città del Messico, appena tre anni dopo la morte del beato.

Una biografia di ricordi personali

Certamente non posso fare in pochi minuti un riassunto dell’opera di Palou che altro non sarebbe che un riassunto della vita del beato Serra. Vorrei piuttosto presentarvi alcuni elementi della conclusione della sua opera dove, secondo il linguaggio e lo stile dell’epoca Padre Palou intende dimostrare come Padre Junípero abbia vissuto le sette virtù cristiane, ovvero le quattro cardinali e le tre teologali. Questo lo fa attraverso una serie di ricordi personali dei quali ne presento alcuni.

Sulla prudenza Padre Serra è ricordato da fra Francisco Palou come un uomo che dimostrò di possedere questa virtù attraverso una straordinaria capacità di governo che lo rese amato da coloro che aveva sotto la sua guida. Padre Palou ricorda come Junípero Serra amasse visitare le comunità che erano da lui governate e che non passava un anno senza che ciò avvenisse, naturalmente con vie di comunicazione molto diverse da quelle odierne.

La giustizia nel senso teologico del termine fu vissuta da Junípero Serra, secondo Padre Palou, in maniera eminente nel modo in cui obbediva ai superiori. Questo si manifestò nella sua esistenza soprattutto con gli spostamenti, e con i vari incarichi che gli furono affidati.

La fortezza secondo il linguaggio dell’epoca ma con contenuti che rimangono validi fu vissuta da Padre Serra in maniera evidente dalla modalità con cui sopportò per più di venti anni la piaga del piede. Padre Serra non si lamentava della sua sofferenza nonostante le distanze che doveva percorrere, per cui chi era vicino a lui non si accorgeva facilmente della sua infermità. Egli infatti ne parlava solo quando ciò era inevitabile.

Sulla temperanza fra Francisco Palou racconta di come egli cercasse di non essere di peso agli altri nei suoi progetti missionari. Questo racchiude un grande valore soprattutto considerando l’immenso zelo apostolico che lo spingeva e che facilmente avrebbe potuto portarlo ad eccessi ma che invece visse in maniera molto equilibrata.

Per quanto riguarda la prima delle tre virtù teologali, la fede fu vissuta da fra Junípero secondo Palou in maniera eccelsa e questo emerse in molti momenti della sua vita in maniera evidente come quando decise la continuazione delle missioni nonostante il martirio di alcuni dei suoi membri, ponendo in Dio la speranza di una pronta pacificazione degli animi e di una raccolta abbondante di frutti spirituali nonostante le difficoltà iniziali.

Padre Serra mantenne la speranza anche nelle circostanze più difficili e per illustrarlo Padre Palou racconta il caso di un indigeno a cui cadde addosso un albero. Avendolo saputo, Padre Serra non si perse d’animo e lo affidò all’intercessione di san Bernardino. L’indigeno sopravvisse a quella che doveva essere una morte certa e ciò divenne un motivo di propagazione della fede tra le persone dell’area.

Sulla carità intesa qui come amore per Dio, Padre Palou vede una manifestazione di questo amore nel modo in cui voleva l’ornamentazione delle chiese e le sagrestie delle missioni che costruiva. Non solo voleva le chiese belle in modo sommo ma voleva anche che non si negasse nulla che venisse richiesto per il culto.

Alcune esortazioni

Dalla lettura dell’opera di fra Francisco Palou sulla vita del beato Serra, emerge che la scelta della figura del beato Junípero come patrono del movimento a favore delle vocazioni che costituisce oggi il Serra Club è stata autenticamente profetica. Il beato Serra infatti visse in un periodo in cui regioni intere non lontane da quelle cristiane non conoscevano affatto il cristianesimo. Egli viveva inoltre nella costante necessità della presenza di nuove forze vocazionali, che seppure non mancavano nel suo tempo, sovente queste rimanevano nelle aree cristiane per cui possiamo comprendere che nelle sue preghiere era costante la richiesta al Padrone della messe perché continuasse a inviare operai per la sua messe.

Il nostro mondo contemporaneo somiglia tanto a quello di Padre Serra. Non lontano dai centri dove si ascolta la Parola di Dio succede che immensità di persone non conoscono il messaggio di Gesù Cristo. Inoltre sono pochi i giovani, anche tra quelli impegnati dal punto di vista cristiano, che decidono di essere generosi con il Signore e di lasciare i propri ambienti e le proprie comodità per partire alle novelle terre di missione che non sono più i deserti o le sterminate terre del nord della Nuova Spagna ma sono le sterminate terre vuote e i deserti interiori degli uomini dei nostri giorni.

Vorrei ora presentarvi cinque esortazioni, a partire dagli scritti di Padre Palou sul beato Junípero Serra.

1) La realtà vocazionale e la necessità della testimonianza.

