Oggi, nel nostro Istituto Missioni Consolata, si celebra la Festa dei Fratelli. Quando è nata e perché? Ecco le parole del Beato Fondatore.

Sono andato a spigolare fra i testi del Beato Allamano e ho scoperto che proprio lui stesso ha voluto che si celebrasse la festa dei Fratelli del nostro Istituto proprio nella festa di S. Giuseppe che fino ai tempi del Fondatore era celebrata il mercoledì dopo la seconda domenica di Pasqua. Successivamente Papa Pio IX, l’8 dicembre 1870, istituì la Solennità di S. Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, da celebrarsi il 19 marzo.

La memoria di S. Giuseppe Artigiano, invece, fu inserita nel Calendario Liturgico, come memoria per tutta la Chiesa, da Papa Pio XII, nel giorno 1º maggio1955. Fu a quest’ultima che venne finalmente associata la festa del patrocinio di S. Giuseppe  per i Fratelli e quindi in questa data l’Istituto vive con gioia la tradizione lasciataci dal Fondatore.

Con il vocabolario originale, dove i Fratelli sono ancora chiamati Coadiutori, ecco le parole del Beato Fondatore, come riportate nelle Conferenze Spirituali e poi riprese nel libro “L’Allamano e i Fratelli” curato da Padre Gottardo Pasqualetti:

202040501Allamano“S. Giuseppe è protettore di tutti, chierici, Coadiutori e sacerdoti: guai a chi non ha devozione a S. Giuseppe! In particolare, avete fatto bene ad inaugurare questa festa, come quella particolare dei Coadiutori [1]. Non c’è esempio migliore di S. Giuseppe; egli è il nostro maestro e ci deve proteggere in modo particolare. È il più gran santo. La Chiesa lo ha costituito il patrono universale di tutto il mondo. Pare perfino che abbia fatto un torto a S. Pietro e S. Paolo che erano sacerdoti, mentre S. Giuseppe non lo era. Per voi Coadiutori deve essere un santo orgoglio, che la Chiesa abbia preferito un santo che non era sacerdote per costituirlo patrono di tutta la Chiesa.

Questo vi deve insegnare ad amare il lavoro, a fare bene il vostro lavoro, a corrispondere alla vostra vocazione. Se corrisponderete bene alla vostra vocazione voi potrete anche essere superiori ai sacerdoti, avrete più merito e chissà che in Paradiso non avrà più merito un Coadiutore di tanti sacerdoti! Quanti Coadiutori si sono fatti santi! S. Pasquale Baylon, S. Alfonso Rodriguez non erano mica sacerdoti; eppure, si sono fatti santi.

Dovete pensare che siete missionari, e dovete avere un santo orgoglio di appartenere alla classe di S. Giuseppe. È vero che qui in comunità facciamo una sola cosa, siamo tutti uguali, tutti Fratelli. Ma voi Coadiutori avete meno responsabilità, mentre i sacerdoti e chierici avranno da rendere più conto a Dio.

In una congregazione c’è questo di bello, che si coopera tutti insieme a fare il bene, meritano tutti lo stesso: tanto chi scopa, come chi lavora o studia, purché si faccia solo quello che l’obbedienza ci comanda. Fortunati voi Coadiutori che potete abitualmente avere il lavoro in mano!

Conchiudendo, a S. Giuseppe dobbiamo chiedere delle grazie, ed amare il lavoro. Un missionario che non abbia questa parte di preparazione, che non sappia e che non abbia voglia di lavorare non è un vero missionario. Infatti, in principio che si va giù e che non si sa ancora la lingua, che si fa? Si lavora un poco e lavorando un poco quegli uomini là, ci dicono delle parole e ci insegnano la lingua. Non si può andare a predicare senza lavorare… Come se un missionario andasse giù e dicesse: “Ah, io voglio solo predicare e non lavorare… “e difatti tutti i nostri sacerdoti che vanno giù cominciano a lavorare. E poi ce n’è bisogno sempre del lavoro. Se in una missione c’è un superiore che non sa lavorare che cosa farà? Se non sa lavorare lui, come farà a fare lavorare gli altri? Quindi il lavoro bisogna saperlo e volerlo fare. Ai chierici è anche più necessario il lavoro. Io credo che per prepararsi a partire per l’Africa la migliore cosa da fare è quella di imparare a prendere amore al lavoro: imparare e saper fare un po’ di tutto …

Dunque, ringraziamo e preghiamo S. Giuseppe. Ed ora resta approvata la festa dei Coadiutori e fissata pel Patrocinio di S. Giuseppe.”

(Beato Giuseppe Allamano, Conferenze IMC, III, 563-565 – 15 aprile 1921, in Pasqualetti Gottardo [a cura], Il Fondatore e i Fratelli, EMC, 2014, pp. 55-56).

A tutti voi confratelli Fratelli,
auguri di ogni bene e che il Signore vi benedica,
vi mantenga perseveranti nella vocazione missionaria
per intercessione del Grande S. Giuseppe, Artigiano.

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Fratel Adolphe Mulengezi e Fratel Gaetano Borgo nel suo "laboratorio" a Certosa di Pesio. Foto: Archivio IMC

* Padre Pedro José da Silva Louro, IMC, Segretario Generale.

