Tunisia, lo stato d'emergenza continua (e preoccupa)

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In Tunisia vige ancora lo stato d’emergenza riconfermato il 16 febbraio scorso e proclamato in tutto il Paese nel novembre 2015 in seguito all’assalto a un convoglio della Guardia presidenziale a Tunisi. Preceduto, nello stesso anno, da altri due attentati, al Museo del Bardo di Tunisi e alla spiaggia di Sousse, che hanno fatto più di 60 morti tra i turisti stranieri.

Stando a statistiche aggiornate, tra il 2011 e il 2015 la Tunisia avrebbe conosciuto 50 operazioni terroristiche. Secondo Alaya Allani, analista in islamismo e salafismo nella regione del Medio Oriente e Nord Africa, l’allarme terrorismo è emerso negli anni del governo ‘’troika’’ guidato dal partito islamista Ennahdha. In quel periodo, moschee integraliste, scuole coraniche dominate da imam fanatici, e associazioni caritative finanziate da paesi del Golfo per reclutare foreign fighters sono proliferate, sfuggendo al controllo dello Stato.

A generare la spinta jihadista in quelli anni, spiega l’analista, è stata anche la crisi in Libia, che ha avuto come effetto lo smantellamento delle strutture di sicurezza dello Stato, e l’indebolimento del controllo alle frontiere permettendo così l’infiltrazione di terroristi e armi all’interno dei confini tunisini.

Nell’ultimo anno e mezzo, il governo tunisino ha fatto della lotta al terrorismo una priorità mantenendo il livello di attenzione alto e rafforzando le misure di vigilanza e di sicurezza. Allani stima intorno a 1.500 i tunisini arrestati in cellule dormienti, riducendo il rischio di attacchi terroristici. Di recente, aggiunge, è stata creata in Parlamento una commissione incaricata di indagare sulla formazione di reti jihadiste in Tunisia.

«Dal 2016, le azioni terroristiche sono notevolmente diminuite. Sono una decina le operazioni sventate grazie alla nuova strategia governativa basata su una migliore logistica, un rafforzato coordinamento dei servizi di ricognizione e di intelligence, e una più stretta collaborazione tra la Tunisia e i Paesi vicini, l’Europa e gli Usa», fa sapere il ricercatore.

Una sicurezza difesa anche a scapito dei diritti umani con l’imposizione dello stato d'emergenza, prorogato più volte e rinnovato a febbraio per altri tre mesi. In un rapporto pubblicato da Amnesty International il 13 febbraio, che fa il bilancio sul regime di sicurezza degli ultimi due anni, si parla di23 casi di tortura e due episodi di violenza sessuale ai danni di detenuti in cui sarebbero implicate la polizia e le brigate anti-terrorismo.

Il rapporto rivela il ricorso ai metodi brutali del passato, alla tortura e agli arresti arbitrari così come le perquisizioni senza mandato, spesso durante raid notturni, e l’accanimento nei confronti delle famiglie di chi è sospettato di terrorismo.

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