Da quanto emerge nella vita del beato Serra, un’autentica testimonianza che possa esortare i giovani dal punto di vista vocazionale non può che partire da un’autentica testimonianza di fede personale. Questo significa che se non si vive in maniera profonda la propria fede è molto difficile che questa si possa trasmettere agli altri. Questo significa anche che se non si possiede un autentico amore per le vocazioni, esso non si potrà trasmettere ad altri e sarà allora piuttosto difficile esortare qualcuno a seguire questa via. Occorre allora domandarsi se nel percorso della propria vita cristiana famigliare, questa proposta è stata fatta ai propri figli, e se si sono creati gli spazi perché questa proposta potesse essere realizzata. Non si può infatti proporre agli altri quello che non si vuole per se stessi o per chi è vicino.

2) La carità alla luce della vita di fra Junípero.

Una carità che sia veramente benefica e non superficiale ne controproducente richiede una conoscenza più diretta della realtà dei seminari e dei seminaristi. Senza di ciò non può emergere una carità fruttuosa e incisiva nella vita dei beneficiati. Osservare i seminari e i seminaristi a distanza solamente, potrebbe portare ad avere un’immagine distorta di essi e a una modalità anch’essa distorta di fare opere di beneficenza.

3) L’ambito culturale: per una maggiore conoscenza della vita del beato Serra.

Nonostante l’immensa quantità di opere pubblicate in Italia sulla vita dei santi, rimane vero che in italiano al momento presente è disponibile presso le librerie che hanno vendite su internet una sola biografia del beato Serra, scritta da Padre Gianmaria Polidoro. Essa ha il merito di non lasciare questo spazio totalmente vuoto anche se si tratta di un’opera che non supera le cinquanta pagine. In inglese e in spagnolo come ho già accennato le varietà editoriale esistente sul medesimo argomento è molto contrastante. Vi sono una grande quantità di biografie e di opere scritte su fra Junípero in inglese, così come qualche edizione del suo Diario e in spagnolo è disponibile perfino in maniera gratuita la eccellente biografia del Palou su internet. Questo non può rimanere così. Da un lato la traduzione in italiano dell’opera di Padre Palou è una necessità imperante. Dall’altro lato invece si potrebbe pensare a una biografia di carattere scientifico secondo i criteri odierni dove venisse inclusa la storia successiva di ciascuna delle missioni fondate da Padre Serra fino ai nostri giorni. In entrambi i casi queste pubblicazioni sarebbero un servizio alla Chiesa in Italia e un grande strumento per i serrani di lingua italiana. Poi in un secondo momento sarebbe bene pubblicare anche i suoi scritti che potrebbero diventare nel tempo oggetto di studio tra i serrani.

4) Una spiritualità vicina ai luoghi del beato Serra.

Una iniziativa molto positiva potrebbe essere quella di organizzare dei pellegrinaggi, forse una volta all’anno al luogo della sua nascita e dei suoi primi anni ovvero a Maiorca e forse ogni due anni o anche tre ma in maniera regolare ai luoghi delle missioni, ovvero il centro del Messico e la Bassa California così come l’antica Alta California cioè l’odierno Stato americano omonimo. Questo permetterebbe ai serrani di approfondire la propria fede attraverso una conoscenza visiva e diretta di quanto fu realizzato da fra Junípero.

5) La preghiera per le vocazioni unita a una maggiore conoscenza teologica.

La Chiesa contemporanea non abbisogna di un cristianesimo sociale o aggregativo solamente: l’elemento più importante è la testimonianza personale. Questa testimonianza deve essere coadiuvata da una catechesi più approfondita, consapevoli che non si può amare ne far amare ciò che non si conosce in profondità.

Riflessione conclusiva: un racconto dalla vita di Junípero Serra

Nostra vocazione di cristiani del mondo contemporaneo è guardare con speranza il tempo che il Signore ci ha donato, con le sue potenzialità e le sue problematiche, con le sue grandezze e le sue miserie. Viviamo in una nuova tappa della storia della Chiesa, una tappa nella quale come affermò Benedetto XVI nel libro-intervista Luce del mondo molto probabilmente la quantità di cristiani praticanti si ridurrà ulteriormente ma coloro che resteranno all’interno della Chiesa saranno cristiani più convinti e decisi della loro fede e questo diventerà una calamita per la generazione successiva divenuta vuota e senza riferimenti fermi.

Per quanto alle vocazioni, non di rado sia nell’ambito laicale che in quello ecclesiastico vediamo la scarsità che il nostro tempo ci riserva come una difficoltà insormontabile, minaccia grave per gli anni futuri e motivo di interroganti su un domani non lontano. Eppure per Dio, che è capace solo lui di creare dal nulla, di toccare i cuori di pietra e renderli di carne, di far fiore il deserto e far nevicare quando il calore sembra essere più soffocante, non ci sono cose insormotabili. A questo proposito ci può essere di aiuto ricordare uno dei racconti più belli presenti nella biografia del beato Serra scritta da Padre Palou.

Nell’anno 1771 un piccolo gruppo di soldati spagnoli accompagnava i frati nei pressi dell’odierna città di Los Angeles dove poco tempo dopo sarebbe sorta la missione di san Gabriel. I missionari e i soldati avevano camminato per un lungo tratto senza essere disturbati, ma all’improvviso, videro una quantità enorme di indigeni che si avvicinarono a loro in maniera molto aggressiva.

