X Domenica Del Tempo Ordinario

Published in Domenica Missionaria

“ Giovinetto, dico a te, alzati(risorgi)!”.  Lc. 7,11-17.

 Luca, l’evangelista della “tenerezza divina”, costruisce il suo racconto in modo da suggerire l’incarnarsi della benevolenza di Dio verso l’umanità peccatrice e moribonda.

> A due povere vedove, (di Zarepta e di Nain), viene a mancare il loro figlio unico, e Dio interviene a restituire la vita a questi giovani, tramite il profeta Elia e Gesù stesso.

Cristo che vince la morte, è Lui la Salvezza e il Signore della Vita: davanti a Lui la morte indietreggia.

> La risurrezione del figlio della vedova di Nain è solo Luca a riportarla, e in questo miracolo l’evangelista vuole far notare come la salvezza è un dono di Dio. Il racconto di questo miracolo lo possiamo equiparare al Lazzaro giovanneo. Luca nel suo racconto, ha voluto sottolineare soprattutto la professione di fede nel Cristo glorioso, non tanto un gesto di compassione nei confronti di una vedova che ha perso il figlio unico (cosa non dimenticata da Luca sempre attento alla sofferenza degli uomini)

/ Da notare due folle, due cortei vanno in senso inverso e si incontrano: una entra in città, l’altra esce. Una è centrata su Gesù, autore della Vita, l’altra sulla morte (“la cultura della vita e la cultura della morte”). Gesù dunque si reca coi discepoli e molta folla, a Nain, villaggio a Km.10 a sud-ovest di Nazareth. Dalla porta del villaggio cinto di mura, esce quindi, un corteo funebre recante il figlio unico di una madre vedova. La gravità della sventura fa sì che essa, oggetto di grande pietà, sia accompagnata da molta gente. Gesù sentì compassione davanti alla sofferenza di quella madre, e Luca, che denomina qui come gli è familiare, ”il Signore” (Kyrios), mostra la sua compassione alla  donna, dicendole: “Non piangere”. Notiamo che qui non si dice che Gesù, vedendola, ne ebbe compassione, ma “vedendola, il Signore ne ebbe compassione”. Ora noi sappiamo che solo Luca per venti volte nel suo Vangelo usa come soggetto di racconto proprio il termine ”Kyrios”. Si tratta del titolo solenne pasquale dato al Cristo, e ciò equivale al nome di Dio (JHWH) dell’AT.

/ Abbiamo perciò in scena non un guaritore o un operatore di miracoli, ma del Cristo, radice della nostra risurrezione. Inoltre Gesù non è insensibile al dramma umano della morte: Gesù che è la Vita, partecipa profondamente all’angoscia umana di fronte all’evento della morte, ne sente la tragedia. La morte è espressione e segno del peccato e opera del demonio; e Gesù di fronte a tale realtà, freme e si turba per la sua radicale opposizione alla morte-peccato. Ma Egli è venuto per vincere la morte e lo può perché Lui è la Vita.  E’ la Vita che vince, e Gesù è la Vita. E allora, verso di noi che andiamo tutti verso la morte, Gesù ci dice pure: “Giovinetto, a te lo dico, alzati”.

> Gesù si avvicina alla bara, che di fatto era una portantina sulla quale era adagiato il morto, e “tocca” la bara, non tenendo conto della legge che vietava di toccare i cadaveri, ciò che faceva contrarre impurità. I portatori si fermano e Gesù comanda perentoriamente al morto di alzarsi.

Qui c’è un altro termine rilevante. Quando il ragazzo riceve l’ordine di alzarsi da parte di Gesù, il comando è modellato su un verbo particolare:”Giovinetto, dico a te: ”Eghèrtheti”. Ora “egheiro” è il verbo caratteristico greco della risurrezione di Gesù. La traduzione “alzati” è povera, perché si rimanda al risorgere:”dico a te: risorgi”, sii risuscitato”.

/ Nella vicenda dell’uomo, la morte non è più l’ultima parola, perché c’è una voce che può proclamare la risurrezione, lo svegliarsi(“egheiro”) definitivo.

