Sappiamo che la storia di Stefano non appartiene a un passato ormai remoto perché essa si ripete oggi in varie regioni del nostro pianeta, come allora era stata replicata per quella fitta serie di martiri che l’Apocalisse fa sfilare davanti al trono divino e all’Agnello Cristo, “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua…, avvolti in vesti candide e con rami di palma nelle loro mani” (7,9)
L’hanno collocato nel calendario subito dopo il Natale che, in verità, non è proprio la festa tutta luci, regali e pranzi a cui siamo abituati, se pensiamo a quella nascita in uno spazio di fortuna, al sanguinario accompagnamento della strage dei neonati di Betlemme, allo “status” di profughi in Egitto della famiglia di Gesù. Stiamo evocando ovviamente il diacono Stefano e le righe che leggeremo proprio nella liturgia del 26 dicembre, scritte dall’evangelista Luca nella sua seconda opera: “Lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo… Mentre lo lapidavano, Stefano pregava e diceva: Signore Gesù, accogli il mio spirito! Poi piegò le ginocchia e gridò forte: Signore, non imputar loro questo peccato! Detto questo, morì” (Atti 7,58-60). Una morte evidentemente modellata su quella di Cristo...