Uno dei frati, vedendo la situazione, comprendendo il pericolo in cui si trovavano e la quantità di sangue che poteva essere sparso, prese uno stendardo della Madonna Addolorata che portava con sé.

Per sua grande sorpresa al guardarla, in maniera miracolosa gli indigeni che erano stati così aggressivi lasciarono immediatamente le loro armi e rimasero come incantati dinanzi a quell’immagine.

Il nostro tempo somiglia molto a questo racconto. Per un lungo tratto non vi sono state difficoltà nell’ambito vocazionale nella storia della Chiesa e sembrava che si potesse proseguire indisturbati ancora per un lungo percorso. Ma all’improvviso novelle correnti di pensiero, ostilità da diverse parti emerse quali archi di guerrieri affacciati in mezzo ai sentieri che costituiscono i nostri giorni, mancanze gravi di una testimonianza cristiana autentica dall’interno spuntate come se fossero uomini armati da frecce avvelenate, tutti insieme si presentarono dinanzi al percorso della Chiesa minacciando il suo avanzare per le strade della storia.

Non pochi si sono aggiunti a un clima facilmente propagato per cui tanti giovani che una volta erano vicini alla Chiesa sono diventati anch’essi lontani e diffidenti. Viceversa da parte nostra ci si sente indifesi come i frati della futura missione di san Gabriel e si scopre in un baleno che come nei primi secoli della Chiesa siamo tornati a essere una minoranza per cui non sarebbero di utilità le armi dell’imposizione, come pure non sarebbero serviti i fucili dei soldati spagnoli per far conoscere il messaggio di amore e di salvezza del Signore Gesù a chi era diffidente e ostile in maniera predisposta.

Piuttosto il nostro è il tempo di prendere lo stendardo della bellezza di Dio come fece il frate anonimo che prese lo stendardo della Vergine nella futura missione di san Gabriel. E’ il tempo di dire ai giovani specialmente che Dio è bello sopra ogni bellezza terrena, che amarlo è essere amati ineffabilmente da lui, che servirlo è regnare nel Regno dei cieli, che vivere per lui è vivere eternamente e che morire con lui è risuscitare a vita eterna.

Siamo chiamati a trasmettere la bellezza di Dio a chi ci ascolta, specialmente alla generazione più giovane apparentemente così autosufficiente e forte ma in realtà così fragile, così manchevole di amore e di affetto, così smarrita sulle cupe vie di un mondo che non presenta certezze, spesso navigante senza bussola nei mari della vita.

Siamo certi che i giovani conoscendo il Signore della bellezza, di quella bellezza che si riflesse sullo stendardo della Vergine, rimarranno affascinati e avranno trovato ciò che più reconditamente cercano e che solo li può pienamente soddisfare e non pochi di essi decideranno di dedicare la propria vita per fare conoscere ad altri la bellezza che hanno incontrato. Lo stendardo della bellezza di Dio infatti ha la capacità di attirare, di incantare, di affascinare, di rendere facile ciò che prima era difficile e realizzabile ciò che fino a ieri era impossibile.

La bellezza di Dio è dunque lo stendardo che può illuminare le ore che costituiscono i nostri giorni talvolta tristi e smarriti, i giorni che costituiscono le nostre settimane e mesi sovente aridi e vuoti, i nostri anni che senza un senso soprannaturale finiscono in un buio profondo e poi in un nulla che spaventa anche ai più forti.

La nostra forza è la bellezza di Dio, la bellezza eternamente giovane, la fonte perenne della gioia, l’inesauribile sorgente della pace, la sola via per la realizzazione più profonda della propria esistenza e di quella altrui, l’unica bellezza che può completamente soddisfare il cuore, la mente e l’anima degli uomini e far diventare la propria vita una vita bella per sé e per gli altri.

Padre Palou conclude il racconto dello stendardo della Madonna Addolorata con un altro racconto quasi identico. Nella missione di san Diego i frati avevano portato un’immagine della Madonna con il Bambino in braccio e presto non poche donne arrivarono chiedendo di poter abbracciare il bambino e di allattarlo.

Questo che ci potrebbe sembrare un racconto semplicistico e quasi infantile, seppure raccontato con un tono di immensa meraviglia da parte di Padre Palou, forse racchiude alcuni elementi estremamente più profondi e celati.

Seppure l’immagine della Vergine e del Bambino Gesù fossero nuove per gli indigeni, essi conoscevano l’arte della pittura per cui potevano ovviamente distinguere tra un dipinto e una persona viva. Che cosa videro allora che li motivò a portare subito del cibo per la Madonna nella missione di san Gabriel e che cosa li spinse a voler avere in braccio il Bambino nella missione di san Diego? Non lo sappiamo. Da un punto di vista poetico e spirituale possiamo però domandarci se hanno visto solo lo stendardo o hanno visto altro al punto che portarono dei doni e vollero abbracciare il Bambino e sua Madre come se fossero persone vive.

