Il pensiero di Don Lorenzo Milani, a cento anni dalla sua nascita, continua ad essere di importanza vitale perché contiene una visione che pone al centro la libertà e il superamento delle diseguaglianze sociali. Sacerdote ed educatore, nacque a Firenze il 27 maggio 1923.
Apparteneva ad una ricca, laica e colta famiglia borghese di origini ebraiche. Ordinato sacerdote il 13 luglio 1947, dapprima fu inviato a Montespertoli, e poi a San Donato di Calenzano, vicino Firenze. Don Milani cercava i poveri, i bisognosi, gli esclusi, ne abbracciava le ragioni opponendosi allo sfruttamento lavorativo, e attuando così gli insegnamenti del Vangelo. A San Donato, don Milani creò una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della sua parrocchia. Poi, la Curia fiorentina lo nominò priore di Barbiana e lo inviò a Sant’Andrea di Barbiana, una pieve sperduta sul monte dei Giovi nel Mugello.
La nuova sede era una chiesetta con annessa una povera canonica nell’Appennino toscano, in cui negli anni Cinquanta e Sessanta sopravvivevano contadini di un'Italia marginale e povera. Don Milani raggiunse Barbiana a piedi attraverso una mulattiera. Arrivò nella piccola parrocchia di montagna il 7 dicembre 1954. In breve tempo organizzò una nuova scuola popolare. In canonica, ogni pomeriggio, si svolgeva il doposcuola per i ragazzi della scuola elementare statale, soprattutto per i bocciati e gli esclusi, figli di contadini.
Nel maggio 1958 diede alle stampe “Esperienze pastorali”, opera che gli richiese ben dieci anni di lavoro, ma la lettura fu ritenuta “inopportuna”, e nel dicembre 1958 fu ritirata dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio. Nel luglio 1966 insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana cominciò a scrivere “Lettera a una professoressa”. Il 26 giugno del 1967, dopo sette anni di malattia, Don Lorenzo morì a Firenze, a soli 44 anni per il morbo di Hodgkin. Solo dopo la sua morte “Lettera a una professoressa” divenne un caso letterario e, soprattutto, uno dei testi che denunciava fortemente l’arretratezza e il classismo della scuola italiana di quegli anni.
Dobbiamo ricordare Don Lorenzo Milani per questa e per tante altre lettere con le quali comunicava il suo pensiero. Utilizzava il genere epistolare per esprimere il suo senso umano in modo schietto e diretto, il suo essere sacerdote, la sua passione civile, come in Lettera ai cappellani militari e Lettera ai giudici. Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri io non ho Patria” scrisse nella Lettera ai cappellani militari “e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro”. Anche se il pensiero e la didattica di
Don Milani sono state di esempio per molti maestri, la sua vita ebbe pieno riconoscimento solamente in data 20 giugno 2017, quando Sua Santità Papa Francesco si recò in pellegrinaggio sulla sua tomba, a Barbiana. Nel discorso commemorativo, tra le altre, il Santo Padre disse: “Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna Don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole. […] Non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto, vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da Don Lorenzo al suo Vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale”.
Il Centenario della nascita di Don Lorenzo Milani è una occasione preziosa per riflettere sul suo pensiero alla luce “del contesto attuale e nelle sue dimensioni più importanti“: la dimensione ecclesiale, quella scolastica, per poter parlare “di dispersione scolastica e funzione della scuola pubblica“, e infine quella socio-politica, con “la lotta alle disuguaglianze, alla povertà, e la dignità del lavoro“.
L’esperienza di don Lorenzo Milani, all’interno di queste tre dimensioni, si tradusse sempre in un forte impegno religioso, politico ed educativo, ed è condensato nel motto “I care” cioè, “mi importa”, “mi sta a cuore”, perché la libertà, la fede e la consapevolezza critica provengono dalla conoscenza e ognuno ha il diritto di istruirsi in una scuola pubblica inclusiva.
* Antonella Rita Roscilli è giornalista e scrittrice, Direttore Responsabile Sarapegbe - Rivista italiana Bilingue di Dialogo Interculturale. Articolo pubblicato nel Periodico IGEA, Dicembre 2023.