Nel cuore dell’Allamano, fin da quando era giovane, Giuseppe di Nazareth occupò un posto privilegiato, subito dopo Gesù e Maria. Portando lo stesso nome, la festa liturgi ca del 19 marzo di ogni anno diventava un’occasione ricorrente per sviluppare la conoscenza e il rapporto con il suo protettore personale. Non dimenticò mai che, durante la sua permanenza a Valdocco, Don Bosco lo aveva invitato a prega re S. Giuseppe per due speciali intenzioni: «Quando ero an cora in collegio Don Bosco mi diceva sempre di domandare a S. Giuseppe la salute e l’aiuto negli studi».

Si avvicina la festa di San Giuseppe. Le parole del Beato Allamano ci aiutino a viverla bene. Auguri a tutti coloro che ne portano il nome.

(Padre Piero Trabucco, IMC, Casa Natale dell'Allamano)

 

Vi propongo S. Giuseppe in particolare come modello di fedeltà e di vita interiore. Egli non ha fatto miracoli, non ha predicato, eppure fu così santo perché fu umile e fedele alle piccole cose. Fedeltà alle piccole cose, questo è il segreto delle comunità. La grazia che gli ho domandato per voi è di avere una fedeltà ferrea, fedeltà dal mattino alla sera, senza perdersi d’animo (...) Questa deve essere in voi una devozione “incarnata”. Dopo nostro Signore e la Madonna viene S. Giuseppe, senza cercare altri. (Così vi voglio, n. 190)

Questa pagina, che raccoglie riflessioni del Fondatore a proposito di San Giuseppe, è scritta con un linguaggio semplice ma contiene molti spunti, vorrei sottolinearne due che mi sembrano utili per illuminare la nostra vita missionaria.

Di Giuseppe la prima cosa che possiamo dire è che non parla niente, non si ricorda nel vangelo una frase detta da lui, ma dice comunque tante. Possiamo imbatterci in una infinità di libri su di lui ma nel vangelo non si ricorda nemmeno una sua parola. Eppure, come ricorda un sacerdote, “di Giuseppe non sappiamo come parlava ma sappiamo bene come pensava, cosa sognava e cosa faceva, e questo non è poco”.

Una prima immagine che possiamo prendere per la nostra vita, come ci ricorda anche il Fondatore, è la fedeltà alle piccole cose. Nella vita non ci capita tutti i giorni di fare grandi scelte o fare gesti forti, ma nella vita siamo chiamati al tran tran quotidiano e magari a ripetere tante cose, per tanto tempo e per tanti anni. Il Fondatore ci invita a valorizzare queste piccole cose perché il segreto sta nel modo come le affrontiamo. Far bene le piccole cose, con amore ed entusiasmo, è pur sempre fare qualcosa di grande. Quindi in questo tempo nel quale siamo alla ricerca di scelte coraggiose ed opzioni radicali non dimentichiamo che tutto questo, anche il martirio come la donazione della vita, nascono dalle scelte quotidiane, dal coraggio di accettare il quotidiano. Quante volte sogniamo qualcosa di diverso che non abbiamo e non ci accorgiamo dei fratelli e delle sorelle, delle circostanze e del lavoro che abbiamo lì. Giuseppe ci insegna la fedeltà a queste cose.

Un altro elemento che mi sembra forte nella persona di Giuseppe è la sua forza davanti alle sofferenze e alle crisi della vita che anche lui ha dovuto affrontare. Giuseppe si è trovato in notti oscure e di sofferenza. Immaginate la crisi quando scopre che la sua sposa è incinta e che lui, secondo la legge, avrebbe dovuto denunciarla per farla lapidare. Deve aver vissuto una crisi profonda con la volontà di Dio che gli chiedeva qualcosa di umanamente difficile da accettare e con la sua legge che gli stava chiedendo qualcosa che non avrebbe voluto fare. La storia di Giuseppe non comincia come una favola ma è sofferenza, sacrificio, lotta, combattimento. Assieme a Maria si trova a vivere un progetto che cambia tutti i loro progetti.

Questo mi fa pensare alla sofferenza nella missione: le incomprensioni e le difficoltà che oggi non ci fanno vivere bene il nostro carisma; lo scoprirci in qualche occasione inadeguati, in affanno e in ritardo su tante cose; l’impedimento di non capire sempre bene questo mondo, la nostra comunità, quello a cui siamo chiamati. La sofferenza anche di vivere l’eucaristia nei momenti più complicati quando abbiamo a che fare con situazioni pesanti e dure.

Eppure Giuseppe era un uomo giusto che ha sognato le cose di Dio e ha saputo viverle e metterle in pratica. Anche questo elemento fa parte della nostra vita. In tanti anni di servizio all’Istituto ho trovato missionari entusiasti ma anche missionari amareggiati e delusi, e queste sono le crisi profonde che dobbiamo affrontare con la forza, il coraggio e l’onestà di Giuseppe. Giuseppe non è un santo facile, ha dovuto affrontare l’oscurità e la sofferenza ma l’ha fatto con la gioia del dono totale di se al Signore.

Anche noi cerchiamo allora di essere uomini giusti e, come Giuseppe, disposti a fare i sogni di Dio e la sua volontà. Chiediamo il coraggio, anche nei momenti difficili, di andare avanti nella missione sapendo che stiamo vivendo qualcosa che è molto più grande di noi.

* Padre Stefano Camerlengo è Superiore Generale dei Missionari della Consolata

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