Questa ultima parte del racconto ci deve incoraggiare grandemente. Quando tenteremo di innalzare lo stendardo della bellezza di Dio in mezzo a chi ci circonda, nella testimonianza che siamo chiamati a dare anche tra chi è ostile e diffidente, tra chi è lontano e si è smarrito, tra chi non risponde e che si perde, non ci deve scoraggiare che l’immagine della bellezza di Dio che riusciamo a trasmettere sia imperfetta e monca. In realtà gli stendardi dei frati sicuramente non erano capolavori dei più eccelsi maestri ne opere delle botteghe più raffinate, ma forse furono il Signore e la Vergine a renderli belli in modo soprannaturale in quei momenti.

Così non temiamo di camminare in mezzo alle selve ime e ai boschi nuvolosi del nostro tempo, in mezzo ai deserti interiori e alle terre spirituali disabitate di senso, in mezzo a chi è avverso e indifferente, in mezzo a chi è lontano e remoto. Nostro compito è di sforzarci di presentare la bellezza di Dio con l’aiuto della grazia del Signore Gesù, consolidati dall’amore del Padre e con la comunione che ci dona il suo Santo Spirito pure in mezzo ai nostri limiti spesso evidenti, alle nostre forze talvolta ridotte, alle nostre mancanze, peccati e fragilità.

Il Signore che ci ha chiamato a far conoscere lo stendardo della sua bellezza sarà con noi e la farà contemplare lui stesso nonostante le nostre incapacità e insufficienze ogni volta che saremo riuniti nel suo nome e ogni volta che pregheremo il Padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Di questo ne siamo certi, ne siamo convinti e ne siamo persuasi perché egli stesso l’ha promesso: “dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20).

Andiamo allora sicuri e gioiosi e camminiamo per le strade, vie e percorsi che il Signore ci indicherà innalzando lo stendardo della bellezza di Dio, certi che chi lo contemplerà non potrà non sentire il fascino della persona di Cristo, non potrà non essere coinvolto dalla comunione dello Spirito, e non potrà non sperimentare l’amore dell’eterno Padre.

E’ nostro compito innalzare lo stendardo della bellezza di Dio nella nostra esistenza. Il beato Junípero Serra ci assisterà e ci accompagnerà lungo il percorso della nostra vita perché lo possiamo portare con noi fino a quando andremo incontro al Signore dove non avremo più bisogno di stendardi perché contempleremo la sua bellezza senza veli e senza immagini.

Canonizzazione Junipero Serra. P. Califano: fu un uomo umile

Grande attesa oggi, nel Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione a Washington, per la Santa Messa presieduta dal Papa per la Canonizzazione del Beato padre Junipero Serra, apostolo della California. Nato nel 1713 a Maiorca, Junipero Serra entra nell’Ordine dei Frati minori. Cattedratico di teologia a 35 anni, parte per il Messico poi la California. Fondò numerose missioni. “Sempre avanti e mai indietro”, diceva sempre. Il nostro inviato,Massimiliano Menichetti, ha intervistato in esclusiva il postulatore generale, padre Giovanni Giuseppe Califano, a Washington per la Canonizzazione:  R. – “Un innamorato del Vangelo”. Non trovo una espressione migliore per sintetizzare la personalità spirituale e umana del nuovo Santo. Possiamo dividere la sua vita di religioso in due grandi fasi: circa 35 anni trascorsi nella sua patria, a Maiorca – di cui 20 come sacerdote dell’Ordine dei Frati minori – e altri 35 anni vissuti come missionario nel Nuovo Mondo, cioè nella regione dell’attuale Messico e della California. Sia nell’una che nell’altra fase della sua vita, padre Junipero fu un instancabile predicatore della Parola di Dio. Infatti, a Maiorca affiancò alla sua attività di insegnante di filosofia e di teologia nella Università Lulliana un’intensa attività pastorale, fatta di missioni al popolo, di predicazioni quaresimali e di omelie in occasione delle solennità liturgiche, quando era invitato come predicatore. Questa stessa passione per la Parola di Dio e per la Chiesa lo spinse poi a farsi missionario. Nel 1749, padre Junipero partì per il Nuovo Mondo, sulle tracce dei grandi Frati minori che lo avevano preceduto, come San Francesco Solano e il Venerabile Antonio Margil: proprio dalla lettura delle gesta dei missionari, nacque in lui questo desiderio. La sua prima azione missionaria si svolse nel territorio della Sierra Gorda, oltre duecento chilometri a nord di Città del Messico. Qui restò otto anni, dal 1750 al 1758. Dieci anni dopo, nel 1768, padre Junipero fu inviato nelle missioni della Bassa California, da dove poi estese la sua azione apostolica verso il nord, fondando le nuove stazioni missionarie nel territorio dell’attuale California.