Il Figlio di Dio, nell’Incarnazione, si è accostato all’umanità morta per il peccato e l’ha risuscitata.

Gesù va incontro alla morte come Vita e la annulla. Gli evangelisti presentano sempre Gesù in un atteggiamento di distacco nei confronti della morte. Egli ne parla poco, come di una realtà voluta dal Padre, trascurabile di fronte alle esigenze della volontà di Dio. Egli la distrugge ancora prima della sua risurrezione, richiamando alla vita i morti che incontra sul suo cammino.

/ Le tre risurrezioni riferite dagli evangelisti, sono il segno della sua vittoria su Satana e un’anticipazione della sua vittoria ultima sulla morte. In questo miracolo la preoccupazione di Gesù è diretta più a consolare la madre che a risuscitare il figlio. La sua attenzione è tutta per la vita, ma per la morte egli ha appena uno sguardo distratto. Così fu per la risurrezione della figlioletta di Giairo e di Lazzaro. Da notare che per Gesù e per S. Paolo, la morte è chiamata “sonno”, un sonno momentaneo, un dormire per svegliarsi. Davanti alla presenza della morte, si leva lo splendore della Vita:”Io sono la risurrezione e la vita”(Gv.11,25).

/ Ora il nostro giovane si leva a sedere sulla portantina e comincia a parlare, segno evidente di pienezza di vita.

/ Gesù ha operato la risurrezione del figlio di una vedova come fecero i profeti Elia ed Eliseo, ma senza le lunghe preghiere e i riti di questi. Tutto è avvenuto nella più grande semplicità.

Per Luca Gesù è il nuovo Elia. Nella prima lettura infatti, abbiamo sentito la storia del figlio della vedova sirofenicia(di Sarepta, nell’attuale Libano), risuscitato dal profeta Elia. Quella donna si era attaccata al profeta e il profeta con la potenza di Dio le aveva fatto risorgere il figlio. Ebbene, Luca vede in Cristo l’Elia definitivo e perfetto. Mentre gli altri evangelisti preferiscono presentare il Battista come Elia, Luca preferisce vedere il Cristo come il grande supremo profeta.

> Gesù poi rende alla madre il giovinetto vivo: il peccatore alla Madre Chiesa.

Leggendo questo brano, non possiamo non pensare al Figlio unico di un’altra Vedova: Maria SS. Questo Figlio, morto sulla croce, uscirà vivo dalla tomba nella luce della Pasqua.

> Tutti siamo venuti qui oggi portando un “peso morto” dentro di noi: il nostro peccato, la nostra stanchezza di lottare contro il male che uccide la vita.  Abbiamo sempre attorno la presenza amara della morte, una presenza che è illuminata per ora soltanto da un bagliore. Ma pensiamo anche a tutte le altre morti: degli affetti, degli amori, le morti interiori delle persone ormai disperate, morti che attendono un’altra risurrezione forse ancora più importante, perché al di là della morte, c’è la “casa” della comunione pasquale con Dio.

/ Dobbiamo consegnare a Gesù il nostro uomo morto e credere, sulla sua Parola, che Egli ci può ridare la vita nel senso più pieno. Ogni incontro domenicale col Signore della Vita, dovrebbe farci riprendere il cammino con una nuova carica di vita e di gioiosa speranza da comunicare al mondo.

> Chiediamo al Padre, ognuno di noi per sé e per i fratelli, che la nostra morte, quando e come verrà a coglierci, non sia per noi che questo “venire” di Gesù: l’incontro con la sua voce che chiama, la sua persona che prende per mano, la sua vita che investe e assume in sé:

a te lo dico, alzati, risorgi”.

Che il nostro morire sia solo un levarsi verso Cristo Gesù, Lui che è la Risurrezione e la Vita.

/ Pertanto ora nell’Eucaristia che stiamo celebrando, Gesù ci dice: Ti ho liberato perché tu sia libero; sono morto perché tu viva. Ora vengo a te per rinnovarti tutti i miei doni, perché “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”(Gv.6,54).

 

 

Last modified on Saturday, 28 May 2016 20:03

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