  1. – Dalla biografia di Junipero Serra emerge forte l’apostolato missionario: dunque, l’azione pastorale intrecciata alla difesa dei diritti dei nativi, la carità verso i poveri … E così?
  2. – Indubbiamente. I Frati minori che si recavano nelle missioni del Nuovo Mondo sostavano per circa due anni nel Collegio Apostolico di San Ferdinando, in Città del Messico, per apprendere lingua, usi e costumi delle popolazioni alle quali erano inviati. Si trattava di un vero processo di “inculturazione” – diremmo oggi – un’inculturazione necessaria ai religiosi per poter comunicare con i nativi. Con la sua viva intelligenza, Fra’ Junipero non ebbe difficoltà ad apprendere in breve tempo la lingua dei Pame, per mezzo della quale poté avvicinare le popolazioni della Sierra Gorda, che fu la sua prima destinazione. Questo sforzo di inculturazione mi sembra di poter dire sia stato il primo atto di carità di padre Junipero verso quelle popolazioni, cioè il desiderio di sentirsi uno di loro per essere vicino a tutti, con cuore di francescano per comprendere, per sostenere. E questo desiderio di immedesimarsi con i popoli, con le culture, lo accompagnerà per il resto della sua vita, anche negli anni successivi, nell’azione in California.
  3. – Ma l’attività di Junipero Serra non si limitò a questo…
  4. – Certamente no, perché ciò che facevano i missionari, e padre Junipero Serra per primo, fu un’autentica opera di promozione umana. I Frati minori che raggiungevano queste nuove terre insegnavano alla popolazioni nativa l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, le arti, la musica e l’architettura. Era un modo per stabilire condizioni di vita più dignitose per quelle popolazioni che certamente erano ancora senza il Vangelo, ma che avrebbero potuto anche essere facili prede di una colonizzazione senza scrupoli. Sono rimasti a noi come esempi mirabili di questa attività “artistica”, di promozione, le grandi chiese delle missioni di Sierra Gorda che oggi sono considerate patrimonio mondiale dell’umanità. Inoltre, bisogna ricordare che padre Junipero moderò la metodologia di approccio che i militari gli spagnoli erano soliti condurre quando si stabilivano in quelle terre: cioè, ad esempio non impose la lingua spagnola, lasciò un certo margine di libertà per le coltivazioni per le quali non era obbligatorio versare una quota-parte alla missione, non interferì nella gestione dei guadagni e dei risparmi che potevano venire da queste piccole attività agricole o di allevamento… Consentì che i nativi si allontanassero dalle missioni per lo scambio di merce con altre tribù, come erano soliti fare per la loro cultura. E soprattutto intervenne per chiedere la mitigazione delle pene quando qualcuno incorreva in una violazione della legge instaurata dagli spagnoli.
  5. – Quindi, come possiamo definire il contatto che ebbe padre Junipero con gli indiani?
  6. – Sicuramente, come in un rapporto tra padre e figli. Padre Junipero aveva la consapevolezza di avere generato alla fede in Cristo questi popoli e quindi desiderava amministrare personalmente il Battesimo quasi per assumersi nei loro confronti una responsabilità, una responsabilità di padre, mostrando che i Sacramenti creano un vincolo con il Signore, ma anche tra gli uomini. Quando ottenne l’autorizzazione ad amministrare la cresima – è un fatto del tutto eccezionale, come si può pensare – benché fosse affaticato già dagli anni e sofferente, padre Junipero si mise in viaggio per donare questo Sacramento alle popolazioni di California e si calcola che il numero delle Cresime gli egli riuscì a distribuire sia stato 5.309! Quindi, in sintesi, gli indiani costituirono il cuore del suo apostolato: nei limiti dell’obbedienza ai superiori, non ebbe rispetti umani per chi osava attaccare, approfittare o soggiogare gli indiani. Per questo amore viscerale e intelligente, padre Junipero non ebbe timore di affrontare a viso aperto le autorità politiche e militari che volevano sottrarre alla Chiesa il compito dell’evangelizzazione, il compito primario per cui questi missionari, con tanta generosità, con tanto zelo affrontavano viaggi, disagi, sofferenze per portare Cristo ai popoli.
  7. – In Junipero Serra si trovano dunque le radici degli Stati Uniti e del Vecchio Continente nell’abbraccio del cristianesimo…
  8. – E’ sufficiente ricordare i nomi delle grandi metropoli della California per rendersi conto di quanto il cristianesimo abbia caratterizzato la cultura e la civiltà degli Stati Uniti. Risalendo dal sud verso il nord, incontriamo San Diego, San Juan Capistrano, Los Angeles, San Buenaventura, Sant’Antonio, Santa Clara, San Francisco, la grande metropoli… Sono città che hanno avuto origine dalle stazioni missionarie stabilite dai Francescani lungo il cosiddetto “Camino Real”. Questa vasta area geografica in cui San Junipero operò – quindi, Maiorca, Messico e California – suggerisce in qualche modo come avvicinare il nord ed il sud del mondo, abbattendo frontiere: Messico, Stati Uniti, Mediterraneo, Paesi africani, Europa... Sono immagini, sono idee, che abbiamo vive in questo momento… Il cammino del Santo suggerisce un perenne valore della solidarietà. Al tempo di San Junipero gli aiuti giungevano con le navi che partivano dal Messico: ora la traiettoria della ricchezza sembra invertita, ma non è invertito né cambiato il dovere della solidarietà umana. Siamo convinti che questa solidarietà possa e debba nutrirsi degli ideali evangelici, dell’amore del prossimo, che è gratuito, non guardi al proprio tornaconto, non calcoli il proprio interesse.
  9. – Che cosa la colpisce personalmente della figura di Fra Junipero Serra?
  10. – Penso che la virtù più eminente del nuovo Santo sia stata l’umiltà. Non sarebbe stato umanamente possibile realizzare una tale moltitudine di opere senza una umiltà eroica. Il suo più antico biografo fu il discepolo padre Palou, il primo a insistere con convinzione su questo concetto dell’umiltà del Santo. Ed egli scrive, nella sua biografia, subito dopo la morte del nostro Santo: “Si reputava il più inutile… facendo comprendere di essere servo e senza alcuna abilità… Quanto maggiore era l’onore che gli si voleva attribuire, tanto maggiore era la ripugnanza che egli dimostrava e utilizzava tutti i mezzi che l’umiltà e la prudenza gli suggerivano, per evitare le occasioni di elogio”. Se sfogliamo la biografia di San Junipero, troviamo moltissime manifestazioni concrete di questa umiltà eroica: basti pensare che quando era missionario in Sierra Gorda e, come dicevamo, aveva stabilito questo rapporto fraterno con le popolazioni, gli fu ingiunto di ritornare in Messico, a Città del Messico, nel Collegio di San Ferdinando per poi immediatamente ripartire verso le missioni del Texas, perché si era verificato che la stazione missionaria di San Saba era stata distrutta, ed egli accettò senza alcuna esitazione questo cambiamento di servizio. Accadde però che le autorità spagnole giudicassero troppo pericolosa questa nuova impresa e quindi il Santo lasciò il luogo dove stava con tanto profitto, tornò a Città del Messico e dovette aspettare ben 10 anni per poi ripartire per le missioni. Quindi, veramente una grande umiltà: sentirsi un servi inutile là dove l’obbedienza lo chiamava ad essere. E in questi 10 anni in cui fu più stabile nella sua attività, allo stesso modo fu missionario perché si dedicò alla predicazione alle popolazioni, al ministero della confessione, fu anche maestro dei novizi… Quindi, una persona molto operosa che sapeva stare là dove l’obbedienza lo poneva. E quando stava in convento tra i suoi frati, sebbene fosse una persona nota, una persona ormai anche di successo, assumeva gli atteggiamenti consueti dei Frati minori come fosse l’ultimo dei novizi: era puntuale agli atti comuni, alla preghiera, praticava la mortificazione… Veramente, sapeva stare all’ultimo posto. Ce ne sono molti altri, di questi episodi, in cui si rivela l’umiltà del Santo. Giunse da Roma la patente per procedere alla Confermazione, ad amministrare quindi il Sacramento della Cresima: gli fu contestata, l’autenticità della patente, perché non era passata attraverso l’autorizzazione delle autorità spagnole. Lui seppe attendere, pazientare che gli fosse riconosciuto il suo diritto per poi ripartire con coraggio e con forza, nonostante la piaga che aveva alla gamba.
  11. – Lo ricordiamo: questa piaga come si era formata?
  12. – La piaga alla gamba si era formata al suo arrivo in Messico, procurata probabilmente da una puntura d’insetto. Portò infezione e lui l’ha portata pazientemente, questa piaga, per i 35 anni in cui è stato missionario. Ha viaggiato sempre a piedi: solo in una circostanza gli fu prestata una lettiga, proprio negli ultimi anni, quando era sofferente, ma ha camminato sempre sul dolore e questo certamente per un desiderio di conformità a Cristo, per un’offerta più autentica della sua vita e proprio perché si riteneva un nulla.
  13. – Le posso chiedere qual è, secondo lei, l’attualità di questo Santo? Cosa dice al giorno d’oggi questo Santo?
  14. – Vorrei ribadire intanto il concetto della solidarietà verso gli ultimi, perché San Junipero è andato verso le popolazioni bisognose che non conoscevano Cristo e ha portato il Vangelo e ha portato la cultura, come dicevamo. E quindi, penso che questo interagire tra i popoli e tra le culture sia un messaggio senz’altro di attualità del nuovo Santo. Certo, per noi Francescani è anche una gioia, una grande soddisfazione spirituale vedere ancora un nostro confratello innalzato agli onori degli altari, ma è anche una grande responsabilità, perché facendo memoria dei Santi, del loro zelo per la causa del Vangelo, anche noi possiamo essere presenti nel mondo.

Certamente in San Junipero nessuna virtù fu assente: una fede robusta, una speranza e una carità soprannaturali, e tutte le virtù cardinali. Ma l’umiltà fu indubbiamente la virtù che tutte le altre univa in un insieme armonico. Da vero figlio di San Francesco d’Assisi, San Junipero viveva l’umiltà come un basso sentire di se, come gioiosa semplicità francescana, come resistenza agli onori e ai posti di responsabilità, come pronta e generosa obbedienza agli ordini dei superiori. L’umiltà fu l’abito a lui più congeniale.

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Junípero, giullare di Dio ai confini del mondo

di Damian Bacich

Miguel José Serra.

Miguel José Serra nasce e viene battezzato il 24 novembre 1713 nella cittadina di Petra, sull’isola spagnola di Maiorca. Pur essendo mingherlino per la sua età e di salute un po’ cagionevole, fin da ragazzo nutre grandi aspirazioni. Il giovane José si appassiona alla lettura delle vite dei santi, rimanendo particolarmente affascinato dai racconti su san Francesco d’Assisi.

A quindici anni José lascia la famiglia per entrare all’Università Francescana di Palma di Maiorca, dove si iscrive alla Facoltà di Filosofia. A diciassette anni, grazie alla sua brillante intelligenza e maturità, viene ammesso nell’Ordine francescano, nonostante le preoccupazioni dei suoi superiori a causa della sua salute precaria. 

Vestendo l’abito francescano prende il nome di Junípero, che significa “giullare di Dio”, appellativo usato per lo stesso san Francesco. Nel 1737 viene ordinato sacerdote, e insegna teologia per sette anni all’Università Llullian di Maiorca.

Pur essendo molto apprezzato come docente, Serra non si accontentò di una normale carriera accademica. Era ansioso di poter visitare altri Paesi, cosa assai comune per gli isolani di Maiorca, che erano stati per secoli navigatori e cartografi, e consueta altresì per molti spagnoli dell’epoca di Serra che desideravano salpare per le lontane “Indie” (come erano chiamate a quei tempi le Americhe). Inoltre gli erano rimasti per sempre impressi nella mente i racconti eroici dei santi che aveva letto da ragazzo.

Il sogno di Serra, dunque, non era ispirato dall’ansia di scoprire nuovi tesori o di guadagnarsi glorie militari, ma piuttosto dal desiderio di annunciare l’avvenimento cristiano a coloro che non l’avevano ancora incontrato. Egli però sapeva bene che i primi discepoli furono inviati da Cristo a predicare a due a due, e così pregò per diversi mesi perché Dio gli mandasse un compagno.

Nel 1749 il suo sogno divenne realtà, quando incontrò un altro francescano della sua provincia che desiderava partire missionario per le Americhe. Il suo nome era Francisco Palou: accompagnerà padre Serra in molti dei suoi viaggi e sarà poi l’autore della sua biografia postuma. Assieme a diversi altri missionari francescani si imbarcarono verso le Americhe.

L’attraversata fu lunga e faticosa, ma quando fra Junípero finalmente sbarcò con i suoi compagni a Vera Cruz, sulla costa messicana, decise di proseguire a piedi per Città del Messico, mentre gli altri si misero in viaggio a cavallo. Lungo la strada Serra venne punto da un insetto su una gamba, che si gonfiò e gli lasciò una lesione permanente che gli rendeva difficoltosa la deambulazione. 

Giunto a Città del Messico, trascorse un periodo di studio nel collegio di San Fernando per prepararsi al servizio missionario. Poco tempo dopo iniziò la sua opera missionaria con altri frati francescani sui monti messicani della Sierra Gorda, dove predicava alle popolazioni native e fondò nuove missioni in territori che prima di allora erano stati estremamente ostili alla fede cristiana.

Durante la sua permanenza qui si guadagnò il rispetto dei suoi superiori e fu nominato “Presidente” delle missioni della regione. Nel 1758 fece poi ritorno al collegio San Fernando, dove si dedicò nuovamente all’insegnamento della filosofia per nove anni, finché non fu nuovamente chiamato alla missione in quella che era allora considerata la landa più sperduta del mondo: la Baja California.

Nel 1768 fu incaricato di guidare un gruppo di missionari francescani che avrebbero portato avanti le missioni della Baja California, fondate dai Gesuiti. Serra giunse a Loreto, Baja California, nell’aprile di quell’anno. Nel marzo del 1769 fondò la sua prima missione, San Fernando, Rey de España de Velicatá, nella parte settentrionale della penisola. Ma Junípero non rimase a lungo in quella zona; nel luglio del 1769 si aggregò a una spedizione in Alta California, dove consacrò la prima missione il 16 luglio nell’odierna città di San Diego. Durante la sua permanenza in Alta California, Serra sovrintese alla fondazione di nove missioni. 

Morì nella missione San Carlos (Carmel) il 28 agosto 1784, dopo una vita dedicata a diffondere instancabilmente il Vangelo tra le popolazioni native dell’Alta California.

La fama di apostolo di Cristo lo accompagnava già mentre era in vita, ma a causa dell’instabilità politica e degli sconvolgimenti sociali dei decenni successivi il desiderio di vederlo elevato agli altari dovrà attendere a lungo prima di potersi realizzare. 

«Fortunatamente la vita di questo frate è come un libro aperto», come afferma monsignor Francis Weber nel suo volume Blessed Fray Junipero Serra: An Outstanding California Hero. La proposta ufficiale della canonizzazione di Serra fu inviata a Roma nel 1934, seguita da quattordici anni di istruzione della causa, durante i quali furono raccolti documenti sulla sua vita, interviste con i discendenti di coloro che l’avevano conosciuto, indiani e ispanici. Il volume di Weber ci dà un’idea più precisa del processo: «Il processo formale ebbe inizio il 12 dicembre 1948 a Fresno, presieduto dal vescovo Aloysius J. Willinger. Tutte le persone coinvolte nella causa prestarono giuramento di fedeltà e segretezza. Furono nominati giudici con poteri speciali per interrogare i testimoni ponendo loro domande formulate dal promotor fidei, o "Avvocato del diavolo". Nel corso del dibattimento furono accuratamente esaminati nel loro contenuto dottrinale tutti gli scritti di Serra: in tutto 2.420 documenti (7.500 pagine)».

Le migliaia di pagine di documenti e testimonianze resero evidente che la gente che conosceva Serra lo considerava un santo - spagnoli o indiani che fossero - compresi alcuni di coloro che erano stati suoi avversari. Persino i funzionari che si erano opposti alla sua linea politica - soprattutto nel considerare i militari responsabili per il loro comportamento verso le popolazioni indigene - non poterono negare che Serra faceva ciò solo per amore a Dio e al prossimo, e non per un tornaconto personale.

Secondo Weber la causa era solida: «La monumentale testimonianza presentata alla Sacra Congregazione delle Cause dei Santi con il Summarium di 620 pagine e il suo corposo volume aggiuntivo indica che durante la vita, alla sua morte e anche dopo di essa vi è sempre stato un coro unanime di encomio che riteneva frate Junípero Serra degno della beatificazione». Ma per la sua beatificazione si dovrà aspettare l’approvazione del primo miracolo dall’autorità di Roma: nel 1987 una suora guarì dal lupus grazie alla sua intercessione.

Nonostante le montagne di documenti sulla vita di Serra, vi furono voci di aperta contestazione quando papa Giovanni Paolo II lo proclamò beato nel 1988. Per molti credenti e non credenti sensibili agli effetti negativi del colonialismo europeo, l’idea che un sacerdote spagnolo associato a questo fenomeno potesse diventare santo era causa di preoccupazione. L’opposizione si è fatta ancora più forte quando papa Francesco ha annunciato l’intenzione di concludere il processo di canonizzazione nel gennaio 2015.

Accanto alla nuova documentazione a suffragio della santità di Serra, papa Francesco aveva parecchie ragioni per procedere, tra cui l’appoggio di vari studiosi che avevano condotto studi approfonditi sulla vita di Serra e sul suo contesto storico. L’archeologo Ruben Mendoza, esperto di culture indigene dell’America Latina, ha trascorso anni lavorando nei territori delle missioni dell’intera California. È considerato uno dei maggiori esperti mondiali di Junípero Serra e delle missioni californiane. «Era un uomo in anticipo sui tempi. Si dedicò totalmente alla causa dei nativi americani», ha affermato Mendoza in una recente intervista. 

Robert Senkewicz e Rose Marie Beebe, un team di storici e traduttori che hanno scritto molto sui territori di missione californiani, hanno compilato una autorevole biografia di Serra di oltre 500 pagine, pubblicata nel 2015. Per Senkewicz la canonizzazione di Serra non è contraddetta dai suoi possibili difetti: «Io credo che una persona non sia canonizzata perché è perfetta - altrimenti è probabile che neppure san Pietro sarebbe mai diventato santo».

La canonizzazione di Serra avviene alla vigilia di un “Giubileo straordinario della misericordia”, che mira a incoraggiare i cristiani a esercitare e cercare la misericordia e il perdono. Uno degli episodi più famosi nella vita di Serra è legato direttamente al suo interesse per la misericordia e il perdono nel 1775. Quando parecchie centinaia di guerrieri indiani attaccarono la missione di San Diego uccidendo padre Luis Jayme, il missionario che vi risiedeva, Serra, scrisse immediatamente al Viceré (il rappresentante del sovrano spagnolo in Messico) per ricordargli ciò che gli aveva chiesto tempo prima: «Nel caso che gli indiani, pagani o cristiani, mi uccidessero, dovranno essere perdonati». Il frate richiese un decreto formale del Viceré che estendesse questa politica a tutti i missionari, presenti e futuri, compreso padre Jayme, recentemente assassinato. «Sarà per me di particolare conforto avere questo decreto tra le mani per tutti gli anni che Dio si degnerà di aggiungere alla mia vita».

In una recente omelia papa Francesco ha spiegato la sua scelta di concludere il processo di canonizzazione per Serra. Il motivo principale: «Fu un instancabile missionario». Francesco non è un sostenitore del colonialismo, come ha affermato chiaramente in altri discorsi, ma crede ancora nella “missione”. Per papa Bergoglio, una Chiesa che non esce fuori, nel mondo, per annunciare il Vangelo, specialmente tra i poveri e gli emarginati, diventa chiusa e non incisiva. E la missione è qualcosa che il Papa desidera enfatizzare in particolar modo nel proprio emisfero di origine: «La testimonianza di fra Junípero ci richiama a lasciarci coinvolgere, in prima persona, nella missione continentale». Egli ammonisce altresì a non occultare figure come quella di Serra, ma piuttosto a «esaminare scrupolosamente i loro pregi e, soprattutto, i loro limiti e le loro miserie». Come ha suggerito Gregory Orfalea, il biografo di Serra: «Francesco identifica la fede di Serra con il cuore, quel genere di cuore che Francesco ritiene oggi indispensabile, pieno di "generosità e coraggio"».

 

 

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